Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli Di contadini, a Grassano, ne conoscevo assai meno che a Gagliano, non soltanto perché c’ero rimasto poco, e non vi facevo il medico, ma anche perché essi sono, forse, anche piú misteriosi e chiusi. A Gagliano, essi so-no, la maggior parte, proprietari di una piccola terra; Grassano è invece un paese di grande proprietà, e i contadini lavorano sul terreno altrui. La miseria delle due condizioni non è molto diversa, perché difficilmente, sia qui che là, potrebbe pensarsi maggiore. I contadini di Grassano vivono di anticipi sul raccolto, e quando è il tempo delle messi, di rado arrivano a pagare il debito, che va cosí accumulandosi di anno in anno, legandoli sempre di piú nella rete della squallida povertà. Quelli di Gagliano lavorano il loro campo, e non raccolgono mai quello che basti a nutrirli e a pagare l’Ufficiale Esattoriale: le poche lire eventualmente risparmiate nelle annate buone, vanno tutte in medici e medicine, a curarsi la malaria: perciò anch’essi sono costretti alla denutrizione, e non possono pensare a muoversi e a cambiare stato. Non vi è nessuna reale differenza nella vita di questi e di quelli. Soltanto, mentre a Gagliano non vi sono che contadini, e i pochi signori, Grassano, che è un paese grande, possiede una specie di classe media numerosa, fatta di artigiani, soprattutto di falegnami. Mi sono spesso chiesto per chi mai lavorassero tutte le botteghe di falegname che c’erano in paese; e, in verità, avevano tutte poco lavoro, e stentavano a tirare avanti. L’esistenza di questa classe media dava un colore particolare alla vita paesana: gli artigiani stavano tutto il giorno sull’uscio delle botteghe, quasi tutte inoperose, ma ben fornite di splendidi attrezzi americani. I contadini non si vedevano che all’alba e al tramonto, e parevano cosí ancora piú lontani, e relegati in un loro mondo remoto.
Antonino, da buon barbiere, e gazzettino delle notizie, mi mise al corrente delle novità grassanesi. Non erano molte: qualche americano aveva seguito l’esempio di Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli quello di cui ho parlato, dalle catene d’oro, ed era scap-pato a New York; il capo della milizia era partito per l’Africa, solo volontario del paese; quelli che avevano chiesto di andare come operai, come a Gagliano, non erano stati accontentati e si lamentavano; era arrivato un confinato nuovo, uno sloveno di Dalmazia, che sapeva far di tutto, modellini di navi e statuette di cera. Il mio trasferimento improvviso di tre mesi prima era ancora argomento di grandi discussioni: era stato, come tutti gli avvenimenti, portato nel campo dei partiti locali: gli oppositori del gruppo al potere accusavano questi di avermi fatto trasferire perché io frequentavo alcuni loro avversari, come il signor Orlando e il falegname Lasala, denunciandomi a Matera; gli altri ritorcevano l’accusa, sostenendo che erano stati loro, gli oppositori, a scrivere lettere anonime e a farmi partire soltanto per poterli ac-cusare di questa azione, che agli occhi di entrambe le parti contendenti era una grave mancanza alla ospitálità tradizionale di Grassano. In verità, a farmi trasferire credo non fossero stati né gli uni né gli altri: ma la polemica s’era invelenita, ed aveva contribuito ad accrescere la secolare riserva di odî e di rancori. A me queste cose non interessavano; volevo invece approfittare di quelle ore di luce che restavano per passeggiare un poco, e rivedere i luoghi cui mi ero affezionato. Uscii dunque, accompagnato da quel gruppo di giovani. Venendo da Gagliano, la gemella miseria di Grassano mi pareva quasi ricchezza e la maggiore vivacità della gente, il diverso dialetto, con i suoi rapidi suoni pugliesi, mi davano l’impressione di essere quasi in una città piena di vita. Finalmente ri-vedevo dei negozi, anche se erano dei poveri stambugi mal provvisti di mercanzie; c’erano delle bancarelle di mercanti ambulanti, sulla piazza, davanti al palazzo del barone di Collefusco, che vendevano stoffe, lame da barba, anfore di terra, oggetti da cucina. C’era anche un carrettino di libri: gli stessi libri che avevo visti in mano Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli al Capitano, ai ragazzi, ai contadini di qui: i Reali di Francia, le vite dei briganti, la storia di Corradino, degli almanacchi, dei lunari. Piú in là c’era il caffè: un vero caffè, con un biliardo, e, allineate su uno scaffale, una serie di vecchie