Cosí avevo detto ai miei amici, e andavo ora rimedi-tando mentre il treno, nella notte, entrava nelle terre di Lucania. Erano i primi accenni di quelle idee che dovevo poi sviluppare negli anni seguenti, attraverso le esperienze dell’esilio e della guerra. E in questi pensieri mi addormentai.
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli Mi risvegliò il sole alto, dopo Potenza, tra le scoscese pendici di Brindisi di Montagna. Qualcosa d’insolito era nell’aria, di cui non sapevo ancora rendermi conto. Entrammo nella valle del Basento, passammo le stazioncine solitarie di Pietra Pertosa, Garaguso e Tricarico, e non tardammo a raggiungere la nostra destinazione: la stazione di Grassano. Qui dovevamo scendere, e aspettare, come al solito, qualche ora, il passaggio della corriera postale. La stazione era deserta: rimasi a passeggiare avanti e indietro, sulla strada provinciale, con la mia guardia, conversando. Grassano mi risalutava dalla cima del monte, periodica amichevole apparizione: ma il suo aspetto era mutato. Mi resi conto allora delle ragioni di quell’aspetto strano del paesaggio che avevo veduto al mio risveglio dal finestrino del vagone. Il colle si alzava, come sempre, con le sue lente ondulazioni e le sue frat-ture improvvise, fino al cimitero e al paese: ma la terra, che avevo sempre veduta grigia e giallastra, era ora tutta verde, d’un verde innaturale e imprevedibile. La primavera era scoppiata d’un tratto, anche qui, durante i pochi giorni della mia assenza; ma quel colore, altrove cosí pieno di allegra armonia e di speranza, aveva qui qualche cosa di artificioso, di violento; suonava falso, come il rossetto sul viso bruciato dal sole di una contadina. Gli stessi verdi metallici mi accompagnarono attraverso la salita, verso Stigliano, come squilli stonati di una tromba in una marcia funebre. I monti tornarono a chiudersi al-le mie spalle, come i cancelli di una prigione, quando scendemmo verso il Sauro, e riprendemmo la salita verso Gagliano. Sulle argille bianche, le piccole chiazze di verde, sparse qua e là, brillavano al sole ancora piú intense e piú strane, come delle grida; parevano lembi di maschere stracciate, sparse alla rinfusa.
Era quasi sera, quando giungemmo in paese. La mia guardia, De Luca, venne riconosciuta da tutti. Quello che mi aveva raccontato di sé e della sua famiglia era ve-Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli ro: il figlio del cieco dal cavallo sapiente era quasi un compaesano, e parecchi lo invitarono a mangiare qualcosa prima di ripartire. Ma egli aveva fretta: riuscí a farsi imprestare un cavallo, montò in sella e partí per Montemurro, dove sarebbe arrivato dopo aver cavalcato tutta la notte.
Gagliano, a rivederla dopo quella breve parentesi cittadina, mi parve piú piccola e piú triste che mai, nella sua immobile atmosfera borbonica. Ancora due anni quaggiú! Il senso della noia degli identici giorni futuri mi scese improvvisa sul cuore. Mi avviai verso casa, fra i saluti e i «ben tornato!» che mi giungevano dalle soglie.
Barone, che avevo affidato alla Giulia, era in mezzo alla piazza, come un signore, e mi corse incontro felice e ru-moroso. Credevo che avrei trovato la Giulia a casa; ma la casa era vuota, il fuoco spento, e non c’era nulla di pronto per la cena. Mandai un ragazzo a chiamarla: tornò dicendomi che non poteva venire, e che non l’aspettassi neppure l’indomani né dopo; ma non me ne fece dire il perché. Dovetti cosí risalire fin dalla vedova a mangiare qualcosa. Seppi poi da donna Caterina che durante la mia assenza il barbiere albino, amante della Giulia, era stato preso da un accesso di gelosia, Dio sa quanto poco fondata, e aveva minacciato la mia strega di tagliarle il collo col suo rasoio se fosse ancora tornata da me; e l’aveva talmente spaventata, che la donna non osava neppure vedermi né salutarmi. Soltanto molto piú tardi, passato il terrore, si indusse a fermarsi a parlare con me, quando mi incontrava per via, con uno strano sorriso misterioso, riservato e un po’ compiaciuto; né mi disse mai nulla delle ragioni del suo abbandono.
