Insomma, gli era presa quella smania di chi racconta storie e non sa mai se sono più belle quelle che gli sono veramente accadute e che a rievocarle riportano con sé tutto un mare d’ore passate, di sentimenti minuti, tedii, felicità, incertezze, vanaglorie, nausee di sé, oppure quelle che ci s’inventa, in cui si taglia giù di grosso, e tutto appare facile, ma poi più si svaria più ci s’accorge che si torna a parlare delle cose che s’è avuto o capito in realtà vivendo.
Cosimo era ancora nell’età in cui la voglia di raccontare dà voglia di vivere, e si crede di non averne vissute abbastanza da raccontarne, e così partiva a caccia, stava via settimane, poi tornava sugli alberi della piazza reggendo per la coda faine, tassi e volpi, e raccontava agli 6
Ombrosotti nuove storie che da vere, raccontandole, diventavano inventate, e da inventate, vere.
Ma in tutta quella smania c’era un’insoddisfazione più profonda, una mancanza, in quel cercare gente che l’ascoltasse c’era una ricerca diversa. Cosimo non conosceva ancora l’amore, e ogni esperienza, senza quella, che è? Che vale aver rischiato la vita, quando ancora della vita non conosci il sapore?
Le ragazze ortolane o pescivendolo passavano per la piazza d’Ombrosa, e le damigelle in carrozza, e Cosimo dall’albero gettava occhiate sommarie e ancora non aveva capito bene perché in tutte c’e-ra qualcosa che lui cercava e che non era interamente in nessuna. A notte, quando nelle case s’accendevano le luci e sui rami Cosimo era solo con i gialli occhi dei gufi, gli veniva da sognare l’amore. Per le coppie che si davano convegno dietro le siepi e tra i filari, s’empiva d’ammirazione e invidia, e le seguiva con lo sguardo perdersi nel buio, ma se
si sdraiavano al piede del suo albero scappava via pieno di vergogna.
Allora, per vincere il pudore naturale dei suoi occhi, si fermava a osservare gli amori degli animali. A primavera il mondo sopra gli 6
alberi era un mondo nuziale: gli scoiattoli s’amavano con mosse e squittii quasi umani, gli uccelli s’accoppiavano sbattendo le ali, anche le lucertole correvano via unite, con le code strette a nodo; e i porcospini parevano diventati morbidi per rendere più dolci i loro abbracci. Il cane Ottimo Massimo, per nulla intimidito dal fatto d’esser l’unico bassotto d’Ombrosa, corteggiava grosse cagne da pastore, o cagne-lupe, con spavaldo ardimento, fidandosi della naturale simpatia che ispirava. Talora tornava malconcio dai morsi; ma bastava un amore fortunato a ripagarlo di tutte le sconfitte.
Anche Cosimo, come Ottimo Massimo, era l’unico esemplare d’una specie. Nei suoi sogni a occhi aperti, si vedeva amato da bellissime fanciulle; ma come avrebbe incontrato l’amore, lui sugli alberi? Nel fantasticare, riusciva a non figurarsi dove quelle cose sarebbero successe, se sulla terra o lassù dov’era ora: un luogo senza luogo, immaginava, come un mondo cui s’arriva andando in su, non in giù.
Ecco: forse c’era un albero così alto che salendo toccasse un altro mondo, la luna.
Intanto, con quest’abitudine delle chiacchiere da piazza, si sentiva sempre meno soddisfatto di sé. E da quando, un giorno di mercato, un tale, venuto dalla vicina città d’Olivabassa, disse: - Oh, anche voi 6
avete il vostro Spagnolo! - e alle domande di cosa volesse dire, rispose: - A Olivabassa c’è tutta una genìa di Spagnoli che vivono sugli alberi! -Cosimo non ebbe più pace finché non intraprese attraverso gli alberi dei boschi il viaggio per Oliva-bassa.
XVII
Olivabassa era un paese dell’interno. Cosimo ci arrivò dopo due giorni di cammino, superando pericolosamente i tratti di vegetazione più rada. Per via, vicino agli abitati, la gente che non l’aveva mai visto dava in grida di meraviglia, e qualcuno gli tirava dietro delle pietre, per cui cercò di procedere inosservato il più possibile. Ma man mano che s’avvicinava a Olivabassa, s’accorse che se qualche boscaiolo o bifolco o raccoglitrice d’olive lo vedeva, non mostrava alcuno stupore, anzi gli uomini lo salutavano cavandosi il cappello, come se lo cono-scessero, e dicevano parole certamente non del dialetto locale, che in bocca loro suonavano strane, come: - Señor! Buenos dias, Señor!
