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Tormentato dalla passione di rivedere il suo babbo e la sua sorellina dai capelli turchini, correva a salti come un cane levriero, e nel correre le pillacchere gli schizza-vano fin sopra il berretto. Intanto andava dicendo fra sé e sé:

– Quante disgrazie mi sono accadute... E me le merito! perché io sono un burattino testardo e piccoso... e voglio far sempre tutte le cose a modo mio, senza dar retta a quelli che mi voglion bene e che hanno mille volte più giudizio di me!... Ma da questa volta in là, faccio proponimento di cambiar vita e di diventare un ragazzo ammodo e ubbidiente... Tanto ormai ho bell’e visto che i ragazzi, a essere disubbidienti, ci scapitano sempre e non ne infilano mai una per il sù verso. E il mio babbo mi avrà aspettato?... Ce lo troverò a casa della Fata? è tanto tempo, pover’uomo, che non lo vedo più, che mi struggo di fargli mille carezze e di finirlo dai baci! E la Fata mi perdonerà la brutta azione che le ho fatto?... E pensare che ho ricevuto da lei tante attenzio-ni e tante cure amorose... e pensare che se oggi son sempre vivo, lo debbo a lei! Ma si può dare un ragazzo più ingrato e più senza cuore di me?...

Nel tempo che diceva così, si fermò tutt’a un tratto spaventato e fece quattro passi indietro.

Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Collodi - Le avventure di Pinocchio Che cosa aveva veduto?...

Aveva veduto un grosso Serpente, disteso attraverso alla strada, che aveva la pelle verde, gli occhi di fuoco e la coda appuntuta, che gli fumava come una cappa di camino.

Impossibile immaginarsi la paura del burattino: il quale, allontanatosi più di mezzo chilometro, si mise a sedere sopra un monticello di sassi, aspettando che il Serpente se ne andasse una buona volta per i fatti suoi e lasciasse libero il passo della strada.

Aspettò un’ora; due ore; tre ore; ma il Serpente era sempre là, e, anche di lontano, si vedeva il rosseggiare dè suoi occhi di fuoco e la colonna di fumo che gli usciva dalla punta della coda.

Allora Pinocchio, figurandosi di aver coraggio, si avvicinò a pochi passi di distanza, e facendo una vocina dolce, insinuante e sottile, disse al Serpente:

– Scusi, signor Serpente, che mi farebbe il piacere di tirarsi un pochino da una parte, tanto da lasciarmi passare?

Fu lo stesso che dire al muro. Nessuno si mosse.

Allora riprese colla solita vocina:

– Deve sapere, signor Serpente, che io vado a casa, dove c’è il mio babbo che mi aspetta e che è tanto tempo che non lo vedo più!... Si contenta dunque che io seguiti per la mia strada?

Aspettò un segno di risposta a quella dimanda: ma la risposta non venne: anzi il Serpente, che fin allora pareva arzillo e pieno di vita, diventò immobile e quasi irri-gidito. Gli occhi gli si chiusero e la coda gli smesse di fumare.

– Che sia morto davvero?... – disse Pinocchio, dandosi una fregatina di mani dalla gran contentezza: e senza mettere tempo in mezzo, fece l’atto di scavalcarlo, per passare dall’altra parte della strada. Ma non aveva ancora finito di alzare la gamba, che il Serpente si rizzò Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Collodi - Le avventure di Pinocchio all’improvviso, come una molla scattata: e il burattino, nel tirarsi indietro, spaventato, inciampò e cadde per terra.

E per l’appunto cadde così male, che restò col capo conficcato nel fango della strada e con le gambe ritte su in aria.

Alla vista di quel burattino, che sgambettava a capo-fitto con una velocità incredibile il Serpente fu preso da una tal convulsione di risa, che ridi, ridi, ridi, alla fine, dallo sforzo del troppo ridere, gli si strappò una vena sul petto: e quella volta morì davvero.

Allora Pinocchio ricominciò a correre per arrivare a casa della Fata prima che si facesse buio. Ma lungo la strada non potendo più reggere ai morsi terribili della fame, saltò in un campo coll’intenzione di cogliere poche ciocche d’uva moscadella. Non l’avesse mai fatto!

Appena giunto sotto la vite, crac... sentì stringersi le gambe da due ferri taglienti, che gli fecero vedere quante stelle c’erano in cielo.

Il povero burattino era rimasto preso da una tagliuola appostata là da alcuni contadini per beccarvi alcune grosse faine, che erano il flagello di tutti i pollai del vicinato.

Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Collodi - Le avventure di PinocchioPinocchio è preso da un contadino, il quale lo costringe afar da can da guardia a un pollaio.

Pinocchio, come potete figurarvelo, si dette a piangere, a strillare, a raccomandarsi: ma erano pianti e grida inutili, perché lì all’intorno non si vedevano case, e dalla strada non passava anima viva.

Intanto si fece notte.

Un po’ per lo spasimo della tagliuola, che gli segava gli stinchi, e un po’ per la paura di trovarsi solo e al buio in mezzo a quei campi, il burattino principiava quasi a svenirsi; quando a un tratto vedendosi passare una Lucciola di sul capo, la chiamò e le disse:

– O Lucciolina, mi faresti la carità di liberarmi da questo supplizio?...

– Povero figliuolo! – replicò la Lucciola, fermandosi impietosita a guardarlo. – Come mai sei rimasto colle gambe attanagliate fra codesti ferri arrotati?

– Sono entrato nel campo per cogliere due grappoli di quest’uva moscadella, e...

– Ma l’uva era tua?

– No...

– E allora chi t’ha insegnato a portar via la roba degli altri?...

– Avevo fame...

– La fame, ragazzo mio, non è una buona ragione per potere appropriarsi la roba che non è nostra...

– è vero, è vero! – gridò Pinocchio piangendo, – ma un’altra volta non lo farò più.

A questo punto il dialogo fu interrotto da un picco-lissimo rumore di passi, che si avvicinavano.

Era il padrone del campo che veniva in punta di piedi a vedere se qualcuna di quelle faine, che mangiavano di nottetempo i polli, fosse rimasta al trabocchetto della tagliuola.

E la sua maraviglia fu grandissima quando, tirata Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Collodi - Le avventure di Pinocchio fuori la lanterna di sotto il pastrano, s’accorse che, invece di una faina, c’era rimasto preso un ragazzo.

– Ah, ladracchiolo! – disse il contadino incollerito, –

dunque sei tu che mi porti via le galline?

– Io no, io no! – gridò Pinocchio, singhiozzando. –

Io sono entrato nel campo per prendere soltanto due grappoli d’uva!...

– Chi ruba l’uva è capacissimo di rubare anche i polli. Lascia fare a me, che ti darò una lezione da ricor-dartene per un pezzo.

E aperta la tagliuola, afferrò il burattino per la collottola e lo portò di peso fino a casa, come si porterebbe un agnellino di latte.

Arrivato che fu sull’aia dinanzi alla casa, lo scaraventò in terra: e tenendogli un piede sul collo, gli disse:

Are sens