E con quest’animo non vedeva l’ora che ella s’avvicinasse al margine del prato vicino a lui, dove torreggiavano i due pilastri dei leoni; ma quest’attesa cominciò a diventare dolorosa, perché s’era accorto che l’amazzone non tagliava il prato in linea retta verso i leoni, ma diagonalmente, cosicché sarebbe presto scomparsa di nuovo nel bosco.
Il barone rampante 183
Già stava per perderla di vista, quand’ella voltò bruscamente il cavallo e adesso tagliava il prato in un’altra diagonale, che glie l’avrebbe portata certo un po’ più vicina, ma l’avrebbe ugualmente fatta scomparire dalla parte opposta del prato.
In quel mentre Cosimo s’avvide con fastidio che dal bosco erano 0
sbucati sul prato due cavalli marrone, montati da cavalieri, ma cercò di eliminare subito questo pensiero, decise che quei cavalieri non contavano nulla, bastava vedere come sbatacchiavano qua e là dietro di lei, certo non erano da tenere in nessuna considerazione, eppure, doveva ammettere, gli davano fastidio.
Ecco che l’amazzone, prima di scomparire dal prato, anche questa volta voltava il cavallo, ma lo voltava indietro, allontanandosi da Cosimo... No, ora il cavallo girava su se stesso e galoppava in qua, e la mossa pareva fatta apposta per disorientare i due cavalieri sbatacchioni, che difatti adesso se ne galoppavano lontano e non avevano ancora capito che lei correva in direzione opposta.
Ora ogni cosa andava veramente per il suo verso: l’amazzone galoppava nel sole, sempre più bella e sempre più rispondente a quella sete di ricordo di Cosimo, e l’unica cosa allarmante era il continuo zig-zag del suo percorso, che non lasciava prevedere nulla delle sue intenzioni. Nemmeno i due cavalieri capivano dove stesse andando, e cercavano di seguire le sue evoluzioni finendo per fare molta strada inutile, ma sempre con molta buona volontà e prestanza.
Ecco, in men che Cosimo s’aspettasse, la donna a cavallo era giunta al margine del prato vicino a lui, ora passava tra i due pilastri 0
sormontati dai leoni quasi fossero stati messi per farle onore, e si voltava verso il prato e tutto quello che v’era al di là del prato con un largo gesto come d’addio, e galoppava avanti, passava sotto il frassino, e Cosimo ora l’aveva vista bene in viso e nella persona, eretta in sella, il viso di donna altera e insieme di fanciulla, la fronte felice di stare su quegli occhi, gli occhi felici di stare su quel viso, il naso la bocca il mento il collo ogni cosa di lei felice d’ogni altra cosa di lei, e tutto tutto tutto ricordava la ragazzina vista a dodici anni sull’altalena il primo giorno che passò sull’albero: Sofonisba Viola Violante d’Ondariva.
Questa scoperta, ossia l’aver portato questa fin dal primo istante inconfessata scoperta al punto di poterla proclamare a se stesso, riempì Cosimo come d’una febbre. Volle gridare un richiamo, perché lei levasse lo sguardo sul frassino e lo vedesse, ma dalla gola gli uscì solo il verso della beccaccia e lei non si voltò.
Ora il cavallo bianco galoppava nel castagneto, e gli zoccoli battevano sui ricci sparsi a terra aprendoli e mostrando la scorza lignea e lucida del frutto. L’amazzone dirigeva il cavallo un po’ in un verso e un po’ in un altro, e Cosimo ora la pensava già lontana e irraggiungibile, ora saltando d’albero in albero la rivedeva con 1
sorpresa riapparire nella prospettiva dei tronchi, e questo modo di muoversi dava sempre più fuoco al ricordo che fiammeggiava nella mente del Barone. Voleva farle giungere un appello, un segno della sua presenza, ma gli veniva alle labbra solo il fischio della pernice grigia e lei non gli prestava ascolto.
I due cavalieri che la seguivano, parevano capirne ancor meno le intenzioni e il percorso, e continuavano ad andare in direzioni sbagliate impigliandosi in roveti o infangandosi in pantani, mentre lei sfrecciava sicura e inafferrabile. Dava anzi ogni tanto delle specie d’ordini o incitamenti ai cavalieri alzando il braccio col frustino o strappando il baccel
lo d’un carrube e lanciandolo, come a dire che bisognava andare in là. Subito i cavalieri si buttavano in quella direzione al galoppo per i prati e le ripe, ma lei s’era voltata da un’altra parte e non li guardava più.
«È lei! È lei!» pensava Cosimo sempre più infiammato di speranza e voleva gridare il suo nome ma dalle labbra non gli sortiva che un verso lungo e triste come quello del piviere.
