Dalla cima del frassino, Cosimo saltò su di un faggio lì vicino.
Aveva fatto appena appena in tempo: il tronco arso alla base precipitava in un rogo, di schianto, tra i vani squittii degli scoiattoli.
L’incendio si sarebbe limitato a quel punto? Già un volo di scintille e fiammelle si propagava intorno; certo la labile barriera di foglie bagnate non gli avrebbe impedito di propagarsi. - Al fuoco! Al fuoco!
- cominciò a gridare Cosimo con tutte le sue forze. - Al fuocooo!
- Che c’èee? Chi gridaaa! - rispondevano delle voci. Non lontano da quel luogo c’era una carbonaia, e una squadra di Bergamaschi suoi amici dormivano là in una baracca.
- Al fuocooo! Allarmeee!
Presto, tutta la montagna risuonò di grida. I carbonai sparsi per il bosco si davano la voce, nel loro dialetto incomprensibile. Ecco che accorrevano da ogni parte. L’incendio fu domato. Questo primo tentativo d’incendio doloso e d’attentato alla sua vita avrebbe dovuto ammonire Cosimo a tenersi lontano dal bosco. Invece cominciò a preoccuparsi di come ci si poteva tutelare dagli incendi. Era l’estate 3
d’un’annata di siccità e calura. Nei boschi della costa, dalla parte della Provenza, ardeva da una settimana un incendio smisurato. Alla notte se ne scorgevano i bagliori alti sulla montagna come un rimasuglio di tramonto. L’aria era asciutta, piante e sterpi nell’arsura erano una sola grande esca. Pareva che i venti propagassero le fiamme verso le nostre parti, se pur mai prima non fosse scoppiato qui qualche incendio casuale o doloso, ricongiungendosi con quello in un unico rogo lungo tutta la costa. Ombrosa viveva attonita sotto il pericolo, come una fortezza dal tetto di paglia assalita da nemici incendiari. Il cielo pareva non immune da questa carica di fuoco: ogni notte stelle cadenti trascorrevano fitte in mezzo al firmamento e ci s’aspettava di vederle piombare su di noi.
In quei giorni di sbigottimento generale, Cosimo fece incetta di barilotti e li issò pieni d’acqua in cima alle piante più alte e situate in luoghi dominanti. «A poco, ma a qualcosa s’è visto che possono servire». Non contento, studiava il regime dei torrenti che attraversavano il bosco, mezzo secchi com’erano, e delle sorgenti che mandavano solo un filo d’acqua. Andò a consultare il Cavalier Avvocato.
- Ah, sì! - esclamò Enea Silvio Carrega battendosi una mano sulla 3
fronte. - Bacini! Dighe! Bisogna fare dei progetti! - e scoppiava in piccoli gridi e saltelli d’entusiasmo mentre una miriade d’idee gli s’affollava alla mente.
Cosimo lo mise sotto a far calcoli e disegni, e intanto interessò i proprietari dei boschi privati, gli appaltatori dei boschi demaniali, i taglialegna, i carbonai. Tutti insieme, sotto la direzione del Cavalier Avvocato (ossia, il Cavalier Avvocato sotto tutti loro, forzato a dirigerli e a non distrarsi) e con Cosimo che sovrintendeva ai lavori dall’alto, costruirono delle riserve d’acqua in modo che in ogni punto in cui fosse scoppiato un incendio si sapesse dove far capo con le pompe.
Ma non bastava, bisognava organizzare una guardia di spegnitori, squadre che in caso d’allarme sapessero subito disporsi a catena per passarsi di mano in mano secchi d’acqua e frenare l’incendio prima che si fosse propagato. Ne venne fuori una specie di milizia che faceva turni di guardia e ispezioni notturne. Gli uomini erano reclutati da Cosimo tra i contadini e gli artigiani d’Ombrosa. Subito, come succede in ogni associazione, nacque uno spirito di corpo, un’emulazione tra le squadre, e si sentivano pronti a fare grandi cose. Anche Cosimo si sentì una nuova forza e contentezza: aveva scoperto una sua attitudine 3
ad associare la gente e a mettersi alla loro testa; attitudine di cui, per sua fortuna, non fu mai portato ad abusare, e la mise in opera soltanto pochissime volte in vita sua, sempre in vista d’importanti risultati da conseguire, e sempre riportando dei successi.
Capì questo: che le associazioni rendono l’uomo più forte e mettono in risalto le doti migliori delle singole persone, e danno la gioia che raramente s’ha restando per proprio conto, di vedere quanta gente c’è onesta e brava e capace e per cui vale la pena di volere cose buone (mentre vivendo per proprio conto capita più spesso il contrario, di vedere l’altra faccia della gente, quella per cui bisogna tener sempre la mano alla guardia della spada).
