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Add to favorite 🔥 🔥 "Il barone rampante" di Italo Calvino

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Trotterellava piano, ormai, e ogni tanto si fermava a riprender fiato.

Cosimo di sui rami lo seguì.

Ottimo Massimo prese la via del bosco. Pareva che avesse in mente una direzione molto precisa, perché anche se ogni tanto si fermava, pisciacchiava, si riposava a lingua fuori guardando il padrone, presto si scrollava e riprendeva la strada senza incertezze. Stava così andando in paraggi poco frequentati da Cosimo, anzi quasi sconosciuti, perché era verso la bandita di caccia del Duca Tolemaico. Il Duca Tolemaico era vecchio cadente e certo non andava a caccia da chissà quanto tempo, ma nella sua bandita nessun bracconiere poteva metter piede perché i guardiacaccia erano molti e sempre vigili e Cosimo che ci aveva avuto già da dire preferiva tenersi al largo. Ora Ottimo Massimo e Cosimo s’addentravano nella bandita del Principe Tolemaico, ma né 0

l’uno né l’altro pensavano a snidarne la pregiata selvaggina: il bassotto trotterellava seguendo un suo segreto richiamo e il Barone era preso da un’impaziente curiosità di scoprire dove mai andava il cane.

Così il bassotto giunse a un punto in cui la foresta finiva e c’era un prato. Due leoni di pietra seduti su pilastri reggevano uno stemma. Di qua forse doveva cominciare un parco, un giardino, una parte più privata della tenuta del Tolemaico: ma non c’erano che quei due leoni di pietra, e al di là il prato, un prato immenso, di corta erba verde, di cui solo in lontananza si vedeva il termine, uno sfondo di querce nere. Il cielo dietro aveva una lieve patina di nuvole. Non un uccello vi cantava.

Per Cosimo, quel prato era una vista che riempiva di sgomento.

Vissuto sempre nel folto della vegetazione d’Ombrosa, sicuro di poter raggiungere ogni luogo attraverso le sue vie, al Barone bastava aver davanti una distesa sgombra, impercorribile, nuda sotto il cielo, per provare un senso di vertigine.

Ottimo Massimo si slanciò nel prato e, come fosse ritornato giovane, correva a gran carriera. Dal frassino dov’era appollaiato, Cosimo prese a fischiare, a chiamarlo: - Qui, torna qui. Ottimo Massimo! Dove vai? - ma il cane non gli ubbidiva, non si voltava 0

nemmeno: correva correva per il prato, finché non si vide che una virgola lontana, la sua coda, e anche quella sparì.

Cosimo sul frassino si torceva le mani. A fughe e ad assenze del bassotto era pur abituato, ma ora Ottimo Massimo spariva in questo prato invalicabile, e la sua fuga diventava tutt’uno con l’angoscia provata poc’anzi, e la caricava d’una indeterminata attesa, d’un aspettarsi qualcosa di là di quel prato.

Stava mulinando questi pensieri quando sentì dei passi sotto il frassino. Vide un guardiacaccia che passava, a mani in tasca, fischiando. A dire il vero aveva un’aria assai sbracata e distratta per essere di quei terribili guardiacaccia della tenuta, eppure le insegne della divisa erano quelle del corpo ducale, e Cosimo s’appiattì contro il tronco. Poi, il pensiero del cane ebbe il sopravvento; apostrofò il guardiacaccia: - Ehi, voi, sergente, avete mica visto un can bassotto?

Il guardiacaccia alzò il viso: - Ah, siete voi! Il cacciatore che vola col cane che striscia! No, non l’ho visto il bassotto! Cos’avete preso, di bello, stamane?

Cosimo aveva riconosciuto uno dei più zelanti suoi avversari, e disse: - Macché, m’è scappato il cane e m’è toccato di rincorrerlo fin 0

qui... Ho il fucile scarico...

Il guardiacaccia rise: - Oh, lo carichi pure, e spari fin che ne ha voglia! Tanto, ormai!

- Ormai, cosa?

- Ormai che il Duca è morto, chi vuole che se ne interessi più, della bandita?

- Ah, così, è morto, non sapevo.