Ora, avveniva che tutti questi andirivieni e inganni ai cavalieri e giochi si disponessero attorno ad una linea, che pur essendo irregolare 1
e ondulata non escludeva una possibile intenzione. E indovinando quest’intenzione, e non reggendo più all’impresa impossibile di seguirla, Cosimo si disse:
«Andrò in un posto che se è lei ci verrà. Anzi, non può essere qui che per andarci». E saltando per le sue vie, andò verso il vecchio parco abbandonato dei d’Ondariva.
In quell’ombra, in quell’aria piena d’aromi, in quel luogo dove le foglie e i legni avevano altro colore e altra sostanza, si sentì così preso dai ricordi della fanciullezza che quasi scordò l’amazzone, o se non la scordò si disse che poteva pure non essere lei e tanto già esser vera quest’attesa e speranza di lei che quasi era come se lei ci fosse.
Ma sentì un rumore. Era lo zoccolo del cavallo bianco sulla ghiaia.
Veniva per il giardino non più di corsa, come se l’amazzone volesse guardare e riconoscere minutamente ogni cosa. Dei cavalieri sciocchi non si sentiva più alcun segno: doveva aver fatto perdere del tutto le sue tracce.
La vide: faceva il giro della vasca, del chioschetto, delle anfore.
Guardava le piante divenute enormi, con pendenti radici aeree, le magnolie diventate un bosco. Ma non vedeva lui, lui che cercava di chiamarla col tubare dell’upupa, col trillo della pi-1
spola, con suoni che si perdevano nel fìtto cinguettìo degli uccelli del giardino.
Era smontata di sella, andava a piedi conducendosi dietro il cavallo per le briglie. Giunse alla villa, lasciò il cavallo, entrò nel portico.
Scoppiò a gridare: - Ortensia! Gaetano! Tarquinio! Qui c’è da dare il bianco, da riverniciare le persiane, da appendere gli arazzi! E voglio qui il tavolo, là la consolle, in mezzo la spinetta, e i quadri sono tutti da cambiar di posto.
Cosimo s’accorse allora che quella casa che al suo sguardo distratto era parsa chiusa e disabitata come sempre, era invece adesso aperta, piena di persone, servitori che pulivano, rassettavano, davano aria, mettevano a posto mobili, sbattevano tappeti. Era Viola che ritornava, dunque. Viola che si ristabiliva a Ombrosa, che riprendeva possesso della villa da cui era partita bambina! E il batticuore di gioia in petto a Cosimo non era però molto dissimile da un batticuore di paura, perché esser lei tornata, averla sotto gli occhi così imprevedibile e fiera, poteva voler dire non averla mai più, nemmeno nel ricordo, nemmeno in quel segreto profumo di foglie e color della luce attraverso il verde, poteva voler dire che lui sarebbe stato obbligato a fuggirla e così fuggire anche la prima memoria di lei fanciulla.
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Con quest’alterno batticuore Cosimo la vedeva muoversi in mezzo alla servitù, facendo trasportare divani clavicembali cantoniere, e poi passare in fretta in giardino e rimontare a cavallo, rincorsa dallo stuolo della gente che attendeva ancora ordini, e adesso si rivolgeva ai giardinieri, dicendo come dovevano riordinare le aiole incolte e ridisporre nei viali la ghiaia portata via dalle piogge, e rimettere le sedie di vimini, l’altalena...
Dell’altalena indicò, con ampi gesti, il ramo dal quale era appesa una volta e doveva esser riappesa ora, e quanto lunghe dovevano essere le funi, e l’ampiezza della corsa, e così dicendo col gesto e lo sguardo andò fino all’albero di magnolia sul quale Cosimo una volta le era apparso. E sull’albero di magnolia, ecco, lo rivide.
Fu sorpresa. Molto. Non dicano. Certo, si riprese subito e fece la sufficiente, al suo solito modo, ma lì per lì fu molto sorpresa e le risero gli occhi e la bocca e un dente che aveva come quando era bambina.
- Tu! - e poi, cercando il tono di chi parla di una cosa naturale, ma non riuscendo a nascondere il suo compiaciuto interesse: - Ah, così sei rimasto qui da allora senza mai scendere?
Cosimo riuscì a trasformare quella voce che gli voleva uscire come 1
un grido di un passero, in un: -Sì, sono io. Viola, ti ricordi?
- Senza mai, proprio mai posare un piede in terra?
- Mai.
E lei, già come se si fosse concessa troppo: - Ah, vedi che sei riuscito? Non era dunque poi così diffìcile.
- Aspettavo il tuo ritorno...
- Benissimo. Ehi, voi, dove portate quella tenda! Lasciate tutto qui che veda io! - Tornò a guardare lui. Cosimo quel giorno era vestito da caccia: irsuto, col berretto di gatto, con lo schioppo. - Sembri Robinson!
- L’hai letto? - disse subito lui, per farsi vedere al corrente.