Donna Caterina si fece in quattro per trovarmi una nuova donna. – Ce n’è una che è meglio di Giulia. In questi giorni ha da fare, ma spero di ottenere che venga
–. Intanto le poche streghe del paese mi venivano a cercare; ma io decisi di aspettare la protetta di donna Cate-Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli rina. Venne, fra quelle che rimandai, una vecchia, che mi parve avesse una sessantina d’anni, e che insistette particolarmente perché la prendessi con me. Seppi poi, con stupore. che aveva quasi novant’anni, che era l’amante del vecchio padre ottantaduenne di don Luigino, e che si era incapricciata di me. Cosí, senza accorger-mene, avevo corso il rischio di essere divorato dalla piú antica Parca che mi fosse mai accaduto di conoscere. Finalmente arrivò Maria, la donna mandata dalla sorella del podestà. Era una strega, come la Giulia, anzi molto piú della Giulia, e della strega classica, di quelle che si ungono e partono per l’aria a cavallo di una scopa, aveva l’aspetto. Non c’era in lei nulla della maestosa animalità della Santarcangelese. Aveva una quarantina d’anni, era abbastanza alta, e magra, con un viso asciutto, rugoso, un lungo naso affilato, e il mento appuntito e sporgente.
Si muoveva rapida, nei lavori era abile e svelta. Pareva bruciata da un fuoco interno, da una specie d’insaziabile avidità, da una sensualità nervosa e diabolica. Mi lanciava occhiate piene di un oscuro fuoco: capii subito che non avrei trovato in lei l’antica passività della Giulia, e che avrei dovuto tenerla a distanza. Per tutto il tempo che rimase con me le diedi perciò pochissima confiden-za. Era, del resto, una ottima donna.
Oltre alla fuga di Giulia, altre novità erano avvenute in paese durante la mia assenza. Don Giuseppe Traiella era partito, spedito definitivamente a morire fra le catapecchie malariche di Gaglianello. La notte di Natale aveva dato i suoi frutti, don Luigino aveva trionfato. Il Vescovo aveva fatto fare un concorso per la parrocchia di Gagliano, e proibito a Trajella di parteciparvi. Il suo successore, don Pietro Liguari, era già arrivato da Miglionico. Aveva trovato una casa confortevole sulla via principale, vicino alla piazza, e vi si era installato con la sua governante, e una straordinaria quantità di provviste da bocca. Lo incontrai sulla piazza, il giorno dopo il mio Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli arrivo, e mi venne incontro con un sorriso cordiale. Era già informatissimo di me, si disse felice di conoscermi, e mi invitò a prendere il caffè a casa sua. Se si fosse voluto trovare qualcuno assolutamente opposto, nell’aspetto, nei modi e nell’animo al povero Arciprete misantropo, relegato nel villaggio sul fiume, non si sarebbe di certo potuto scegliere altro che don Pietro Liguari. Era un uo-mo di una cinquantina d’anni, di media statura, grosso e piuttosto grasso, di un grasso pallido e giallastro. Gli occhi erano neri, spagnoli, pieni di astuzia. Aveva un viso grande e complesso, con un naso un po’ arcuato, labbra sottili, capelli neri. Dava l’impressione di averlo già visto, di assomigliare a qualcuno già conosciuto. Rifletten-doci, l’impressione si giustificava. L’Arciprete aveva un viso tipico, il piú italiano possibile in quegli anni. Era un misto di attore, di prelato, e di barbiere, un incrocio di Mussolini e di Ruggero Ruggeri. Don Pietro Liguari era di questi paesi, e probabilmente di famiglia contadina: il suo viso era pieno di furberia e di finezza, e i suoi modi insinuanti. Incedeva con una certa solennità, l’abito era pulito, il fiocco rosso del cappello era fiammante, e al dito portava un anello con un rubino.
