- Vorrai essere degno del nome e del titolo che porti?
- Cercherò d’esser più degno che posso del nome d’uomo, e lo sarò così d’ogni suo attributo.
- Tieni questa spada, la mia spada -. S’alzò sulle staffe, Cosimo s’abbassò sul ramo e il Barone arrivò a cingergliela.
- Grazie, signor padre... Le prometto che ne farò buon uso.
- Addio, figlio mio -. Il Barone voltò il cavallo, diede un breve tratto di redini, cavalcò via lentamente.
Cosimo stette un momento a pensare se non doveva fargli il saluto con la spada, poi rifletté che il padre glie l’aveva data perché gli servisse da difesa, non per fare delle mosse da parata, e la tenne nel fodero.
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XV
Fu in quel tempo che, frequentando il Cavalier Avvocato, Cosimo s’accorse di qualcosa di strano nel suo contegno, o meglio di diverso dal solito, più strano o meno strano che fosse. Come se la sua aria assorta non venisse più da svagatezza, ma da un pensiero fìsso che lo dominava. I momenti in cui si mostrava ciarliero adesso erano più frequenti, e se una volta, insocievole com’era, non metteva mai piede in città, ora invece era sempre al porto, nei crocchi o seduto sugli spalti coi vecchi patroni e marinai, a commentare gli arrivi e le partenze dei battelli o le malefatte dei pirati.
Al largo delle nostre coste si spingevano ancora le feluche dei pirati di Barberia, molestando i nostri traffici. Era una pirateria da poco, ormai, non più come ai tempi in cui a incontrare i pirati si finiva 3
schiavi a Tunisi o ad Algeri o ci si rimetteva naso e orecchi. Adesso, quando i Maomettani riuscivano a raggiungere una tartana d’Ombrosa, si prendevano il carico: barili di baccalà, forme di cacio olandese, balle di cotone, e via. Alle volte i nostri erano più svelti, gli sfuggivano, tiravano un colpo di spingarda contro le alberature della feluca; e i Barbareschi rispondevano sputando, facendo brutti gesti e urlacci.
Insomma, era una pirateria alla buona, che continuava per via di certi crediti che i Pascià di quei paesi pretendevano di dover esigere dai nostri negozianti e armatori, non essendo - a sentir loro - stati serviti bene in qualche fornitura, o addirittura truffati. E così cercavano di saldare il conto a poco a poco a forza di ruberie, ma nello stesso tempo continuavano le trattative commerciali, con continue contestazioni e patteggiamenti. Non c’era dunque interesse né da una parte né dall’altra a farsi degli sgarbi definitivi; e la navigazione era piena d’incertezze e di rischi, che mai però degeneravano in tragedie.
La storia che ora riferirò fu narrata da Cosimo in molte versioni differenti: mi terrò a quella più ricca di particolari e meno illogica. Se pur è certo che mio fratello raccontando le sue avventure ci aggiungeva molto di sua testa, io, in mancanza d’altre fonti, cerco 4
sempre di tenermi alla lettera di quel che lui diceva.
Dunque, una volta Cosimo, che facendo la guardia per gli incendi aveva preso l’abitudine di svegliarsi nella notte, vide un lume che scendeva nella valle. Lo seguì, silenzioso per i rami coi suoi passi da gatto, e vide Enea Silvio Carrega che camminava lesto lesto, col fez e la zimarra, reggendo una lanterna.
Cosa faceva in giro a quell’ora il Cavalier Avvocato, che era solito andare a letto con le galline? Cosimo gli andò dietro. Stava attento a non far rumore, pur sapendo che lo zio, quando camminava così infervorato, era come sordo e vedeva solo a un palmo dai suoi piedi.
Per mulattiere e scorciatoie il Cavalier Avvocato giunse sulla riva del mare, in un tratto di spiaggia sassosa, e prese ad agitare la lanterna.
Non c’era luna, nel mare non si riusciva a veder nulla, tranne un muovere di spuma delle onde più vicine. Cosimo era su un pino, un po’ distante dalla riva perché laggiù finalmente si diradava la vegetazione e non era più tanto facile di sui rami arrivare dappertutto.
Comunque, vedeva bene il vecchietto coll’alto fez sulla costa deserta, che agitava la lanterna verso il buio del mare, e da quel buio gli rispose un’altra luce di lanterna, tutt’a un tratto, vicina, come se l’avessero accesa allora allora, ed emerse velocissima una piccola 4
imbarcazione con una vela quadra oscura e i remi, diversa dalle barche di qui, e venne a riva.
All’ondeggiante luce delle lanterne Cosimo vide uomini col turbante in testa: alcuni restarono sulla barca tenendola accostata a riva con piccoli colpi di remi; altri scesero, e avevano larghi calzoni rossi ri-gonfi, e luccicanti scimitarre infilate alla vita. Cosimo aguzzava occhi e orecchi. Lo zio e quei Berberi parlottavano tra loro, in una lingua che non si capiva eppure spesso sembrava si potesse capire, e certo era la famosa lingua franca. Ogni tanto Cosimo intendeva una parola nella nostra lingua, su cui Enea Silvio insisteva frammischiandola con altre parole incomprensibili, e queste parole nostre erano nomi di navi, noti nomi di tartane o brigantini appartenenti ad armatori d’Ombrosa, o che facevano la spola tra il nostro ed altri porti.
Ci voleva poco a capire cosa stava dicendo il Cavaliere! Stava informando quei pirati sui giorni d’arrivo e di partenza delle navi d’Ombrosa, e del carico che avevano, della rotta, delle armi che portavano a bordo. Ora il vecchio doveva aver riferito tutto quel che sapeva perché si voltò e andò via veloce, mentre i pirati risalivano sulla lancia e risparivano nel mare buio. Dal modo rapido in cui la conversazione s’era svolta si capiva che doveva essere una cosa 4
abituale. Chissà da quanto tempo gli agguati barbareschi avvenivano seguendo le notizie di nostro zio!