bottiglie di vetro fuso e formato, di quelle che sono ora cosí ricercate dai collezionisti, con le facce di Re Vittorio Emanuele II, di Garibaldi, della Regina Margherita, o con delle donne nude che reggono una palla, o con una mano che brandisce una pistola. Ma, fatti avanti e indietro quei duecento passi, fra l’albergo di Prisco e il caffè, si esaurisce tutta la vita mondana di Grassano. A destra e a sinistra, di sopra e di sotto, non c’è piú altro che stradette, scalette e sentieri, fra le catapecchie allineate dei contadini. Queste sono ancora piú povere e squallide che quelle di Gagliano, le stanze sono piú piccole, non ci sono orti vicino alle case, che si serra-no l’una all’altra come per un pericolo mortale. Anche qui le capre e le pecore, piú numerose che a Gagliano, saltano per le vie piene di spazzature; anche qui i bambini seminudi, pallidi e gonfi si rincorrono tra i rifiuti. Le donne non portano il velo, né il costume: ma anche qui i loro visi sono terrei, chiusi e animaleschi. Anche qui la pazienza e la rassegnazione stanno scritte sui volti degli uomini e sulla desolazione del paesaggio. Soltanto, per il maggior contatto col mondo di fuori, c’è nell’aria un piú vivo desiderio di evasione, sempre disilluso nella impossibilità della speranza.
Risalii e ridiscesi, da solo, per le stradette conosciute, finché giunsi alla chiesa, nel vento, in cima al paese, per ridare uno sguardo a tutto l’orizzonte, che spazia immenso oltre i confini di Lucania. Di qua, ai miei piedi, le case del paese, con i loro tetti giallognoli, e poi la discesa ondulata e grigiastra del monte, fino al Basento, e, in faccia, le montagne di Accettura, da quelle piú a valle che nascondono Ferrandina, alle Dolomiti di Pietra Pertosa, dietro cui si perde il greto del fiume. Da tutti gli al-Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli tri lati, il grande mare di terra informe, di là del Bilioso, delle grotte dei briganti e dei monachicchi, e di Irsina, irta su un colle ispido. Paesi lontanissimi appaiono da ogni parte, come vele sperdute su questo mare, fin laggiú dove si intravede Salandra, e Banzi, dove si stenta a immaginare, in quella arsura, esistesse davvero un tempo la fresca fontana piú chiara del vetro, degna del vino e del capretto; altri, piú vicini, paiono navigare avvicinandosi al porto, fino a Grottole, là di faccia, dietro la cappella di sant’Antonio, e ai suoi due alberi sperduti nel deserto. Questa sconfinata distesa monotona e ondulata, la si coltiva, da qualche anno, a grano: un povero grano che non ripaga la semente, le spese e la fatica.
Quando l’avevo vista per la prima volta, l’estate, era il tempo della raccolta. Tutta la terra, d’ogni parte intorno, era gialla sotto il sole: e un canto di lontane trebbia-trici solcava solo il silenzio. Ora, tutto era grigio, non un colore turbava quella monotonia solitaria.
Rimasi a lungo lassú, finché cominciò ad imbrunire e a cadere qualche goccia di pioggia. Scesi in fretta all’albergo. C’era già parecchia gente che aspettava di mangiare, dei carrettieri di passaggio, dei mercanti ambulanti, e Pappone. Sulle voci di tutti, sentivo già dalla strada le urla pugliesi di Prisco, e le grida napoletane di Pappone, che, come sempre, fingevano per gioco di litigare.
Pappone era un mercante di frutta di Bagnoli, che veniva spesso per affari a Grassano, dove ci sono delle ottime pere: l’avevo già conosciuto durante l’estate. Era un grande amico di Prisco, usavano ingiuriarsi continuamente in segno di affetto. Pappone gli gridava: – Strun-zo galleggiante! – e Prisco gli replicava: – Co’ a banne-rola ’n coppa! fetente! – e, partiti di qui, continuavano a lungo a gran voce, minacciandosi con gli occhi e ridendo. Pappone era un ex frate, grasso, rotondo, ghiotto e, a modo suo, spiritosissimo. Aveva un’arte particolare, come cuoco; e si preparava da sé, mandando via dal for-Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli nello la signora Prisco, la salsa alla marinara per i maccheroni: me ne faceva sempre parte, ed era veramente la migliore che io abbia gustato mai. Anche maggiore era la sua arte di raccontare storie stravagantissime, accom-pagnandole con la mimica piú espressiva. Ma, ahimè, le sue novelle erano tutte talmente salaci, pornografiche e fratesche, che non mi è davvero possibile riferirne nessuna: neppure quella che raccontò quella sera a tavola, e che, fra tutte quelle che gli avevo sentito narrare, era forse la piú innocente.
