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Add to favorite 🔥 🔥 "Il barone rampante" di Italo Calvino

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La gente già s’affollava lì sotto per sentire che pazzie tirava fuori, e canzonarlo. Invece lui, sbuffando e scatarrando, s’alzò dal sacco, disse: - Vi faccio vedere dove, - e s’avviò per i rami.

Su alcuni noci o querce, tra il bosco e il coltivato, in posizioni scelte con gran cura, Cosimo volle che portassero delle pecore o degli agnelli e li legò lui stesso ai rami, vivi, belanti, ma in modo che non potessero cascar giù. Su ognuno di questi alberi nascose poi un fucile caricato a palla. Lui pure si vestì da pecora: cappuccio, giubba, brache, tutto di ricciuto vello ovino. E si mise ad aspettare la notte al sereno su quegli alberi. Tutti credevano che fosse la più grossa delle sue pazzie.

Invece quella notte calarono i lupi. Sentendo l’odor della pecora, udendone il belato e poi vedendola lassù, tutto il branco si fermava a piè dell’albero, e ululavano, con affamate fauci aperte all’aria, e

puntavano le zampe contro il tronco. Ecco che allora, balzelloni sui rami, s’avvicinava Cosimo, e i lupi vedendo quella forma tra la pecora e l’uomo che saltava lassù come un uccello restavano allocchiti a bocca aperta. Finché «Bum! Bum!» si pigliavano due pallottole giuste in gola. Due: perché un fucile

Cosimo se lo portava con sé (e lo ricaricava poi ogni volta) e un altro era lì pronto con la pallottola in canna su ogni albero; dunque ogni volta erano due lupi che restavano stesi sulla terra gelata. Ne sterminò così un gran numero e ad ogni sparo i branchi volgevano in rotta disorientati, e i cacciatori accorrendo dove sentivano gli urli e gli spari facevano il resto.

Di questa caccia ai lupi, in seguito, Cosimo raccontava episodi in molte versioni, e non so dire quale fosse la giusta. Per esempio: - La battaglia procedeva per il meglio quando, muovendo verso l’albero dell’ultima pecora, ci trovai tre lupi che erano riusciti ad arrampicarsi sui rami e la stavano finendo. Mezzo cieco e stordito dal raffreddore com’ero, arrivai quasi sul muso dei lupi senza accorgermene. I lupi, al vedere quest’altra pecora che camminava in piedi per i rami, le si voltarono contro, spalancando le fauci ancora rosse di sangue. Io avevo il fucile scarico, perché dopo tanta sparatoria ero rimasto senza

polvere; e il fucile preparato su quell’albero non potevo raggiungerlo perché c’erano i lupi. Ero su di un ramo secondario e un po’ tenero, ma sopra di me avevo a portata di braccia un ramo più robusto.

Cominciai a camminare a ritroso sul mio ramo, lentamente allontanandomi dal tronco. Un lupo, lentamente, mi seguì. Ma io con le mani mi tenevo appeso al ramo di sopra, e i piedi fingevo di muoverli su quel ramo tenero; in realtà mi ci tenevo sospeso sopra. Il lupo, ingannato, si fidò ad avanzare, e il ramo gli si piegò sotto, mentre io d’un balzo mi sollevavo sul ramo di sopra. Il lupo cadde con un appena accennato abbaio da cane, e per terra si spezzò le ossa restandoci stecchito.

- E gli altri due lupi?

- ... Gli altri due mi stavano studiando, immobi-

li. Allora, tutto d’un colpo, mi tolsi giubba e cappuccio di pel di pecora e glieli gettai. Uno dei due lupi, a vedersi volare addosso quest’ombra bianca d’agnello, cercò d’afferrarla coi denti, ma essendosi preparato a reggere un gran peso e quella essendo invece una vuota spoglia, si trovò sbilanciato e perse l’equilibrio, finendo pure lui per spezzarsi zampe e collo al suolo.

