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Add to favorite 🔥 🔥 "Il barone rampante" di Italo Calvino

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- Vous savez, monsieur, les armées font toujours des dégâts, quellesque soient les idées qu ‘elles apportent.

- Oui, nous aussi nous faisons beaucoup de dégàts... mais nous n’apportons pas d’idées...

Era malinconico e inquieto, eppure era un vincitore. Cosimo lo prese in simpatia e voleva consolarlo: - Vous avez vaincu!

- Oui. Nous avons bien combattu. Très bien. Mais peut-ètre...

S’udì uno scoppio d’urla, un tonfare, un cozzar d’armi. - Kto tam? -

fece l’ufficiale. Tornarono i cosacchi, e trascinavano per terra dei corpi mezzi nudi, e in mano reggevano qualcosa, nella sinistra (la destra impugnava la larga sciabola ricurva, sguainata e - sì - grondante sangue) e questo qualcosa erano le teste barbute di quei tre ubriaconi d’usseri. - Frantsuzy! Napoleoni Tutti ammazzati!

Il giovane ufficiale con secchi ordini li fece portare via. Voltò il capo. Parlò ancora a Cosimo:

- Vous voyez... La guerre... Il y a plusieurs années que je fais le mieux que je puis une chose affreuse: la

guerre... et tout cela pour des idéals que je ne saurais presqueexpliquer moi-même...

- Anch’io, - rispose Cosimo, - vivo da molti a ni per degli ideali che non saprei spiegare neppure a me stesso: mais je fais une chose tout a fait bonne:

vis dans les arbres.

L’ufficiale da melanconico s’era fatto nervoso - Alors, - disse, - je

dois m’en aller. - Salutò militarmente. - Adieu, monsieur... Quel est votre nom?

- Le Baron Cosmo de Rondeau, - gli gridò dietro Cosimo, che già lui era partito. - Prošcajte, GOSPO din... Et le votre?

- Je suis le Prince Andrèj... - e il galoppo del cavallo si portò via il cognome.

XXX

Ora io non so che cosa ci porterà questo secolo de-cimonono, cominciato male e che continua sempre peggio. Grava sull’Europa l’ombra della Restaurazione; tutti i novatori - giacobini o bonapartisti che fossero - sconfitti; l’assolutismo e i gesuiti rianno il campo; gli ideali della giovinezza, i lumi, le speranze del nostro secolo decimottavo, tutto è cenere.

Io confido i miei pensieri a questo quaderno, né saprei altrimenti esprimerli: sono stato sempre un uomo posato, senza grandi slanci o smanie, padre di famiglia, nobile di casato, illuminato di idee, os-sequiente alle leggi. Gli eccessi della politica non m’hanno dato mai scrolloni troppo forti, e spero che così continui. Ma dentro, che tristezza!

Prima era diverso, c’era mio fratello; mi dicevo:

«c’è già lui che ci pensa» e io badavo a vivere. Il segno delle cose cambiate per me non è stato né l’arrivo degli Austrorussi né l’annessione al Piemonte né le nuove tasse o che so io, ma il non veder più lui, aprendo la finestra, lassù in bilico. Ora che lui non c’è, mi pare che dovrei pensare a tante cose, la filosofìa, la politica, la storia, seguo le gazzette, leggo i libri, mi ci rompo la testa, ma le cose che voleva dire lui non sono lì, è altro che lui intendeva, qualcosa che abbracciasse tutto, e non poteva dirla con parole ma solo vivendo come vis

se. Solo essendo così spietatamente se stesso come fu fino alla morte, poteva dare qualcosa a tutti gli uomini.

Ricordo quando s’ammalò. Ce ne accorgemmo perché portò il suo giaciglio sul grande noce là in mezzo alla piazza. Prima, i luoghi dove dormiva li aveva sempre tenuti nascosti, col suo istinto selvatico. Ora sentiva bisogno d’essere sempre in vista degli altri. A me si strinse il cuore: avevo sempre pensato che non gli sarebbe piaciuto di morire solo, e quello forse era già un segno. Gli mandammo un medico, su con una scala; quando scese fece una smorfia ed allargò le braccia.

Salii io sulla scala. - Cosimo, - principiai a dirgli, - hai

sessantacinque anni passati, come puoi continuare a star lì in cima?

