Quando finalmente Fernando sciolse ogni riserva, Stefano andò al negozio e, dopo una piccola discussione, si arrivò a un accordo verbale in base al quale lui avrebbe fronteggiato tutte le spese e i due Cerullo avrebbero avviato la produzione sia del modello che Lila e Rino avevano già realizzato, sia di tutti gli altri modelli, fermo restando che dei profitti eventuali avrebbero fatto metà e metà. Estrasse i foglietti da una tasca e glieli mostrò l’uno dietro l’altro.
«Farete questa, questa, questa» disse, «però speriamo che non ci mettete due anni come so che è successo con quell’altra».
«Mia figlia è femmina» si giustificò Fernando in imbarazzo, «e Rino non ha ancora imparato bene il mestiere».
Stefano scosse cordialmente la testa.
«Lina lasciatela stare. Vi dovrete prendere dei lavoranti».
«E chi li paga?» domandò Fernando.
«Sempre io. Ve ne scegliete due o tre, liberamente, secondo il vostro giudizio».
Fernando, all’idea di avere nientemeno dei dipendenti, si infiammò e gli si sciolse la lingua con visibile disappunto del figlio. Raccontò di quando aveva imparato il mestiere da suo padre buonanima. Raccontò di com’era stato brutto il lavoro sulle macchine, a Casoria. Raccontò che il suo errore era stato sposarsi Nunzia, che aveva le mani deboli e nessuna voglia di faticare, ma se si fosse sposato Ines, una sua fiamma di gioventù che era una grandissima lavoratrice, avrebbe avuto da tempo un’attività tutta sua, meglio di Campanile, con un campionario da esporre casomai alla Mostra d’Oltremare.
Raccontò, infine, che aveva nella testa scarpe bellissime, roba perfetta, che se Stefano non si fosse fissato con quelle pazzielle di Lina, adesso si sarebbero
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potute mettere in lavorazione e sai quante ne avrebbero vendute. Stefano ascoltò con pazienza, ma poi ribadì che a lui, per adesso, interessava soltanto veder realizzati alla perfezione i disegni di Lila. Rino allora gli prese i foglietti della sorella, li esaminò ben bene e gli chiese con un tono di leggero sfottò: «Quando te li incorniciano dove li appendi?».
«Qua dentro».
Rino guardò suo padre, che però s’era di nuovo incupito e non disse niente.
«Mia sorella è d’accordo su tutto?» domandò.
Stefano sorrise:
«E chi se la sente di fare qualcosa se tua sorella non è d’accordo?».
Si alzò, strinse vigorosamente la mano a Fernando e si diresse verso la porta. Rino lo accompagnò e, all’improvviso sopraffatto da una sua preoccupazione, gli gridò dalla soglia, mentre il salumiere andava verso la decappottabile rossa:
«Il marchio delle scarpe resta Cerullo».
Stefano gli fece un cenno con la mano, senza girarsi: «Una Cerullo le ha inventate e Cerullo si chiameranno».
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39.
Quella sera stessa Rino, prima di andarsene a spasso con Pasquale e Antonio, disse:
«Marcè, hai visto che macchina s’è fatto Stefano?».
Marcello, intontito dalla televisione accesa e dalla tristezza, nemmeno rispose.
Allora Rino tirò fuori il pettine dalla tasca, si diede una pettinata e buttò lì, allegro:
«Lo sai che s’è comprato le nostre scarpe per quarantacinquemila lire?».
«Si vede che ha soldi da buttare» rispose Marcello e Melina scoppiò a ridere, non si sa se per quella battuta o per ciò che trasmettevano in televisione.
Da quel momento Rino trovò il modo, sera dietro sera, di far innervosire Marcello e il clima diventò sempre più teso. Per di più appena arrivava Solara, sempre bene accolto da Nunzia, Lila spariva, diceva che era stanca e andava a dormire. Una sera Marcello, molto giù di corda, parlò con Nunzia.
«Se vostra figlia se ne va a dormire appena arrivo, io che vengo a fare?».
Sperava evidentemente che lei lo confortasse, dicendogli qualcosa che lo incoraggiasse a perseverare nel tentativo di guadagnarsi l’amore della ragazza. Ma Nunzia non seppe cosa rispondergli e lui allora borbottò:
«Le piace un altro?».
«Ma no».
«Io so che va a fare la spesa da Stefano».
«E dove deve andare, figlio mio, a fare la spesa?».
Marcello tacque, a occhi bassi.
«L’hanno vista in macchina col salumiere».
«C’era pure Lenuccia: Stefano va dietro alla figlia dell’usciere».
«Lenuccia non mi pare una buona compagnia per vostra figlia. Ditele di non vederla più».
Io non ero una buona compagnia? Lila non doveva vedermi più? Quando la mia amica mi riferì quella richiesta di Marcello passai definitivamente
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