Ebbi a quel punto la conferma che Lila doveva avermi taciuto non pochi passaggi. Quel tono allusivo testimoniava che erano in confidenza, che avevano parlato altre volte tra loro e non per gioco ma con serietà. Cosa mi ero persa nel periodo di Ischia? Mi girai a guardarla, tardava a replicare, pensai che la risposta di Stefano l’avesse innervosita per la sua vaghezza. La vidi inondata di sole, gli occhi socchiusi, la camicetta gonfia di seno e di vento.
«Qui la miseria è peggio che da noi» disse. E poi senza nesso, ridendo:
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«Non ti credere che mi sono dimenticata di quando mi volevi pungere la lingua».
Stefano fece cenno di sì.
«Era un’altra epoca» disse.
«Vigliacchi si è sempre, eri il doppio di me».
Lui ebbe un sorrisetto imbarazzato e accelerò senza rispondere in direzione del porto. Il giro durò poco meno di mezzora, tornammo per il Rettifilo, per piazza Garibaldi.
«Tuo fratello non sta bene» disse Stefano quando ormai eravamo di nuovo ai margini del rione. La cercò ancora nello specchietto e chiese: «Sono quelle esposte in vetrina le scarpe che avete fatto?».
«Che ne sai delle scarpe?».
«Rino parla soltanto di quelle».
«E allora?».
«Sono assai belle».
Lei fece gli occhi piccoli, li strizzò fin quasi a chiuderli.
«Compratele» disse col suo tono provocatorio.
«A quanto le vendete?».
«Parla con mio padre».
Stefano fece una decisa svolta a U che mi mandò contro lo sportello, imboccammo la strada della calzoleria.
«Che fai?» chiese Lila, ora in allarme.
«Hai detto compratele e vado a comprarmele».
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37.
Fermò l’auto davanti alla calzoleria, venne ad aprirmi lo sportello, mi tese una mano per aiutarmi a scendere. Non si occupò di Lila, che si districò da sola e restò indietro. Lui e io sostammo davanti alla vetrina, sotto gli occhi di Rino e Fernando che dall’interno del negozio ci guardavano con corrucciata curiosità.
Quando Lila ci raggiunse Stefano aprì la porta del negozio, mi cedette il passo, entrò senza cederlo a lei. Fu cordialissimo con padre e figlio, chiese di poter vedere le scarpe. Rino si precipitò a prenderle, lui le esaminò, le lodò:
«Sono leggere e però resistenti, hanno proprio una bella linea». Mi chiese:
«Che ti pare, Lenù?».
Io dissi imbarazzatissima:
«Sono molto belle».
Si rivolse a Fernando:
«Vostra figlia ha detto che ci avete lavorato molto tutt’e tre e che avete in progetto di farne altre, pure per donna».
«Sì» disse Rino guardando meravigliato la sorella.
«Sì» disse Fernando perplesso, «ma non subito».
«E non c’è, che so, un disegno, qualcosa per capire meglio?».
Rino disse alla sorella, lievemente alterato perché temeva un rifiuto:
«Prendigli i disegni».
Lila, continuando a sorprenderlo, non fece resistenza. Andò nel retrobottega e tornò tendendo i suoi foglietti al fratello, che li passò a Stefano.
C’erano tutti i modelli che le erano venuti in mente quasi due anni prima.
Stefano mi mostrò il disegno di un paio di scarpe da donna col tacco molto alto.
«Tu te le compreresti?».
«Sì».