Finalmente potevo mangiare in compagnia: questo mi rallegrava: mi pareva di essere di nuovo un uomo libero.
Da quel tempo ho preso in uggia la solitudine a tavola, al punto di preferire un qualunque commensale scono-sciuto all’esser solo. La cena, modestissima, mi pareva dunque deliziosa, e il racconto di Pappone assai piú spiritoso delle piú celebrate, e noiosissime, novelle del Fi-renzuola. Noi mangiavamo, e Prisco ci teneva compagnia, in maniche di camicia, coi gomiti sulla tavola, tonante, elastico e sudato, con un bicchiere di vino. Entrò allora un nuovo commensale: un mercante di stoffe di Brindisi, che già conoscevo. Era un uomo enorme, grassissimo e grossissimo, con una faccia da orco, con un gran naso, grandi occhi, grandi orecchie, grandi labbra, e grandi guance che muoveva mangiando con un grande fracasso. Mangiava almeno come quattro cristiani messi insieme, anche perché si limitava a quel solo pasto serale, dopo aver passato tutto il giorno ad arringare le donne perché comprassero le sue stoffe. Malgrado le sue terribili ganasce, e il sudore che gli rigava il volto, e quel suo orrendo aspetto di gigante difforme, era un uo-mo gentile, e spiritoso quasi quanto il suo amico Pappone. Cosí, attorno al tavolo, tutti erano rumorosamente allegri.
Il Capitano, suo fratello, e il loro amico Boccia, un giovanotto un po’ deficiente per una malattia infantile, Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli impiegato del municipio, stavano in un angolo della stanza, leggendo avidamente un vecchio numero della
«Gazzetta dello Sport». L’orco di Brindisi non amava queste infatuazioni sportive, e attaccò subito direttamente, col suo vocione, il Capitano: – Capità! Ora non c’è piú che lo sport! La guerra d’Africa, e lo sport! non si pensa ad altro. Ma che cos’è poi questo sport? – Il Capitano cercò la parata. – Carnera, – rispose, – è campione del mondo –. Il mercante si mise a ridere, facendo tremare i bicchieri sul tavolo. – Il vostro Carnera, – disse, – è come Garibaldi –. L’affermazione era cosí precisa che il Capitano non trovò risposta, e il gigante continuò:
– Sono tutti trucchi. Carnera ha vinto perché era d’accordo prima. È proprio una specie di Garibaldi: la storia non cambia. Sui vostri libri di scuola vi insegnano un mucchio di frottole, ma la verità è un’altra. Quando Re Franceschiello dovette lasciare Napoli, e si ritirò a Gaeta, Garibaldi e i suoi amici con le camicie rosse venivano avanti all’attacco, tutti allegri e fieri e pieni di coraggio.
Su dalle mura di Gaeta sparavano i cannoni: ma quelli non se ne davano per intesi: pareva andassero a nozze, con in testa la bandiera e la fanfara. Re Franceschiello, che vedeva da Gaeta che le cannonate non facevano effetto, pensò: «O quelli sono dei pazzi, o qui ci sta qualcosa di strano. Mo’ mi ci voglio provar io a tirare una cannonata». Detto fatto. Fece pigliare una bella palla, la fece mettere nel pezzo, e lui stesso, il Re, sparò. Bum!
Quando videro cadere la palla, Garibaldi e le sue camicie rosse non ne aspettarono una seconda, e se la diede-ro a gambe. Perché i colpi di prima erano tutti a polvere: Garibaldi si era messo d’accordo, come Carnera. Quando il Re tirò la cannonata vera, Garibaldi disse: «Qua a Gaeta non va piú bene. Ragazzi, andiamo a Teano!» E
cosí andò a Teano.