Quando entrai in casa sua fui colpito dalla grande quantità di salami, salsicce, prosciutti, provole, provolo-ni, trecce di fichi secchi, di peperoni, di cipolle e di agli che pendevano dalle travi del soffitto, dai barattoli di conserve e di marmellate, e dalle bottiglie d’olio e di vi-no che ingombravano le dispense. Nessuna delle case dei signori di Gagliano era certamente cosí ben fornita.
Era venuta ad aprirci la governante, una donna sulla quarantina, alta e magra, con un viso severo e impenetrabile, tutta vestita di nero, con un collettino bianco, senza velo sul capo. Questa donna austera era, lo seppi poi, una contadina di Montemurro, ottima cuoca, e, secondo le male lingue, madre di quattro supposti figli di Arcipreti, che dovevano essere qua e là, in qualche colle-Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli gio della provincia. Don Liguari mi fece fare il giro delle sue stanze, e ammirare le sue provviste. – Verrà qualche volta a far penitenza con me, – mi disse, mostrandomi del burro fresco, cosa che a Gagliano non esisteva, e che non avevo piú visto da che ci ero venuto. – La mia governante sa far bene la pasta. Vedrà. Ma ora sediamoci e prendiamo il caffè –. Quando avemmo vuotato le nostre tazzine, l’Arciprete cominciò a parlarmi del paese, a dirmi le sue impressioni e a chiedermi le mie. – C’è molto da fare qui, – mi disse, – molto da fare. Direi tutto da fa-re. La chiesa è in cattivo stato, il campanile deve essere costruito. I frutti delle nostre terre non ci vengono pagati, o poco per volta e in ritardo. Ma soprattutto c’è poca religione. C’è un gran numero di ragazzi che non sono nemmeno battezzati; e nessuno se ne dà cura, se non so-no malati e in punto di morte. Alle funzioni non viene che qualche vecchia, alla messa della domenica la chiesa è quasi deserta. La gente non si confessa, non fa la co-munione. Tutto questo deve cambiare, e cambierà presto, vedrà. Le autorità non se ne occupano, e fanno il possibile per peggiorare la situazione. Sono dei materia-listi, e non parlano che di guerra. Credono di essere loro i padroni del paese, con il loro fascismo. Poverini! Non sanno che dopo la Conciliazione, i padroni non sono piú loro, ma noi, che siamo la sola autorità spirituale. La Conciliazione vuol dir questo: che ora tocca a noi la direzione delle cose, a noi preti. Se il podestà crede di poter essere lui a comandare, si illude! – Don Pietro Liguari qui tacque, quasi pentito di aver parlato troppo: ma aveva ben capito che con me poteva farlo, senza timore che io andassi a riferire le sue parole, e ci teneva a ingra-ziarmisi. Si mise perciò a parlarmi del problema dei confinati, e del dovere che egli sentiva, come prete, di venire in loro aiuto e conforto, senza distinzione di opinione politica o di fede religiosa. Tutto questo era molto bello, ma i suoi modi insinuanti, e il tono della sua voce, mo-Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli stravano troppo chiaramente come egli, piú che dallo spirito di carità, fosse mosso da un interesse o da un cal-colo. E finalmente, dopo questo lunghissimo esordio, venne al motivo per cui mi aveva chiamato. – Bisogna ri-portare questo popolo alla religione, altrimenti cadrà in mano degli atei che pretendono di comandare. Anche chi è di un’altra fede lo deve ammettere –. E qui mi mandò un’occhiatina significativa. – Del resto, tutti possono essere toccati dalla grazia. Ma per portare alla chiesa questi contadini, bisogna che le funzioni diventino piú attraenti, che colpiscano di piú la fantasia. La chiesa è povera e nuda, e la parola sola non attira abbastanza.
