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Ci andai anch’io, e mi fu fatto largo. Vidi allora che, dentro a un cerchio di uomini, donne e bambini, spetta-tori appassionati, era cominciata, senza palco né scene, sui sassi della strada, una rappresentazione teatrale.

Ogni anno, come seppi poi, in questi primi giorni di quaresima, i contadini avevano l’usanza di recitare una loro commedia improvvisata. Qualche volta, ma assai di rado, era di soggetto religioso, qualche altra ricordava le gesta dei paladini o dei briganti: il piú delle volte erano scene comiche e buffonesche tratte dalla vita quotidiana. Quest’anno, l’animo ancora commosso dalle recenti vicende, i contadini avevano immaginato un dramma sa-tirico, a sfogo poetico dei loro sentimenti.

Gli attori erano tutti uomini, anche quelli che facevano parti femminili: giovani contadini miei amici, ma che non potevo riconoscere sotto le loro straordinarie truc-cature. Il dramma era ridotto a una semplice scena, che gli attori improvvisavano. Un coro di uomini e donne annunziò l’arrivo di un malato; ed ecco il malato, portato su una barella, col viso dipinto di bianco, gli occhi cerchiati di nero, e segni neri sulle guance, incavate co-me quelle di un morto. Il malato era accompagnato dalla madre piangente, che non diceva altro che: – Figlio mio, figlio mio, – ripetendolo di continuo, per tutto il tempo della rappresentazione come un monotono, triste accompagnamento. Accanto al malato, chiamato dal co-ro, appariva un uomo vestito di bianco, e su cui rico-nobbi la mia tunica, che si apprestava a guarirlo: ma ec-co comparire, ad impedirglielo, un vecchio dagli abiti neri e dal pizzo caprino. I due medici, il bianco e il nero, lo spirito del bene e quello del male, contendevano, co-Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli me l’angelo e il demonio, attorno a quel corpo giacente nella barella, e si lanciavano battute satiriche e pungenti.

Già l’angelo aveva la meglio, e obbligava a tacere il suo nemico, quando arrivò di corsa un romano, dal viso mostruoso e feroce, che forzò l’uomo bianco ad andarsene.

L’uomo nero, il professor Bestianelli (corruzione di Ba-stianelli, che è celebre anche fra questi contadini) rimase padrone del campo. Da una borsa trasse un coltellaccio, e cominciò l’operazione. Diede un taglio sui vestiti del malato, e, con rapida mossa della mano, trasse fuori dalla ferita una vescica di intestino di maiale che vi era nascosta. Si voltò trionfante verso il coro, che mormorava proteste e parole di orrore, con la vescica fieramente brandita, gridando: – Ecco il cuore! – Con un grosso ago bucò quel cuore, e ne uscí uno zampillo di sangue mentre la madre e le donne del coro cominciavano il lamento per il morto, e il dramma finiva.

Non ho mai saputo chi fosse l’autore: forse non ce n’era uno, ma parecchi, tutti gli attori insieme. Le battute che improvvisavano si riferivano alla questione che agitava gli animi in quei giorni: ma la finezza contadina faceva sí che le allusioni non fossero mai troppo dirette, e che rimanessero comprensibili e penetranti, senza diventare mai pericolose. E, soprattutto, al di là della sati-ra e della protesta, il gusto dell’arte li aveva trascinati: ciascuno viveva la sua parte; e la madre piangente sembrava una disperata eroina di tragedia greca, o una Maria di Iacopone; il malato aveva il vero viso della morte; il nero ciarlatano spillava il sangue dal cuore con un diletto feroce; il romano era un mostro orribile, un drago statale; e il coro assisteva e commentava, con disperata pazienza. Era, quello schema classico, un ricordo di un’arte antica, ridotto al povero residuo dell’arte popolare, o uno spontaneo, originario rinascere, un linguaggio, naturale in queste terre, dove la vita è tutta una tragedia senza teatro?

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli Appena finita la recita, il morto si alzò dalla barella, gli attori scesero svelti pel vicolo, e si avviarono alla casa del dottor Gibilisco. Qui la rappresentazione ricominciò; e, nel corso della giornata, fu ripetuta molte volte, davanti alla casa del dottor Milillo, alla chiesa, alla caserma dei carabinieri, al municipio, sulla piazza, e qua e là per le strade, a Gagliano di Sopra e a Gagliano di Sotto, finché venne la sera, la tunica dell’angelo mi fu trionfalmente riportata, e ciascuno tornò alle sue case.