Ormai quello che volevi dire l’hai detto, abbiamo capito, è stata una gran forza d’animo la tua, ce l’hai fatta, ora puoi scendere. Anche per chi ha passato tutta la vita in mare c’è un’età in cui si sbarca.

Macché. Fece di no con la mano. Non parlava quasi più. S’alzava, ogni tanto, avvolto in una coperta fin sul capo, e si sedeva su un ramo a godersi un po’ di sole. Più in là non si spostava. C’era una vecchia del popolo, una santa donna (forse una sua antica amante), che andava a fargli le pulizie, a portargli piatti caldi. Tenevamo la scala a pioli ap-poggiata contro il tronco, perché c’era sempre bisogno d’andar su ad aiutarlo, e anche perché si sperava che si decidesse da un momento all’altro a venir giù. (Lo speravano gli altri; io lo sapevo bene come lui era fatto). Intorno, sulla piazza c’era sempre un circolo di gente che gli teneva compagnia, discorrendo tra loro e talvolta anche rivolgendogli una battuta, sebbene si sapesse che non aveva più voglia di parlare.

S’aggravò. Issammo un letto sull’albero, riuscim-

mo a sistemarlo in equilibrio; lui si coricò volentieri. Ci prese un po’ il rimorso di non averci pensato prima: a dire il vero lui le comodità non le rifiutava mica: pur che fosse sugli alberi, aveva sempre cercato di vivere meglio che poteva. Allora ci affrettammo a

dargli altri conforti: delle stuoie per ripararlo dall’aria, un baldacchino, un braciere. Migliorò un poco, e gli portammo una poltrona, la assicu-rammo tra due rami; prese a passarci le giornate, avvolto nelle sue coperte.

Un mattino invece non lo vedemmo né in letto né in poltrona, alzammo lo sguardo, intimoriti: era salito in cima all’albero e se ne stava a cavalcioni d’un ramo altissimo, con indosso solo una camicia.

- Che fai lassù?

Non rispose. Era mezzo rigido. Sembrava stesse là in cima per miracolo. Preparammo un gran lenzuolo di quelli per raccogliere le olive, e ci mettemmo in una ventina a tenerlo teso, perché ci s’aspettava che cascasse.

Intanto andò su un medico; fu una salita difficile, bisognò legare due scale una sull’altra. Scese e disse: - Vada il prete.

C’eravamo già accordati che provasse un certo Don Pericle, suo amico, prete costituzionale al tempo dei Francesi, iscritto alla Loggia quando ancora non era proibito al clero, e di recente riammesso ai suoi uffici dal Vescovado, dopo molte traversie. Salì coi paramenti e il ciborio, e dietro il chierico. Stette un po’ lassù, pareva confabulassero, poi scese. - Li ha presi i sacramenti, allora. Don Pericle?

- No, no, ma dice che va bene, che per lui va bene -. Non si riuscì a cavargli di più.

Gli uomini che tenevano il lenzuolo erano stanchi. Cosimo stava lassù e non si muoveva. Si levò il vento, era libeccio, la vetta dell’albero ondeggia

va, noi stavamo pronti. In quella in cielo apparve una mongolfiera.

Certi aeronauti inglesi facevano esperienze di volo in mongolfiera sulla costa. Era un bel pallone, ornato di frange e gale e fiocchi, con appesa una navicella di vimini: e dentro due ufficiali con le spalline d’oro e le aguzze feluche guardavano col cannocchiale il paesaggio sottostante. Puntarono i cannocchiali sulla piazza, osservando l’uomo sull’albero, il lenzuolo teso, la folla, aspetti strani del mondo. Anche Cosimo aveva alzato il capo, e guardava attento il pallone.

Quand’ecco la mongolfiera fu presa da una girata di libeccio; cominciò a correre nel vento vortican-do come una trottola, e andava verso il mare. Gli aeronauti, senza perdersi d’animo, s’adoperavano a ridurre - credo - la pressione del pallone e nello stesso tempo srotolarono giù l’ancora per cercare d’afferrarsi a qualche appiglio.

L’ancora volava argentea nel cielo appesa a una lunga fune, e seguendo obliqua la corsa del pallone ora passava sopra la piazza, ed era

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