Perché i contadini tornino a frequentare la Casa del Signore, ci vorrebbe della musica. Io ho fatto venire da Miglionico un armonium, l’ho fatto portare ieri in chiesa. È proprio quello che fa per noi. Ma c’è una difficoltà.
Chi lo suona? In paese nessuno sa adoperare quello strumento. E allora ho pensato a lei, che sa fare di tutto, che è tanto istruito, ecc. Siamo tutti figli dello stesso Signore! – Le ragioni per cui temeva non accettassi non mi passarono neppure in mente. Dissi che avevo studiato il pianoforte, ma che da moltissimi anni non mettevo le mani su una tastiera. Avrei potuto provare, ma non mi sarei potuto impegnare a fargli regolarmente da organi-sta, ma tutt’al piú aiutarlo una volta o due, per fargli piacere. Un po’ di accompagnamento, se c’era chi cantava, l’avrei potuto fare: ma per suonare avrei dovuto farmi mandare la musica. Risalimmo fino in chiesa, per vedere lo strumento, che era stato messo di fianco all’altare, be-ne in vista, e che destava già la curiosità dei ragazzi.
L’Arciprete era felice: aveva temuto che io non accettassi, e la mia insperata condiscendenza lo faceva piú ardito. Mi mostrò le pareti nude e screpolate della chiesa. –
Qui ci vorrebbero delle pitture –. L’idea non mi sarebbe dispiaciuta. – Chissà, forse un giorno le affrescherò tutta la chiesa, – gli dissi. – Devo star qui ancora due anni, e Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli avrò tutto il tempo di pensarci. Peccato che i muri sono cosí cattivi. Ma non vorrei ingelosire Mornaschi, che è un uomo cosí simpatico –. Il soffitto della chiesa era infatti decorato a fresco, con delle stelle d’oro su fondo azzurro, e delle fasce decorative che lo separavano dalle pareti. Questo lavoro era stato fatto, qualche anno prima, da un pittore milanese, il Mornaschi, un giovane biondo, che in quel tempo passava di paese in paese facendo qua e là lavori di decorazione per le chiese, fer-mandosi in ogni luogo fino a lavoro finito, e ricomin-ciando poi altrove. Ma a Gagliano questa sua vita vagabonda ebbe termine. C’era venuto per fare il soffitto, ma gli si offrí un posto di impiegato delle imposte, e, lasciando l’incerto per il certo, l’arte per l’amministra-zione, Mornaschi non era piú ripartito, e aveva abbandonati i pennelli. Era un uomo modesto, ritirato e corte-se, il solo forestiero ospite stabile di Gagliano. Lo vedevo qualche volta, e con me fu sempre gentilissimo.
– Mornaschi potrà aiutarla, – disse l’Arciprete, che in pochi giorni, evidentemente, aveva imparato a conoscere tutto il paese. Era entusiasta delle meravigliose prospettive che gli si aprivano davanti, per ricondurre all’ovile il suo gregge indifferente. Ma anch’io, ahimè, ero una pecora perduta, e il buon prete, tratto dall’acce-sa fantasia, cominciò a vagheggiare qualcosa di ancora piú roseo, una solenne cerimonia, a cui avrebbe potuto, perché no? partecipare anche il Vescovo. Questo non lo disse allora, per quanto mi accorgessi che ne moriva dalla voglia. Don Liguari era astuto e diplomatico, e si li-mitò a qualche accenno insinuante, il primo dei moltissimi e piú espliciti che ebbe poi a farmi in seguito. Per allora mi disse soltanto che era un peccato che io vivessi cosí solo; che ero giovane, sí, ma che avrei dovuto pensare a prender moglie; e mentre uscivamo dalla chiesa, mi invitò a pranzo per la domenica seguente. – Venga, dottore, a far penitenza con un povero prete –. Le prov-Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli viste che avevo viste accatastate nella sua cucina mi facevano sperare che la penitenza non sarebbe stata troppo severa. L’austera montemurrese, la materna governante, si dimostrò infatti una cuoca perfetta: da un anno non avevo mangiato cosí bene. C’erano soprattutto dei sala-mini fatti in casa, rossi, secondo l’uso di qui, di peperone spagnolo, che erano una delizia. Da allora l’Arciprete non mi si spiccicò piú d’intorno. Mi veniva a trovare a casa, e posò per un ritratto, che avrebbe voluto gli rega-lassi. Don Luigino era geloso di questa sua assiduità, ma don Liguari sapeva fare, e, certamente con qualche pretesto evangelico, lo tenne tranquillo. Un giorno, a casa mia, il prete vide una Bibbia, sul mio tavolino da notte, in edizione protestante. Fece un salto, inorridito, come se avesse visto un serpente. – Che libri legge mai, dottore! Lo butti via, per carità –. Aveva preso dei modi molto intimi, e ogni volta che mi vedeva, mi diceva, con una commovente aria materna: – Ci battezzeremo, poi ci sposeremo. Lasci fare a me.
