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Perché Cosimo già molto tempo prima che alla Massoneria era affiliato a varie associazioni o confraternite di mestiere, come quella di San Crispino o dei Calzolai, o quella dei Virtuosi Bottai, dei Giusti Armaiuoli o dei Cappellai Coscienziosi. Facendosi da sé quasi tutte le

cose che gli servivano, conosceva le arti più varie, e poteva vantarsi membro di molte corporazioni, che da parte loro erano ben contente d’avere tra loro un membro di nobile famiglia, di bizzarro ingegno e di provato disinteresse.

Come questa passione che Cosimo sempre dimostrò per la vita associata si conciliasse con la sua perpetua fuga dal consorzio civile, non ho mai ben

II barone rampante

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compreso, e ciò resta una delle non minori singolarità del suo carattere. Si direbbe che egli, più era deciso a star rintanato tra i suoi rami, più sentiva il bisogno di creare nuovi rapporti col genere umano.

Ma per quanto ogni tanto si buttasse, anima e corpo, a organizzare un nuovo sodalizio, stabilendone meticolosamente gli statuti, le finalità, la scelta degli uomini più adatti per ogni carica, mai i suoi compagni sapevano fino a che punto potessero contare su di lui, quando e dove potevano incontrarlo, e quando invece sarebbe stato improvvisamente ripreso dalla sua natura da uccello e non si sarebbe lasciato più acchiappare. Forse, se proprio si vuole ricondurre a un unico impulso questi atteggiamenti contraddittori, bisogna pensare che egli fosse ugualmente nemico d’ogni tipo di convivenza umana vigente ai tempi suoi, e perciò tutti li fuggisse, e s’affannasse ostinatamente a sperimen-tarne di nuovi: ma nessuno d’essi gli pareva giusto e diverso dagli altri abbastanza; da ciò le sue continue parentesi di selvatichezza assoluta.

Era un’idea di società universale, che aveva in mente. E tutte le volte che s’adoperò per associar persone, sia per fini ben precisi come la guardia contro gli incendi o la difesa dai lupi, sia in confraternite di mestiere come i Perfetti Arrotini o gli Illuminati Conciatori di Pelli, siccome riusciva sempre a farli radunare nel bosco, nottetempo,

intorno a un albero, dal quale egli predicava, ne veniva sempre un’aria di congiura, di setta, d’eresia, e in quell’aria anche i discorsi passavano facilmente dal particolare al generale e dalle semplici regole d’un mestiere manuale si passava come niente al progetto d’instaurare una repubblica mondiale di uguali, di liberi e di giusti.

Nella Massoneria Cosimo dunque non faceva che ripetere quel che già aveva fatto nelle altre società segrete o semisegrete cui aveva partecipato. E quando un certo Lord Liverpuck, mandato dalla Gran Loggia di Londra a visitare i confratelli del Continente, capitò a Ombrosa mentre era Maestro mio fratello, restò così scandalizzato dalla sua poca ortodossia che scrisse a Londra questa d’Ombrosa dover essere una nuova Massoneria di rito scozzese, pagata dagli Stuart per fare propaganda contro il trono degli Hannover, per la restaurazione giacobita.

Dopo di ciò avvenne il fatto che ho raccontato, dei due viaggiatori spagnoli che si presentarono per massoni a Bartolomeo Cavagna.

Invitati a una riunione della Loggia, essi trovarono tutto normalissimo, anzi dissero che era proprio tal quale all’Oriente di Madrid. Fu questo a insospettire Cosimo, che sapeva bene quanta parte di quel rituale fosse di sua invenzione: fu per questo che si mise sulle tracce degli

spioni e li smascherò e trionfò sul suo vecchio nemico Don Sulpicio.

Comunque, io sono dell’idea che questi cambiamenti di liturgia fossero un bisogno suo personale, perché di tutti i mestieri avrebbe potuto prendere i simboli a ragion veduta, tranne che quelli del mu-ratore, lui che di case in muratura non ne aveva mai volute né costruire né abitare.

XXVI

Ombrosa era una terra di vigne, anche. Non l’ho mai messo in risalto perché seguendo Cosimo ho dovuto tenermi sempre alle piante d’alto fusto. Ma c’erano vaste pendici di vigneti, e ad agosto sotto il fogliame dei filari l’uva rossese gonfiava in grappoli d’un succo denso già di color vino. Certe vigne erano a pergola: lo dico anche perché Cosimo invecchiando s’era fatto così piccolo e leggero e aveva così bene imparata l’arte di camminare senza peso che le travi dei pergolati lo reggevano. Egli poteva dunque passare sulle vigne, e così andando, e aiutandosi con gli alberi da frutta intorno, e reggendosi ai pali detti scarasse, poteva fare molti lavori come la potatura, d’inverno, quando le viti sono nudi ghirigori attorno al fil di ferro, o sfittire la troppa foglia d’estate, o cercare gli insetti, e poi a settembre la vendemmia.