- Ne resta ancora uno...

- ... Ne resta ancora uno, ma essendomi improvvisamente alleggerito negli abiti buttando via la giubba, mi venne uno di quegli starnuti da far tremare il cielo. Il lupo, a quel prorompere così improvviso e nuovo, ebbe un tale soprassalto che cadde dalla pianta rompendosi il collo come gli altri.

Così mio fratello raccontava la sua notte di battaglia. Quello che è certo è che il freddo che aveva preso, già malaticcio Com’era, quasi gli fu fatale. Stette alcuni giorni tra la morte e la vita, e fu curato a spese del Comune d’Ombrosa, in segno di riconoscenza. Steso in un’amaca, era circondato da un sali e scendi di dottori sulle scale a pioli. I migliori medici del circondario furono chiamati a consulto, e chi gli faceva serviziali, chi salassi, chi senapismi, chi fomenti.

Nessuno parlava più del Barone di Rondò come d’un matto, ma tutti come d’uno dei più grandi ingegni e fenomeni del secolo.

Questo finché restò ammalato. Quando guarì, si tornò a dirlo chi savio come prima, chi matto come sempre. Fatto sta che non fece più tante stranezze. Continuò a stampare un ebdomadario, intitolato non più II Monitore dei Bipedi ma II Vertebrato Ragionevole.

XXV

Io non so se a quell’epoca già fosse stata fondata a Ombrosa una Loggia di Franchi Muratori: venni iniziato alla Massoneria molto più tardi, dopo la prima campagna napoleonica, insieme con gran parte della borghesia abbiente e della piccola nobiltà dei nostri posti e non so dire perciò quali siano stati i primi rapporti di mio fratello con la Loggia. Al proposito citerò un episodio occorso pressapoco ai tempi di cui sto ora narrando, e che varie testimonianze confermerebbero per vero.

Arrivarono un giorno a Ombrosa due spagnoli, viaggiatori di passaggio. Si recarono a casa di certo Bartolomeo Cavagna, pasticciere, noto come frammassone. Pare si qualificassero per confratelli della Loggia di Madrid, talché egli li condusse la sera ad assistere a una seduta della Massoneria ombrosotta, che allora si riuniva al lume di torce e ceri in una radura in mezzo al bosco. Di tutto questo s’ha notizia solo da voci e supposizioni: quel che è certo è che l’indomani i due spagnoli, appena usciti dalla loro locanda, furono seguiti da Cosimo di Rondò che non visto li sorvegliava dall’alto degli alberi.

I due viaggiatori entrarono nel cortile d’un’osteria fuori porta.

Cosimo s’appostò sopra un glicine. A un tavolo c’era un avventore che

attendeva i due; non se ne vedeva il viso, adombrato da un cappello nero a larghe tese. Quelle tre teste, anzi

bacchiatura e i contadini avevano appeso dei lenzuoli da un albero all’altro, per raccogliere le noci che bacchiavano. Cosimo corse su un noce, saltò nel lenzuolo, e lì si tenne ritto, frenando i piedi che gli scivolavano sulla tela in quella specie di grande amaca.

- Salite voi di due spanne. Don Sulpicio, che io sono disceso più di quanto non sia solito! - e snudò anche lui la spada.

Lo spagnolo saltò lui pure sul lenzuolo teso. Era difficile tenersi ritti, perché il lenzuolo tendeva a chiudersi a sacco intorno alle loro persone, ma i due contendenti erano tanto accaniti che riuscirono a incrociare i ferri.

- Alla maggior gloria di Dio!

- A Gloria del Grande Architetto dell’Universo! E si menavano fendenti.

- Prima che vi pianti questa lama nel piloro, -disse Cosimo, - datemi notizia della Sonorità Ursula.

- È morta in un convento!

Cosimo fu turbato dalla notizia (che però io penso fosse inventata a

bella posta) e l’ex gesuita ne approfittò per un colpo mancino. Con un a-fondo raggiunse una delle cocche che legate ai rami dei noci sostenevano il lenzuolo dalla parte di Cosimo, e la tagliò di netto.