- È morto e seppellito da tre mesi. E c’è una lite tra gli eredi di primo e di secondo letto e la vedovella nuova.

- Aveva una terza moglie?

- Sposata quando lui aveva ottant’anni, un anno prima di morire, lei una ragazza di ventuno o giù di lì, vi dico io che pazzie, una sposa che non gli è stata insieme neanche un giorno, e solo adesso comincia a visitare i suoi possessi, e non le piacciono.

- Come: non le piacciono?

- Mah, s’installa in un palazzo, o in un feudo, ci arriva con tutta la sua corte, perché ha sempre uno stuolo di cascamorti dietro, e dopo tre giorni trova tutto brutto, tutto triste, e riparte. Allora saltano fuori gli altri eredi, si buttano su quel possesso, vantano diritti. E lei: «Ah, sì, e prendete velo!» Adesso è arrivata qui nel padiglione di caccia, ma 0

quanto ci resterà? Io dico poco.

- E dov’è il padiglione di caccia?

- Laggiù oltre il prato, oltre le querce.

- Il mio cane allora è andato là...

- Sarà andato in cerca d’ossi... Mi perdoni, MA mi dà l’idea che Vossignoria lo tenga un po’ a stecchetto! - e scoppiò a ridere.

Cosimo non rispose, guardava il prato invalicabile, aspettava che il bassotto tornasse.

Non tornò per tutto il giorno. L’indomani Cosimo era di nuovo sul frassino, a contemplare il prato, come se dello sgomento che gli dava non potesse più fare a meno.

Riapparì il bassotto, verso sera, un puntino nel prato che solo l’occhio acuto di Cosimo riusciva a percepire, e venne avanti sempre più visibile. - Ottimo Massimo! Vieni qui! Dove sei stato? - II cane s’era fermato, scodinzolava, guardava il padrone, abbaiò, pareva invitarlo a venire, a seguirlo, ma si rendeva conto della distanza ch’egli non poteva valicare, si voltava indietro, faceva passi incerti, ed ecco, si voltava. - Ottimo Massimo! Vieni qui! Ottimo Massimo! - Ma il bassotto correva via, spariva nella lontananza del prato.

Più tardi passarono due guardiacaccia. - Sempre lì che aspetta il 0

cane. Signoria! Ma se l’ho visto al padiglione, in buone mani...

- Come?

- Ma sì, la Marchesa, ossia la Duchessa vedova (noi la chiamiamo Marchesa perché era Marchesina da ragazza) gli faceva tante feste come l’avesse sempre avuto. È un cane da pastasciutta, quello, mi lasci dire. Signoria. Ora ha trovato da star nel morbido e ci resta...

E i due sgherri s’allontanavano ghignando. Ottimo Massimo non tornava più. Cosimo tutti i giorni era sul frassino a guardare il prato come se in esso potesse leggere qualcosa che da tempo lo struggeva dentro: l’idea stessa della lontananza, dell’incolmabilità, dell’attesa che può prolungarsi oltre la vita.

XXI

Un giorno Cosimo guardava dal frassino. Brillò il sole, un raggio corse sul prato che da verde pisello diventò verde smeraldo. Laggiù nel nero del bosco di querce qualche fronda si mosse e ne balzò un cavallo. Il cavallo aveva in sella un cavaliere, nerovestito, con un mantello, no: una gonna; non era un cavaliere, era un’amazzone, correva a briglia sciolta ed era bionda.

A Cosimo cominciò a battere il cuore e lo prese la speranza che 0

quell’amazzone si sarebbe avvicinata fino a poterla veder bene in viso, e che quel viso si sarebbe rivelato bellissimo. Ma oltre a quest’attesa del suo avvicinarsi e della sua bellezza c’era una terza attesa, un terzo ramo di speranza che s’intrecciava agli altri due ed era il desiderio che questa sempre più luminosa bellezza rispondesse a un bisogno di riconoscere un’impressione nota e quasi dimenticata, un ricordo di cui è rimasta solo una linea, un colore e si vorrebbe far riemergere tutto il resto o meglio ritrovarlo in qualcosa di presente.

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