Per la vendemmia veniva a giornata nelle vigne tutta la gente ombrosotta, e tra il verde dei filari non si vedeva che sottane a colori vivaci e berrette con la nappa. I mulattieri caricavano corbe piene sui basti e le vuotavano nei tini; altre se le prendevano i vari esattori che venivano con squadre di sbirri a controllare i tributi per i nobili del luogo, per il Governo della Repubblica di Genova, per il clero ed altre decime. Ogni anno succedeva qualche lite.

Le questioni delle parti del raccolto da erogare a destra e a manca furono quelle che dettero motivo alle maggiori proteste sui «quaderni di doglianza», quando ci fu la rivoluzione in Francia. Su questi quaderni si misero a scriverci anche a Ombrosa, tanto per provare, anche se qui non serviva proprio a niente. Era stata una delle idee di Cosimo, il quale in quel tempo non aveva più bisogno d’andare alle riunioni della Loggia per discutere con quei quattro vuotafìaschi di Massoni. Stava sugli alberi della piazza e gli veniva intorno tutta la gente della marina e della campagna a farsi spiegare le notizie, perché lui riceveva le gazzette con la posta, e in più aveva certi amici suoi che gli scrivevano, tra cui l’astronomo Bailly, che poi lo fecero maire di Parigi, e altri clubisti. Tutti i momenti ce n’era una nuova: il Necker, e la pallacorda, e la Bastiglia, e Lafayette col cavallo bianco, e re Luigi travestito da lacchè. Cosimo spiegava e recitava tutto saltando da un ramo all’altro, e su un ramo faceva Mirabeau alla tribuna, e sull’altro Marat ai Giacobini, e su un altro ancora re Luigi a Versaglia che si metteva la berretta rossa per tener buone le comari venute a piedi da Parigi.

Per spiegare cos’erano i «quaderni di doglianza», Cosimo disse: -

Proviamo a farne uno -. Prese un quaderno da scuola e l’appese

all’albero con uno spago; ognuno veniva lì e ci segnava le cose che non andavano. Ne saltavano fuori d’ogni genere: sul prezzo del pesce i pescatori, e i vignaioli sulle decime, e i pastori sui confini dei pascoli, e i boscaioli sui boschi del demanio, e poi tutti quelli che avevano parenti in galera, e quelli che s’erano presi dei tratti di corda per un qualche reato, e quelli che ce l’avevano coi nobili per questioni di donne: non si finiva più. Cosimo pensò che anche se era un «quaderno di doglianza» non era bello

che fosse così triste, e gli venne l’idea di chiedere a ognuno che scrivesse la cosa che gli sarebbe piaciuta di più. E di nuovo ciascuno andava a metterci la sua, stavolta tutto in bene: chi scriveva della focaccia, chi del minestrone; chi voleva una bionda, chi due brune; chi gli sarebbe piaciuto dormire tutto il giorno, chi andare per funghi tutto l’anno; chi voleva una carrozza con quattro cavalli, chi si contentava d’una capra; chi avrebbe desiderato rivedere sua madre morta, chi incontrare gli dèi dell’Olimpo: insomma tutto quanto c’è di buono al mondo veniva scritto nel quaderno, oppure disegnato, perché molti non sapevano scrivere, o addirittura pitturato a colori. Anche Cosimo ci scrisse: un nome: Viola. Il nome che da anni scriveva dappertutto.

Ne venne un bel quaderno, e Cosimo lo intitolò «Quaderno della doglianza e della contentezza». Ma quando fu riempito non c’era nessuna assemblea a cui mandarlo, perciò rimase lì, appeso all’albero con uno spago, e quando piovve restò a cancellarsi e a infradiciarsi, e quella vista faceva stringere i cuori degli Ombrosotti per la miseria presente e li riempiva di desiderio di rivolta.

Insomma, c’erano anche da noi tutte le cause della Rivoluzione francese. Solo che non eravamo in Francia, e la Rivoluzione non ci fu.

Viviamo in un paese dove si verificano sempre le cause e non gli

effetti.

A Ombrosa, però, corsero ugualmente tempi grossi. Contro gli Austrosardi l’esercito repubblicano muoveva guerra lì a due passi.

Massena a Collardente, Laharpe sul Nervia, Mouret lungo la Cornice, con Napoleone che allora era soltanto generale d’artiglieria, cosicché quei rombi che si udivano

giungere a Ombrosa sul vento or sì or no, era proprio lui che li faceva.

A settembre ci si preparava per la vendemmia. E pareva ci si preparasse per qualcosa di segreto e di terribile.

I conciliaboli di porta in porta:

- L’uva è matura!

- È matura! Eh già!

- Altro che matura! Si va a cogliere!

- Si va a pigiare!

- Ci siamo tutti! Tu dove sarai?

- Alla vigna di là del ponte. E tu? E tu?

- Dal Conte Pigna.

- Io alla vigna del mulino.

- Hai visto quanti sbirri? Paiono merli calati a beccare i grappoli.

Are sens

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