Cosimo era rimasto sul pino, incapace di staccarsi di là, dalla marina deserta. Tirava vento, l’onda rodeva le pietre, l’albero gemeva in tutte le sue giunture e mio fratello batteva i denti, non per il freddo dell’aria ma per il freddo della trista rivelazione.
Ecco che quel vecchietto timido e misterioso che noi da ragazzi avevamo sempre giudicato infido e che Cosimo credeva d’aver imparato a poco a poco ad apprezzare e compatire si rivelava un traditore imperdonabile, un uomo ingrato che voleva il male del paese che l’aveva raccolto come un relitto dopo una vita d’errori... Perché?
A tal punto lo spingeva la nostalgia di quelle patrie e quelle genti in cui si doveva esser trovato, una volta nella sua vita, felice? Oppure covava un rancore spietato contro questo paese in cui ogni boccone doveva sapergli d’umiliazione? Cosimo era diviso tra l’impulso di correre a denunciare le mene dello spione e a salvare i carichi dei nostri negozianti, e il pensiero del dolore che ne avrebbe provato nostro padre, per quell’affetto che inspiegabilmente lo legava al fratellastro naturale. Già Cosimo immaginava la scena: il Cavaliere ammanettato in mezzo agli sbirri, tra due ali di Ombrosotti che gli inveivano contro, 4
e così era condotto nella piazza, gli mettevano il cappio al collo, l’impiccavano... Dopo la veglia funebre a Gian dei Brughi, Cosimo aveva giurato a se stesso che non sarebbe mai più stato presente a un’esecuzione capitale; ed ecco che gli toccava esser arbitro della condanna a morte d’un proprio congiunto!
Per tutta notte si tormentò in quel pensiero, e continuò per tutta la giornata seguente, passando furiosamente da un ramo all’altro, scalciando, sollevandosi con le braccia, lasciandosi scivolare per i tronchi, come sempre faceva quand’era in preda ad un pensiero.
Finalmente, prese la sua decisione: avrebbe scelto una via di mezzo: spaventare i pirati e lo zio, per far sì che troncassero il losco loro rapporto senza bisogno dell’intervento della giustizia. Si sarebbe appostato su quel pino la notte, con tre o quattro fucili carichi (ormai s’era fatto tutto un arsenale, per i vari bisogni della caccia): quando il Cavaliere si fosse incontrato coi pirati, egli avrebbe cominciato a sparare uno schioppo dopo l’altro facendo fischiare le pallottole sopra le loro teste. A sentire quella fucileria, pirati e zio sarebbero scappati ognuno per suo conto. E il Cavaliere che non era certo uomo audace, nel sospetto d’esser stato riconosciuto e nella certezza che ormai si vigilava su quei convegni della spiaggia, si sarebbe guardato bene dal 4
ritentare i suoi approcci con gli equipaggi maomettani.
Difatti, Cosimo, coi fucili puntati, aspettò sul pino per un paio di notti. E non successe niente. La terza notte, ecco il vecchietto in fez trotterellare incespicando nei sassi della riva, far segnali con la lanterna, e la barca approdare, coi marinai in turbante.
Cosimo stava pronto col dito sul grilletto, invece non sparò. Perché stavolta tutto era diverso. Dopo un breve parlamentare, due dei pirati scesi a riva fecero segno verso la barca, e gli altri cominciarono a scaricare roba: barili, casse, balle, sacchi, damigiane, barelle piene di formaggi. Non c’era una barca sola, erano in tante, tutte cariche, e una fila di portatori in turbante si snodò per la spiaggia, preceduta dal nostro zio naturale che li guidava con la sua corsetta esitante, fino a una grotta tra gli scogli. Là i Mori riposero tutte quelle merci, certo il frutto delle loro ultime piraterie.
Perché la portavano a riva? In seguito fu facile ricostruire la vicenda: dovendo la feluca barbaresca gettare l’ancora in uno dei nostri porti (per un qualche negozio legittimo, come sempre ne inter-correvano tra loro e noi in mezzo alle imprese di rapina), e dovendo quindi assoggettarsi alla perquisizione doganale, bisognava che nascondessero le mercanzie depredate in luogo sicuro, per poi ri-4
prenderle al ritorno. Così la nave avrebbe anche dato prova della sua estraneità dalle ultime ladrerie e rinsaldato i normali rapporti commerciali col paese.
Tutto questo retroscena lo si seppe chiaramente dopo. Sul momento Cosimo non si soffermò a porsi domande. C’era un tesoro di pirati nascosto in una grotta, i pirati risalivano in barca e lo lasciavano lì: bisognava al più presto impadronirsene. Per un momento mio fratello pensò d’andare a svegliare i negozianti d’Ombrosa che dovevano essere i legittimi proprietari delle mercanzie. Ma subito, si ricordò dei suoi amici carbonai che pativano la fame nel bosco con le loro famiglie. Non ebbe esitazione: corse per i rami diretto ai luoghi in cui, attorno alle grige piazzole di terra battuta, i Bergamaschi dormivano in rozze capanne.
- Presto! Venite tutti! Ho scoperto il tesoro dei pirati!
Sotto le tende e le frasche delle capanne ci fu uno sbuffìo, uno scatarrìo, un imprechìo, e alfine esclamazioni di meraviglia, domande:
- Oro? Argento?
- Non ho visto bene... - disse Cosimo. - Dall’odore, direi che c’è una quantità di stoccafisso e di formaggio pecorino!
A queste sue parole, si levarono tutti gli uomini del bosco. Chi 4