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli Lo sfogo poetico non calmò gli animi, né abolí i risentimenti. I contadini ritenevano il divieto una cosa assurda, e si rifiutarono di tenerne conto. Mi cercavano come prima, per farsi curare: soltanto, venivano da me la sera, a buio, e si guardavano attorno, prima di battere al mio uscio, per assicurarsi che la strada fosse deserta, e non ci fossero spie. Rimandarli senza occuparmi di loro mi era praticamente impossibile, tanto insistevano, e tanto pesava la ragione maggiore della necessità. Della loro assoluta segretezza e solidarietà ero certo: si sarebbero fatti ammazzare piuttosto che tradirmi. Ma tuttavia la mia ar-te medica si trovava per forza ad essere molto ridotta: dovevo limitarmi a dei consigli; distribuivo io stesso le medicine piú comuni di cui avevo fatto provvista; per le altre non potevo scrivere ricette, o le facevo soltanto per quelli che le mandavano a qualche parente, a Napoli, perché le facesse spedire. Non potevo piú fare fasciatu-re, né quei piccoli interventi chirurgici che, essendo visibili, avrebbero rivelato a tutti il nostro segreto. Questa necessità di nascondersi teneva gli animi accesi. La noia era scomparsa dal paese: il divieto era cascato come un sasso di fantasia nell’acqua morta della vita monotona dei signori. Il dottor Gibilisco trionfava. Fosse egli stato, o no, il deus ex macbina (che non ho mai saputo), la sua gioia era completa. I sentimenti del vecchio dottor Milillo erano piú complessi e contraddittori. Dal punto di vista del suo orgoglio e del suo interesse professionale, si rallegrava di aver perso la mia concorrenza: ma, da buono ex nittiano e antico liberale, non poteva fare a meno di disapprovare apertamente l’arbitrio della questura.

Egli era, in fondo, il piú fortunato, perché godeva insieme di due diversi piaceri: quello materiale del suo vantaggio, e quello morale di poter esprimere onestamente la sua deplorazione, e la sua amicizia. Per donna Caterina l’avvenuto era una grave sconfitta: i suoi progetti andavano in fumo; la sua passione dominante era umiliata Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli di fronte ai suoi nemici. Faceva fuoco e fiamme. – Se quello scemo di mio fratello, – arrivava a dire, – che è sempre troppo debole, non si muove, andrò io stessa a Matera, a parlare al prefetto –. Era la mia principale alleata. Don Luigino, lui, non sapeva come comportarsi.

Spinto dalla sorella, e dall’opinione popolare, avrebbe voluto agire, far valere le sue aderenze, «per il bene del paese»: ma temeva, pigliando partito, di inimicarsi le autorità, e questo lo tratteneva dal far nulla, se non dallo schierarsi, almeno a parole, nella fazione di donna Caterina. I signori erano dunque divisi, come guelfi e ghibel-lini; e gli uni si trovavano a far lega col popolo, mentre gli altri restavano soli, ma con l’appoggio potente del Sacro Romano Impero di Matera. Don Luigino si barca-menava, tra quei venti contrari: era il podestà, il tutore della legge, qualunque essa fosse: ma della legge aveva uno strano concetto. Una sera mandò una sua fantesca a chiamarmi: la sua bambina aveva mal di gola, doveva essere certamente una difterite. Gli feci rispondere che non sarei andato, perché mi era vietato. Mi rimandò la sua ambasceria: da lui potevo andare, perché egli, come podestà, era superiore ai regolamenti. Gli dissi che gli avrei guardato la bambina, a condizione di poter trattare nello stesso modo, col suo consenso, qualunque contadino ne avesse bisogno. Curassi intanto la bambina, e poi si sarebbe visto: darmi una esplicita autorizzazione non poteva, ma chiudere un occhio, sí. La difterite della bambina non era, naturalmente, che una delle tante malattie immaginarie del padre. Cosí si stabilí quel modus vivendi, che durò poi sempre, per cui io facevo il medico a mezzo, con un mezzo consenso non esplicito, e soltanto fin dove la cosa potesse essere tenuta segreta. Avrei preferito smettere del tutto, e non pensare piú ad altro che ai quadri: ma era impossibile, finché fossi rimasto a Gagliano. Naturalmente, questa situazione illegale e nascosta. aveva i suoi inconvenienti: tanto che ci fu ancora Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli qualche episodio che minacciò di riaccendere i furori cosí faticosamente sopiti.