Avevo ricambiato, una domenica, il suo invito, mettendo a contributo, perché la «penitenza» non fosse, questa volta, reale, tutta l’abilità della mia strega Maria.
Avvenne che due giorni prima, il venerdí, morisse Poerio, quel vecchio barbuto che era malato da molti mesi e che, per quanto lo desiderasse, non aveva mai potuto consultarmi, perché era compare di san Giovanni del dottor Gibilisco. La domenica si fecero i solenni funerali, e ci intervennero anche l’Arciprete di Stigliano e un altro prete di laggiú. Dovetti dunque estendere l’invito anche a questi due, l’uno grasso e grosso e l’altro magro e piccolo. Erano entrambi dello stesso tipo di don Liguari, scaltri, abituati a viver bene, abili ed esperti della vita dei contadini. Feci un ottimo pranzo con questi tre strani uccelli, che si lagnavano che non morissero che contadini poveri, e che di bei funerali come quello di oggi non ce ne fosse tutt’al piú che uno all’anno.
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli Intanto m’era arrivata un po’ di musica da chiesa, ed ero andato qualche volta a esercitarmi sullo strumento.
Quando mi parve di essere in grado, fidandomi sulla semplicità del pubblico, di accompagnare la funzione senza troppi errori, fissai con don Liguari per la domenica seguente: ma gli dissi che sarebbe stato per una volta sola. Avevo saputo che il barbiere cavadenti sapeva strimpellare un pianoforte, cosí ad orecchio, ed ero certo che se la sarebbe cavata meglio di me. Perciò, per quanto egli non amasse molto entrare in chiesa, avevo deciso di lasciare a lui l’incarico, dopo quella prima volta per la quale ero ormai impegnato.
La domenica, la chiesa era piena. L’Arciprete aveva sparso la voce che io avrei suonato, e nessuno volle mancare all’insolito spettacolo. Le donne, sotto i veli bianchi, si pigiavano fino alla porta: molte non avevano potuto entrare. Erano venute persone che da tempo immemorabile non entravano piú in chiesa. C’era perfino, con la sorella, donna Concetta, la figlia maggiore dell’avvocato S., il ricco proprietario melanconico, che incontravo spesso la sera, sulla piazza. Donna Concetta era in clausura da quasi un anno, per la morte del fratello: non usciva mai di casa, e non l’avevo mai vista. Per la funzione di oggi si era decisa a rompere il suo voto, e sedeva nella prima fila di panche. Era considerata la piú bella donna di Gagliano, ed era vero. Era una ragazza di diciott’anni, piccolina, con un viso tondo e perfetto di Madonna, dei grandi occhioni languidi, i capelli neri, lisci e abbondanti, ordinati con una riga diritta in mezzo, la pelle bianchissima, la boccuccia rossa, il collo sottile, e una gentile aria ritrosa.
Fu quella l’unica volta in cui la vidi, in mezzo alla folla velata; né sentii mai la sua voce. Ma i contadini avevano i loro progetti. – Tu sei gaglianese ormai, – mi dicevano spesso. – Devi sposare donna Concetta. È la zitella vacantía piú bella e piú ricca del paese. È fatta per te. E