A quest’invito, il Corvo, facendosi avanti per il primo, tastò il polso a Pinocchio: poi gli tastò il naso, poi il dito mignolo dei piedi: e quand’ebbe tastato ben bene, pronunziò solennemente queste parole:
– A mio credere il burattino è bell’e morto: ma se per disgrazia non fosse morto, allora sarebbe indizio sicuro che è sempre vivo!
– Mi dispiace, – disse la Civetta, – di dover contraddire il Corvo, mio illustre amico e collega: per me, invece, il burattino è sempre vivo; ma se per disgrazia non fosse vivo, allora sarebbe segno che è morto davvero!
– E lei non dice nulla? – domandò la Fata al Grillo-parlante.
– Io dico che il medico prudente quando non sa quello che dice, la miglior cosa che possa fare, è quella di stare zitto. Del resto quel burattino lì non m’è fisonomia nuova: io lo conosco da un pezzo!...
Pinocchio, che fin allora era stato immobile come un vero pezzo di legno, ebbe una specie di fremito convul-so, che fece scuotere tutto il letto.
– Quel burattino lì, – seguitò a dire il Grillo-parlante,
– è una birba matricolata...
Pinocchio aprì gli occhi e li richiuse subito.
– è un monellaccio, uno svogliato, un vagabondo. Pinocchio si nascose la faccia sotto i lenzuoli.
– Quel burattino lì è un figliuolo disubbidiente, che farà morire di crepacuore il suo povero babbo!...
A questo punto si sentì nella camera un suono soffocato di pianti e di singhiozzi. Figuratevi come rimasero tutti, allorché sollevati un poco i lenzuoli, si accorsero che quello che piangeva e singhiozzava era Pinocchio.
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Carlo Collodi - Le avventure di Pinocchio
– Quando il morto piange, è segno che è in via di guarigione, – disse solennemente il Corvo.
– Mi duole di contraddire il mio illustre amico e collega, – soggiunse la Civetta, – ma per me, quando il morto piange è segno che gli dispiace a morire.
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Carlo Collodi - Le avventure di PinocchioPinocchio mangia lo zucchero, ma non vuol purgarsi:Però quando vede i becchini che vengono a portarlo via,allora si purga. Poi dice una bugia e per gastigo gli cresceil naso.
Appena i tre medici furono usciti di camera, la Fata si accostò a Pinocchio e, dopo averlo toccato sulla fronte, si accorse che era travagliato da un febbrone da non si dire.
Allora sciolse una certa polverina bianca in un mezzo bicchier d’acqua, e porgendolo al burattino, gli disse amorosamente:
– Bevila, e in pochi giorni sarai guarito.
Pinocchio guardò il bicchiere, storse un po’ la bocca, e poi dimanda con voce di piagnisteo:
– è dolce o amara?
– è amara, ma ti farà bene.
– Se è amara, non la voglio.
– Dà retta a me: bevila.
– A me l’amaro non mi piace.
– Bevila: e quando l’avrai bevuta, ti darò una pallina di zucchero, per rifarti la bocca.
– Dov’è la pallina di zucchero?
– Eccola qui, – disse la Fata, tirandola fuori da una zuccheriera d’oro.
– Prima voglio la pallina di zucchero, e poi beverò quell’acquaccia amara...
– Me lo prometti?
– Sì...
La fata gli dette la pallina, e Pinocchio, dopo averla sgranocchiata e ingoiata in un attimo, disse leccandosi i labbri:
– Bella cosa se anche lo zucchero fosse una medicina!... Mi purgherei tutti i giorni.
– Ora mantieni la promessa e bevi queste poche goc-ciole d’acqua, che ti renderanno la salute.
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