Una sera arrivò da Gaglianello un giovane, accompagnato da altri contadini, con un braccio legato. Si era ferito con un falcetto fra due dita: quando gli tolsi il legac-cio il sangue schizzò violento contro il muro; era tagliata l’arteria interdigitale: bisognava cercarne il moncone con una pinza, e legarla: ma non potevo fare io stesso questa piccola operazione, perché si sarebbe risaputo.

Mandai dunque il giovane dal dottor Milillo, e gli scrissi un bighetto, offrendomi come assistente all’intervento: credevo cioè che egli si prestasse a coprirmi col suo no-me, e a lasciarmi fare quello di cui temevo non fosse capace. Ma il vecchio quasi si offese, e mi mandò a rispondere che sapeva far da sé, e non aveva bisogno di aiuti.

L’indomani per tempo, vidi tornare da me il giovane della sera, su un asino, accompagnato dal fratello maggiore. Era pallido come la cera; aveva perso sangue tutta la notte. Guardai la sua mano: il vecchio chirurgo si era accontentato di dar un punto a caso alla pelle: non aveva neppure cercato l’arteria tagliata. Quello che sarebbe stato facile la sera prima, era ora difficile: e io personalmente non potevo intervenire, vietato, nell’opera altrui.

Poiché i contadini non volevano tornare da Milillo né da GibIsco, non restava loro che prendere la macchina, la 509 dell’americano, e farsi portare al piú presto a Stigliano o piú lontano, in cerca di un chirurgo migliore. E co-sí fecero: ma prima di salire sull’automobile, il fratello maggiore, un uomo deciso e ardito, raccolse una folla di contadini, e, sulla piazza e davanti al municipio, gridò a lungo le sue lagnanze per lo stato di cose attuale, e im-precò e minacciò contro i signori e il podestà, e quelli di Roma. Fu una scena memorabile: i contadini lo appro-vavano; e si ebbe un’altra giornata torbida.

La Giulia non dava nessuna, importanza al divieto. –

Fai quello che vuoi, – mi diceva, – che ti possono fare?

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli E poi, se non ti lasciano fare il medico, tu curerai lo stesso. Dovresti fare lo stregone. Ora hai imparato tutto, sai tutto. E quello non te lo possono impedire.

In quei mesi, in verità, tra gli insegnamenti della Giulia, delle altre donne che mi venivano per casa, e quello che vedevo ogni giorno nelle famiglie dei contadini e al letto dei malati, ero diventato maestro in tutto quello che concerne la magía popolare, e le sue applicazioni al-la medicina: e avrei potuto davvero seguire il consiglio della Santarcangelese: che ella mi dava, del resto, seriamente, coi cattivi, languidi e freddi occhi posati su di me: – Dovresti fare lo stregone –. Con uguale serietà, Giulia mi diceva, quando mi sentiva cantare: – Peccato che non hai fatto il prete: hai una cosí bella voce –. Per lei, il prete era un attore, che cantava per tutti, in modo degno, le lodi di Dio. Prete, medico e mago: per la Giulia avrei assommato tutte le virtú del Rofé orientale, del guaritore sacro.

La magía popolare cura un po’ tutte le malattie; e, quasi sempre, per la sola virtú di formule e di incantesimi. Ve ne sono di particolari, specifiche per un male determinato, e di generiche. Alcune sono, a quel che credo, di origine locale; altre appartengono al corpus classico dei formulari magici, capitate quaggiú chissà quando e chissà per che vie. Di questi amuleti classici, il piú comune era l’abracadabra. Visitando i malati, mi ac-cadeva molto spesso di vedere, in generale appeso al collo con una cordicella, un fogliolino di carta, o una piccola piastrina di metallo, con su scritta, o incisa, la formula triangolare:

A

A B

A B R

A B R A

A B R A C

A B R A C A

A B R A C A D

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Are sens

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