Erano le piú innocenti lettere del mondo; ma don Luigino non conosceva il gergo degli affari, ed era tutto caldo della sua nuova autorità. Egli immaginò subito che quelle frasi tronche e quei numeri fossero un cifrario segreto: pensò di essere sulle fila di chissà quale importantis-simo complotto. Non spedí le lettere, e per molti giorni cercò invano di decifrarle, per scoprirne gli inesistenti Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli significati reconditi, e intanto fece sorvegliare il buon mercante d’olio; mandò le lettere alla questura di Matera, e infine non poté piú trattenersi, e fece al vecchio genovese una scenataccia violenta, piena di oscure minacce. Soltanto dopo molti giorni si calmò, ma non credo si sia mai del tutto persuaso che i suoi sospetti erano infondati. Per me, la cosa era molto diversa. Gli conse-gnavo le mie lettere; don Luigino le portava a casa, e le leggeva con attenzione. Nei giorni seguenti, ogni volta che mi incontrava, lodava le mie qualità letterarie. – Co-me scrive bene, don Carlo! È un vero scrittore. Mi leggo le sue lettere a poco a poco: è una delizia. Quella di tre giorni fa, me la sto copiando; è un capolavoro –. Don Luigino copiava tutte le mie lettere, non so se davvero per ammirazione stilistica o per zelo poliziesco, o per tutte e due le cose insieme: questo lavoro richiedeva molto tempo, e la mia corrispondenza non partiva mai.
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli Dicembre avanzava, era tornata la neve, i campi dormivano abbandonati, i contadini non uscivano dal paese, le strade erano insolitamente animate. Quando calava la sera, sotto il fumo grigio dei camini, mosso e stracciato dal vento, per le vie buie, si sentiva un sussurrare, un rumore di passi, uno scambio alterno di voci, e i ragazzi, correndo a frotte, lanciavano nell’aria nera i primi rauchi suoni dei cupi-cupi.
Il cupo-cupo è uno strumento rudimentale, fatto di una pentola o di una scatola di latta, con l’apertura superiore chiusa da una pelle tesa come un tamburo. In mezzo alla pelle è infisso un bastoncello di legno. Soffre-gando con la mano destra, in su e in giú, il bastone, si ottiene un suono basso, tremolante, oscuro, come un monotono brontolío. Tutti i ragazzi, nella quindicina che precede il Natale, si costruivano un cupo-cupo, e andavano, in gruppi, cantando su quell’unica nota di accompagnamento, delle specie di nenie, su un solo motivo.
Cantavano delle lunghe filastrocche senza senso, non prive di una certa grazia; ma soprattutto portavano, davanti alle porte delle case dei signori, serenate e compli-menti improvvisati. In compenso, le persone lodate nel canto devono regalare una strenna, dei fichi secchi, delle uova, delle focacce, o qualche moneta. Appena scendevano le ombre, cominciavano i ritornelli, sempre uguali.
L’aria era piena di quei suoni lamentosi e strascicati, di quelle voci infantili, sull’accento ritmico e grottesco dei cupi-cupi.
Sentivo di lontano:
Aggio cantato alla lucente stella Donna Caterina è una donna bella
Sona cupille si voi sunà.
Aggio cantato dal fondo del core
Il dottor Milillo è ’nu professore Sona cupille si voi sunà.
Aggio cantato sovra ’na forcina
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli E donna Maria è ’na regina
Sona cupille si voi sunà.
E cosí via, dinanzi a tutti gli usci, con un frastuono melanconico. Vennero anche da me, e cantarono una interminabile canzoncina, che finiva: Aggio cantato sovra ’nu varcone
E don Carlo è ’nu varone
Sona cupille si voi sunà.
Questi poveri canti, e il suono del cupo-cupo, risona-vano nelle strade oscure, come il rumore del mare dentro il cavo di una conchiglia; si alzavano sotto le fredde stelle invernali, e si spegnevano nell’aria natalizia, piena dell’odore delle frittelle e di una melanconica festività. –
Una volta venivano in paese, in questi giorni, i pastori, –
mi diceva la Giulia. – Suonavano in chiesa, per Natale, con le loro zampogne, «Gesú Bambino è nato». Ma da molti anni hanno cambiato strada, e non ci passano piú, da queste parti –. Veramente, un pastore venne, poco prima di Natale, con un suo ragazzo, e la zampogna, ma si fermò un giorno solo, per salutare certi suoi compagni, e non andò in chiesa. Lo trovai in casa dei suoi amici, dalla vecchia Rosano, la contadina madre del muratore, quella che era venuta a trovarmi da sola. C’era conversazione da lei, quella sera, e io, che passavo per la strada, fui invitato a entrare, e a bere il vino e a mangiare le focacce. Avevano sgombrato la stanza, e una ventina di giovani contadini e contadine, nipoti e parenti della vecchia, ballavano al flebile suono della zampogna.