Pappone, Prisco, i carrettieri, i mercanti, tutti risero: Garibaldi non è popolare quaggiú; e la gloria di Carnera Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli fu definitivamente sepolta. Anche il Capitano dovette ri-conoscersi sconfitto; soltanto Boccia, che per la menin-gite sofferta non era in grado di afferrare in fretta gli ar-gomenti, rimase imperturbabile. Appunto per questo suo difetto, gli avevano dato quel posto in municipio, che consisteva nel tenere in ordine delle carte, e fare un po’ da messo e da fattorino: i minorati, quaggiú, sono molto ben visti, e protetti dalla popolazione. Del resto, come succede spesso in casi simili, se Boccia era un po’
lento d’ingegno, aveva una memoria di ferro, che si limitava però agli oggetti delle sue passioni dominanti. Queste erano due: lo sport e il diritto. Egli sapeva a memoria i nomi di tutti i componenti le squadre di calcio di tutta Italia negli ultimi anni, e usava recitarmeli, come litanie, con gli occhi brillanti di piacere. Ma l’altra sua passione era ancora piú vivace. Il diritto, gli avvocati, le cause in tribunale lo colmavano di estasi e di delizia. Sapeva a memoria i nomi di tutti gli avvocati della provincia, e brani delle loro cause piú celebri; e in questo non era il solo, perché l’amore per l’oratoria forense è quaggiú abbastanza generale. Ma un fatto accaduto due o tre anni prima era diventato l’avvenimento piú importante e beatificante della sua vita. Per qualche causetta di confini, una sezione distaccata di pretura aveva tenuto una udienza proprio qui a Grassano, e c’era venuto a parlare il piú grande avvocato di Matera, il famoso avvocato Latronico. L’arringa di Latronico, Boccia la sapeva a mente intera: e non passava giorno che non la ripetesse, ac-cendendosi di ammirazione nei passi piú emozionanti. –
Lupi di Accettura, cani di San Mauro, corvi di Tricarico, volpi di Grottole e rospi di Garaguso! – aveva detto Latronico nella sua perorazione. A Boccia questo pareva il piú alto volo dell’oratoria universale. – Rospi di Garaguso! – andava ripetendo con compunzione e con enfa-si, secondo l’umore del giorno; – proprio cosí, rospi di Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli Garaguso, perché stanno vicino all’acqua, sopra il pantano. Che discorso!
A tavola, oltre ai maccheroni con la salsa di Pappone, c’era del prosciutto, magro, saporito, tagliato a grosse fette, di un sapore assai diverso dai nostri prosciutti del nord, che io trovavo eccellente. Ne feci le lodi con Prisco, che mi disse che quello era prosciutto di montagna, che egli stesso andava a cercarlo dai contadini dei pae-setti piú alti e lontani. Erano prosciutti piccolissimi, e costavano quattro lire al chilo. Quando dissi a Prisco che in città lo si pagava almeno cinque volte tanto, il suo spirito vivace immaginò subito un affare. Mi propose, se avevo degli amici che si potessero incaricare della vendita, di fare una società, lui e io, per il commercio dei prosciutti. Egli si sarebbe occupato di andare in giro per i monti a incettarli, io, attraverso i miei corrispondenti, di venderli. Se ne sarebbero potute trovare delle quantità discrete, e, forse, negli anni venturi, si sarebbe potuta fa-re aumentare la produzione. Io non ho alcuno spirito commerciale, e forse appunto per questo la proposta mi parve bellissima. Risposi che, poiché si parlava di Garibaldi, avrei potuto fare come lui, che, in circostanze abbastanza analoghe alle mie, si era messo a vender candele; che fra le candele e i prosciutti non vedevo molta differenza, e avrei veduto di occuparmene. Spinto dal calore della novità, scrissi a un amico, esportatore e commerciante delle cose piú diverse nei piú strani paesi del mondo. Dopo parecchio tempo ebbi la risposta che i prosciutti non lo interessavano; che, per quanto ottimi, erano di una qualità diversa da quella a cui il pubblico era abituato, che si sarebbe dovuta creare una organiz-zazione di vendita sproporzionata alla piccola quantità della merce; e che vedessi invece se si poteva trovare della ginestra che, in quei tempi di autarchia, era molto ricercata. La ginestra è il solo fiore di questi deserti, cresce dappertutto in cespugli aridi, pasto delle capre. Ma i Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli miei entusiasmi di commercio lucano si erano ormai raf-freddati, e la cosa non ebbe seguito.