Dunque questa degli incendi fu una buona estate: c’era un problema comune che stava a cuore a tutti di risolvere, e ciascuno lo metteva avanti agli altri suoi interessi personali, e di tutto lo ripagava la soddisfazione di trovarsi in concordia e stima con tante altre ottime persone.
Più tardi, Cosimo dovrà capire che quando quel problema comune non c’è più, le associazioni non sono più buone come prima, e val meglio essere un uomo solo e non un capo. Ma per intanto, essendo un capo, passava le notti tutto solo nel bosco di sentinella, su un albero 3
come era sempre vissuto.
Se mai vedeva fiammeggiare un focolaio d’incendio, aveva predisposto sulla cima dell’albero una campanella, che poteva esser sentita di lontano e dar l’allarme. Con questo sistema, tre o quattro volte che scoppiarono incendi, riuscirono a domarli in tempo ed a salvare i boschi. E poiché v’entrava il dolo, scoprirono i colpevoli in quei due briganti di Ugasso e Bel-Loré, e li fecero bandire dal territorio del Comune. A fine d’agosto cominciarono gli acquazzoni; il pericolo degli incendi era passato.
In quel tempo non si sentiva che dir bene di mio fratello, a Ombrosa. Anche a casa nostra giungevano queste voci favorevoli, questi: «Però, è così bravo», «Però, certe cose le fa bene», col tono di chi vuol fare apprezzamenti obiettivi su persona di diversa religione, o di partito contrario, e vuol mostrarsi di mente così aperta da comprendere anche le idee più lontane dalle proprie.
Le reazioni della Generalessa a queste notizie erano brusche e sommarie. - Hanno armi? - chiedeva, quando le parlavano della guardia contro gli incendi messa insieme da Cosimo, - fanno gli esercizi? - perché lei già pensava alla costituzione d’una milizia armata che potesse, nel caso d’una guerra, prender parte a operazioni militari.
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Nostro padre invece stava a sentire in silenzio, scuotendo la testa che non si capiva se ogni notizia su quel figlio gli giungesse dolorosa o se invece annuisse, toccato da un fondo di lusinga, non aspettando altro che di poter tornare a sperare in lui. Doveva essere così, a quest’ultimo modo, perché dopo qualche giorno montò a cavallo e andò a cercarlo.
Fu un luogo aperto, dove s’incontrarono, con una fila d’alberelli intorno. Il Barone girò il cavallo in su e in giù due o tre volte, senza guardare il figlio, ma l’aveva visto. Il ragazzo dall’ultima pianta, salto a salto, venne su piante sempre più vicine. Quando fu davanti al padre si cavò il cappello di paglia (che d’estate sostituiva al berretto di gatto selvatico) e disse: - Buongiorno, signor padre.
- Buongiorno, figlio.
- Sta ella bene?
- Compatibilmente agli anni e ai dispiaceri.
- Godo di vederla valente.
- Così voglio dire di te, Cosimo. Ho sentito che ti adoperi pel vantaggio comune.
- Ho a cuore la salvaguardia delle foreste dove vivo, signor padre.
- Sai che un tratto del bosco è di nostra proprietà, ereditato dalla tua 3
povera nonna Elisabetta buonanima?
- Sì, signor padre. In località Belrìo. Vi crescono trenta castagni, ventidue faggi, otto pini e un acero. Ho copia di tutte le mappe catastali. È appunto come membro di famiglia proprietaria di boschi che ho voluto consociare tutti gli interessati a conservarli.
- Già, - disse il Barone, accogliendo favorevolmente la risposta. Ma aggiunse: - Mi dicono sia un’associazione di fornai, ortolani e maniscalchi.
- Anche, signor padre. Di tutte le professioni, purché oneste.
- Tu sai che potresti comandare alla nobiltà vassalla col titolo di duca?
- So che quando ho più idee degli altri, do agli altri queste idee, se le accettano; e questo è comandare.
«E per comandare, oggigiorno, s’usa star sugli alberi?» aveva sulla punta della lingua il Barone. Ma a che valeva tirar ancora in ballo quella storia? Sospirò, assorto nei suoi pensieri. Poi si sciolse la cinta cui era appesa la sua spada. - Hai diciott’anni... È tempo che ti si consideri un adulto... Io non avrò più molto da vivere... - e reggeva la spada piatta con le due mani. - Ricordi d’essere Barone di Rondò?
- Sì, signor padre, ricordo il mio nome.
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