Era inverno, parte degli alberi era spoglia. In Olivabassa attraversava l’abitato una doppia fila di platani e d’olmi. E mio fratello, avvicinandosi, vide che tra i rami spogli c’era gente, uno o due o anche tre per albero, seduti o in piedi, in atteggiamento grave. In 6
pochi salti li raggiunse.
Erano uomini con vestimenti nobili, tricorni piumati, gran manti, e donne dall’aria pure nobile, con veli sul capo, che stavano sedute sui rami a due o a tre, alcune ricamando, e guardando ogni tanto giù in strada con un breve movimento laterale del busto e un appoggiarsi del braccio lungo il ramo, come a un davanzale.
Gli uomini gli rivolgevano saluti come pieni d’amara comprensione:
- Buenos dias, Señor! - E Cosimo s’inchinava e si cavava il cappello.
Uno che pareva il più autorevole di loro, un obeso, incastrato nella forcella d’un platano da cui pareva non potesse più sollevarsi, una pelle da malato di fegato, sotto la quale l’ombra dei baffi e della barba rasi traspariva nera malgrado l’età avanzata, parve domandare a un suo vicino, macilento, allampanato, vestito in nero e pure lui con le guance nerastre di barba rasa, chi fosse quello sconosciuto che procedeva per la fila d’alberi.
Cosimo pensò che era venuto il momento di presentarsi.
Venne sul platano del signore obeso, fece l’inchino e disse: - II Barone Cosimo Piovasco di Rondò, per servirla.
- Rondos? Rondos? - fece l’obeso. - Aragonési Gallego?
- Nossignore.
6
- Catalàn?
- Nossignore. Sono di queste parti.
- Desterrado también?
Il gentiluomo allampanato si sentì in dovere d’intervenire a far da interprete, molto ampollosamente. - Dice Sua Altezza Frederico Alonso San-chez de Guatamurra y Tobasco se vossignoria è pur esso un esule, dappoiché la vediamo rampar per queste frasche.
- Nossignore. O almeno, non esule per alcun decreto altrui.
- Viaja usted sobre los àrboles por gusto? E l’interprete: - Sua Altezza Frederico Alonso si compiace di domandarle se è per suo diletto che vossignoria compie questo itinerario.
Cosimo ci pensò un po’, e rispose: - Perché penso mi si addica, sebbene nessuno me l’imponga.
- Feliz usted! - esclamò Frederico Alonso Sanchez, sospirando. - Ay de mì, ay de mì!
E quello in nero, a spiegare, sempre più ampolloso: - Sua Altezza esce a dire che vossignoria è da reputarsi fortunata a godere di codesta libertà, la quale non possiamo esimerci dal comparare alla nostra costrizione, che pur sopportiamo rassegnati al volere di Dio, - e si segnò.
6
Così, tra una laconica esclamazione del Principe Sanchez e una circostanziata versione del signore nerovestito, Cosimo riuscì a ricostruire la storia della colonia che soggiornava sui platani. Erano nobili spagnoli, ribellatisi a Re Carlos III per questioni di privilegi feudali contrastati, e perciò posti in esilio con le loro famiglie. Giunti a Olivabassa, era stato loro interdetto di continuare il viaggio: quei territori infatti, in base a un antico trattato con Sua Maestà Cattolica, non potevano dar ricetto e nemmeno venir attraversati da persone esiliate dalla Spagna. La situazione di quelle nobili famiglie era ben diffìcile da risolversi, ma i magistrati di Oli-vabassa, che non volevano avere seccature con le cancellerie straniere ma che neppure avevano ragioni d’avversione per quei ricchi viaggiatori, vennero a un accomodamento: la lettera del trattato prescriveva che gli esuli non dovessero «toccare il suolo» di quel territorio, quindi bastava che se ne stessero sugli alberi e si era in regola. Dunque gli esuli erano saliti sui platani e sugli olmi, con scale a pioli concesse dal Comune, che poi furono tolte. Stavano appollaiati lassù da alcuni mesi, confidando nel clima mite, in un prossimo decreto d’amnistia di Carlos III e nella provvidenza divina. Avevano una provvista di doppie di Spagna e compravano vivande, dando così commercio alla città. Per tirare su i 6
piatti, avevano installato alcuni saliscendi. Su altri alberi c’erano baldacchini sotto ai quali dormivano. Insomma, s’erano saputi aggiustar bene, ossia, erano gli Olivabassi che li avevano così ben attrezzati, perché ci avevano il loro tornaconto. Gli esuli, da parte loro, non muovevano un dito in tutta la giornata.
Cosimo era la prima volta che incontrava degli altri esseri umani abitanti sulle piante, e cominciò a far domande pratiche.
- E quando piove, come fate?
- Sacramos todo el tiempo, Señor!