Era una specie di tarantella, i danzatori non si toccavano che la punta delle dita, girandosi attorno, come in una specie di ruota, o di corteggiamento cadenzato. Poi tutti si fermarono, e si fecero in mezzo alla stanza, tenendosi per mano, un giovane contadino e la sua fidanzata, la figlia della vecchia, una ragazza alta e robusta, dal viso ro-sato, che vedevo spesso passare per le strade con degli Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli enormi pesi in equilibrio sul capo, sacchi di cemento, secchi pieni di mattoni, e perfino dei lunghi e grossi travi da soffitto,che portava come fossero fuscelli, senza reggerli con le mani: lavorava per suo fratello, il muratore. Tutti tacquero, e restarono a guardare; e la zampogna intonò una nuova nasale, singhiozzante, belante, animalesca tarantella. I due fidanzati avevano un senso naturale della danza; come di una sacra rappresentazione; cominciarono con passi guardinghi avvicinandosi e volgendosi repentinamente le spalle, aggirandosi in cerchi senza incontrarsi, battendo il piede in cadenza, con occhiate e gesti di ritrosia e di rifiuto; poi andarono ac-celerando i passi, sfiorandosi al passaggio, prendendosi per le mani, e ruotando come trottole; poi, su un ritmo sempre piú rapido, i cerchi si strinsero, finché cominciarono a urtarsi, nel loro piroettare, con gran colpi dei fianchi; e si trovarono infine uno di faccia all’altro, dan-zando con le mani alla vita, come se la pantomima della schermaglia amorosa e dei simulati rifiuti fosse finita, e dovesse ora cominciare una danza d’amore. Ma qui tutti batterono le mani, la zampogna tacque e i ballerini, col respiro grosso, visi rossi e gli occhi lucenti si sedettero con la compagnia. I bicchieri di vino passarono in giro, si parlò ancora un poco, al lume oscillante del fuoco del camino; poi lo zampognaro partí. Fu questo, che io sap-pia, l’unico ballo a Gagliano in tutto l’anno che ci restai.
E venne la vigilia di Natale. La terra era piena di neve e di abbandono. Il vento portava il funebre suono della campana, che pareva scendere dal cielo. Gli auguri e le benedizioni piovevano, al mio passaggio, dagli usci delle case. I bambini giravano a gruppi, per l’ultima questua dei cupi-cupi. I contadini e le donne andavano attorno, portando i regali alle case dei signori; qui è uso antico che i poveri rendano omaggio ai ricchi, e rechino i doni, che vengono accolti come cosa dovuta, con sufficienza, e non ricambiati. Anch’io dovetti ricevere, quel giorno, Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli bottiglie di olio e di vino, e uova, e canestrelli di fichi secchi, e i donatori si meravigliavano che io non li accettassi come una decima obbligatoria, ma che me ne scher-missi, e facessi, in cambio, come potevo, qualche dono.
Che strano signore ero io dunque, se non valeva per me la tradizionale inversione della favola dei Re Magi, e si poteva entrare a casa mia a mani vuote? Che quei potenti fossero venuti dall’Oriente, seguendo la stella, per portare le loro ricchezze al figlio di un falegname, era un segno della prossima fine del mondo. Ma qui, dove Cristo non era venuto, non s’erano mai visti neppure i tre Re.
Don Luigino mandò generosamente ad avvertire che quella sera, in segno di festa, avremmo potuto restar fuori di casa fino a tardi, ed assistere, se volevamo, alla messa di mezzanotte. A mezzanotte precisa io ero davanti alla chiesa, nella folla di contadini, di donne e di signori; e battevamo i piedi nella neve frusciante. Il cielo si era rasserenato, brillava qualche stella, Gesú Bambino stava per nascere Ma la campana non suonava, la porta della chiesa era chiusa col catenaccio, e di don Trajella non si vedeva traccia. Aspettammo una mezz’ora davanti a quella porta sbarrata, sempre piú impazienti. Che cosa era successo? Il prete era malato, o forse, come strillava don Luigino, era ubriaco? Alla fine il podestà si decise a mandare un ragazzo a casa del parroco, a chiamarlo. Di lí a qualche minuto si vide scendere dal vicolo don Trajella, con dei grandi stivaloni da neve, e una grossa chiave in mano: si avvicinò all’uscio, mormoran-do qualche scusa per il ritardo, diede un giro di chiave, spalancò la porta, e corse ad accendere i ceri sull’altare.
Entrammo allora tutti in chiesa, e la messa cominciò, una povera messa affrettata, senza musiche e senza canti. Quando la messa fu finita, all’ Ite missa est, don Trajella scese dall’altare, e, traversando le panche dove eravamo seduti, salí sul pulpito per pronunziare la sua predica.
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli
– Fratelli carissimi! – cominciò. – Carissimi fratelli!
Fratelli! – e qui subito si interruppe, e cominciò a frugare in tutte le tasche, balbettando fra i denti parole incomprensibili. Inforcò gli occhiali, se li tolse, li rimise sul naso, tirò fuori il fazzoletto, si asciugò il sudore, alzò gli occhi al cielo, li rivolse in basso all’uditorio, sospirò, si grattò la testa in segno di sommo imbarazzo, lanciò degli oh! e degli ah! , congiunse le mani, le disgiunse, mormorò un pater, e finalmente tacque, con l’aspetto di un uomo disperato. Un mormorío corse nella folla. Che cosa avveniva? Don Luigino si fece rosso in viso, e cominciò a stridere: – È ubriaco! La sera di Natale! – Fratelli carissimi! – ricominciò don Trajella dal pulpito, –
ero venuto qui, con animo pastorale, per parlare un po-co con voi, che siete il mio gregge dilettissimo, in occasione di questa Santa Festa; per portarvi la mia parola di Pastore amoroso, solliciti et benigni et studiosi pastoris.