Cosimo sarebbe certo caduto se non fosse stato lesto a gettarsi sul lenzuolo dalla parte di Don Sulpicio e ad aggrapparsi a un lembo. Nel balzo, la sua spada travolse la guardia dello spagnolo e l’infilzò nel ventre. Don Sulpicio s’abbandonò, scivolò giù per il lenzuolo inclinato dalla parte dove aveva tagliato la cocca, e cadde a terra. Cosimo s’arrampicò sul noce. Gli altri due ex gesuiti sollevarono il corpo del compagno ferito o morto (non si seppe mai bene), scapparono e non si fecero mai più rivedere.

La gente s’affollò intorno al lenzuolo insanguinato. Da quel giorno mio fratello ebbe fama generale di frammassone.

Il segreto della Società non mi permise di saperne di più. Quando io entrai a farne parte, come ho detto, intesi parlare di Cosimo come d’un anziano fratello i cui rapporti con la Loggia non erano ben chiari, e chi lo definiva «dormiente», chi un eretico passato ad altro rito, chi addirittura un apostata;

ma sempre con gran rispetto per la sua attività passata. Non escludo neppure che potesse esser stato lui quel leggendario Maestro «Picchio

Muratore» cui s’attribuiva la fondazione della Loggia «all’Oriente d’Ombrosa», e che d’altronde la descrizione dei primi riti che vi si sarebbero tenuti, risentirebbero dell’influenza del Barone: basti dire che i neofiti venivano bendati, fatti salire in cima a un albero e calati appesi a corde.

È certo che da noi le prime riunioni dei Frammassoni si svolgevano la notte in mezzo ai boschi. La presenza di Cosimo quindi sarebbe più che giustificata, tanto nel caso che sia stato lui a ricevere dai suoi corrispondenti forestieri gli opuscoli con le Costituzioni massoniche e a fondare qui la Loggia, quanto nel caso che sia stato qualcun altro, probabilmente dopo esser stato iniziato in Francia o in Inghilterra, a introdurre i riti anche ad Ombrosa. Forse è possibile che la Massoneria esistesse già da tempo, all’insaputa di Cosimo, ed egli casualmente una notte, muovendosi per gli alberi del bosco, scoprisse in una radura una riunione d’uomini con strani paramenti e arnesi, alla luce di candelabri, si soffermasse di lassù ad ascoltare, e poi intervenisse gettando lo scompiglio con una qualche uscita sconcertante, come per esempio: - Se alzi un muro, pensa a ciò che resta fuori! - (frase che gli sentii

spesso ripetere), o un’altra delle sue, e i Massoni, riconosciuta la

sua alta dottrina, lo facessero entrare nella Loggia, con cariche speciali, ed apportandovi un gran numero di nuovi riti e simboli.

Sta il fatto che per tutto il tempo che mio fratello ci ebbe a che fare, la Massoneria all’aperto (come la chiamerò per distinguerla da quella che si riunirà poi in un edificio chiuso) ebbe un rituale molto più ricco, in cui entravano civette, telescopi, pigne, pompe idrauliche, funghi, diavolini di Cartesio, ragnatele, tavole pitagoriche. Vi era anche un certo sfoggio di teschi, ma non solo umani, bensì anche crani di mucche, lupi ed aquile. Siffatti oggetti ed altri ancora, tra cui le cazzuole, le squadre e i compassi della normale liturgia massonica, venivano trovati a quel tempo appesi ai rami in bizzarri accostamenti, e attribuiti ancora alla pazzia del Barone. Solo poche persone lasciavano capire che adesso questi rebus avevano un significato più serio; ma d’altronde non si è mai potuto tracciare una separazione netta tra i segnali di prima e quelli di dopo, ed escludere che sin da principio fossero segni esoterici d’una qualche società segreta.

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