Quella prima sera di compagnia, tra i progetti di affari, le storielle allegre e la critica storica garibaldina, passò presto. L’orco di Brindisi si ritirò a dormire sul suo camioncino, per meglio sorvegliare che non gli rubasse-ro le stoffe durante la notte; i carrettieri partirono, nel buio, per Tricarico, e Pappone ed io restammo i soli ospiti di Prisco; perciò potemmo avere ciascuno una camera, senza doverla, per quella notte, spartire con altri.
Volevo alzarmi presto, l’indomani. Avevo progettato di scendere in basso, fin quasi al Basento, per dipingere Grassano come l’avevo vista di laggiú, dalla stazione, al-ta sul cielo come una città d’aria. Antonino, saputa la mia intenzione, mi aveva proposto di accompagnarmi: all’alba mi aspettava alla porta, con un mulo per portare le tele e il cavalletto, e un gruppo di amici che volevano tutti venire con me. C’era Riccardo, c’era Carmelo, il manovale ciclista dei monachicchi, un falegname, un sarto, due contadini e due o tre ragazzi. Il tempo era grigio, solava il vento, ma si poteva sperare che non sarebbe venuta la pioggia. In quella luce diffusa e fredda delle nuvole, le cose apparivano piú rilevate, e forse meno tristi nella loro monotonia che sotto la vampa crudele del sole: era il tempo che preferivo per il mio quadro. Il figlio minore di Prisco si uní a noi. Il Capitano ci salutò dall’uscio: la strada era troppo lunga per la sua gamba zoppa. Con Barone in testa, saltellante staffetta, cominciammo la discesa, per il sentiero ripido che, evitando le curve e le giravolte della strada, arriva, in otto o dieci chilometri, al fondo della valle. Per quella stessa strada, e quasi con la stessa compagnia, ero sceso, un giorno d’agosto, a fare un bagno nel Basento, in un angolo iso-lato del fiume, dove l’acqua ristagna in una pozza, tra pochi alberi di pioppo, che sembrano stranamente appartenere a un altro paesaggio, piovuti a radicarsi qui Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli per bizzarria. Tutti nudi, nell’aria torrida del pomeriggio canicolare, c’eravamo tuffati nel fiume: i miei compagni cercavano con le mani i pesci, rintanati nelle buche, nel fango della proda; e ne presero parecchi, con quella tecnica rudimentale. È proibito pescare in questi fiumi perché i pesci dovrebbero distruggere le larve delle zanzare: ma nessuno bada al divieto: c’è cosí poco da mangiare, tutto l’anno, per i poveri di Grassano, che un piatto di pesci pare un dono del cielo. Ci eravamo poi asciugati al sole, tra lo stridore delle cicale e il fischiare delle zanzare, nel riverbero torrido delle argille. Ora invece l’aria era fresca: ma il paesaggio non era cambiato: soltanto, di giallastro, s’era fatto grigiastro. Giungemmo a un posto che mi pareva adatto al mio lavoro, e qui mi fermai. Rimase con me Antonino, che teneva al privile-gio di porgermi i tubi di colore a mano a mano che mi abbisognavano, e un ragazzo per guardare il mulo che brucava le stoppie. Gli altri scesero fino al fiume, spe-rando in una pesca miracolosa, e io mi misi a dipingere.
Il paesaggio, di qui, era il meno pittoresco che avessi veduto mai: per questo mi piaceva moltissimo. Non c’era un albero, una siepe, una roccia atteggiata come un gesto fermo. Non ci sono gesti, quaggiú, né l’amabile retorica della natura generante o del lavoro umano. Soltanto una distesa uniforme di terra abbandonata, e in al-to il paese bianco. Sul cielo grigio, una piccola nuvola bassa, sopra le case, aveva la vaga forma di un angelo.
I miei compagni tornarono dal fiume a mani vuote. Si misero attorno alla mia tela meravigliati di vedere Grassano, nato cosí dal nulla. Avevo sempre visto che, poiché non hanno i pregiudizi della mezza cultura, i contadini sono, in generale, capaci di vedere la pittura: avevo l’abitudine di chiedere il loro parere sulle cose che avevo fatto. Mentre continuavo a lavorare, gli amici accese-ro un fuoco, per far scaldare le provviste che avevano portato, e si mangiò, lí, seduti in terra, guardando il mio Letteratura italiana Einaudi