Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli A B R A C A D A
A B R A C A D A B
A B R A C A D A B R
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I contadini, dapprincipio, cercavano di nascondere questo amuleto, e quasi si scusavano con me di portarlo: perché sapevano che i medici hanno l’abitudine di di-sprezzare queste superstizioni, e di tuonare contro di es-se, in nome della ragione e della scienza. E fanno benissimo, là dove la ragione e la scienza possono assumere lo stesso carattere magico della volgare magía: ma qui, esse non sono ancora, e forse non saranno mai, divinità ascoltate e adorate.
Perciò io rispettavo gli abracadabra, ne onoravo l’antichità e l’oscura, misteriosa semplicità, preferivo essere loro alleato che loro nemico, e i contadini me ne erano grati, e forse ne traevano davvero vantaggio. Del resto, le pratiche magiche di quaggiú sono tutte innocue: e i contadini non ci vedono nessuna contraddizione con la medicina ufficiale. L’abitudine di dare a ogni malato, per ogni malattia, anche quando non è necessario, una ricetta, è una abitudine magica: tanto piú se la ricetta era scritta, come un tempo, in latino, o almeno con calligra-fia incomprensibile. La maggior parte delle ricette ba-sterebbe a guarite i malati, se, senza essere spedite, fossero appese al collo con una cordicella, come un abracadabra.
Di oggetti a virtú generica, oltre agli abracadabra, ce n’erano moltissimi e svariatissimi: segni cabalistici, astrologici, immagini di santi, Madonne di Viggiano, monete, denti di lupo, ossi di rospo, e cosí via: tutto un armamentario tradizionale. Piú originali sono le cure delle singole malattie. I vermi dei bambini si incantano, per sola virtú di parole. Si dice: Lunedí santo
Martedí santo
Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli Mercoledí santo
Giovedí santo
Venerdí santo
Sabato santo
Domenica è Pasqua
Ogni verme in terra casca!
E poi, tornando indietro:
Sabato santo
Venerdí santo
Giovedí santo
Mercoledí santo
Martedí santo
Lunedí santo
Domenica è Pasqua
Ogni verme in terra casca!
Questa doppia formula, ascendente e discendente, va pronunziata tre volte di seguito davanti al malato. E i vermi, incantati, muoiono, e il bambino guarisce. È certamente una formula antichissima, contaminazione di uno scongiuro romano arcaico, che ci resta fra i primi documenti della lingua latina, con un elemento cristiano.
L’itterizia si chiama, qui, il «male dell’arco»: la malattia dell’arcobaleno, perché per essa l’uomo cambia di colore, e in lui, come nello spettro del sole, prevale il color giallo. Come si prende il male dell’arco? L’arcobaleno cammina per il cielo, e appoggia sulla terra i suoi due piedi, muovendoli qua e là per la campagna. Se avviene che i piedi dell’arco calpestino dei panni posti ad asciugare, chi indosserà quei panni prenderà, attraverso la virtú che vi è stata infusa, i colori dell’arco, e si amma-lerà. Si dice anche (ma la prima ipotesi patogenetica è la piú diffusa e credibile) che bisogna guardarsi dall’orinare contro l’arcobaleno: il getto arcuato del liquido somi-gliando e riflettendo l’iride arcuata del cielo, l’uomo intero diventerà una specie d’iride gialla. Per combattere l’itterizia, il malato deve essere portato, alla prima alba, su un colle fuori del paese. Un coltello dal manico nero Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli deve essergli appoggiato sulla fronte, dapprima vertical-mente, poi orizzontalmente, in modo che ne venga una specie di croce. Nello stesso modo, appoggiando diversamente il coltello, devono farsi delle croci su tutte le giunture del corpo; mentre si pronuncia, ad ogni croce, un semplice scongiuro. L’operazione va ripetuta tre volte, senza omettere nessuna giuntura; e per tre mattine consecutive. L’arco allora si ritira, di colore in colore, e il viso del malato ritorna bianco.
La formula contro l’erisipela non serve da sola: ma soltanto associata all’argento. I contadini conservano in casa un vecchio scudo, per quest’uso; e non ho mai visto nessuno di questi malati, quaggiú assai frequenti, senza incontrare, appoggiata sulla pelle gonfia e rossa, la grossa moneta. Ci sono formule per saldare le ossa, per i ma-li di denti, di ventre, di testa; per scaricare i dolori su qualcun altro, o su qualche animale, o pianta, o oggetto; per liberarsi dal malocchio, e dagli incanti. Ma qui, dalla medicina, si passa insensibilmente al suo contrario, ai modi per fare ammalare e morire; oppure all’altra e cosí importante branca della magía popolare, all’arte di co-stringere all’amore, o di liberare dall’amore. Di quest’ultimo ramo fui certamente, come ho detto, molte volte spettatore, e forse ancor piú di frequente, oggetto e vittima: e se, lí per lí, non mi accorsi di nulla, chi potrebbe esser certo che da quei filtri ed incanti non mi sia venuta poi, molto piú tardi, tanta infelice capacità di passione?
Intanto dovevo piuttosto difendermi dagli assalti diretti di qualche strega, come la Maria C., che mi mandava a chiamare, fingendo che la sua bambina fosse malata, quando il marito (che era stato già in prigione per assassinio per gelosia) era nei campi. Era la stessa che aveva fatto morire di male misterioso il marito della vedova: la piccola, dicevano tutti, era figlia di quel morto: una bella bambina dall’aria civile. La madre era tale da fare davvero paura: piccolissima e tozza, aveva una fronte bassa Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli tanto, che l’attaccatura dei capelli, blu-neri e lisci, in due grandi bande separate da una riga diritta, quasi toccava le sopracciglia, anch’esse folte e scure. Sotto, c’era un piccolo viso di animale selvatico, dal naso corto, con le narici aperte, e una piccola bocca carnosa, dai bianchi denti aguzzi. Ma quel viso pallido, in tutto quel nero di capelli e di ciglia, era riempito dagli occhi, pieni di follia, enormi, lontani, larghi nelle tempie, chiarissimi, azzurro-verdi, che facevano pensare a un lago dai bordi pericolosi di sabbie mobili, tra putridi alberi tropicali.
– Dovresti fare lo stregone; ormai sai curare anche al-la nostra maniera –. Io continuavo celatamente a fare il medico: avendo cura però di non contraddire le pratiche magiche. Qui, dove tutti i rapporti fra le cose sono influssi e magía, anche la medicina ha potere soltanto per il suo contenuto magico, pur restando corretta e ri-gorosa e scientifica, né sposandosi ad atteggiamenti misteriosi. Il chinino, purtroppo, ha perduto ogni potere, perché appartiene, per i contadini, a una scienza scredi-tata, incomprensiva e pretensiosa. Ci voleva molta autorità per farlo accettare, e preso cosí a malincuore, agiva poco: preferivo sostituirlo con medicine nuove, piú potenti in sé e piú ricche d’influenza; come l’atebrina e la plasmochina, che mi servirono sempre meravigliosa-mente, perché agivano insieme e come sostanze chimi-che e come influenze magiche.
Tolto il chinino, tutte le medicine sono accolte dai contadini con fiducia: soltanto, non si trovavano, o erano troppo care; o servivano a un abituale sfruttamento da parte di medici e farmacisti. Nelle vecchie farmacie polverose di questi paesi, dove pur esse esistano, non si sa mai se la medicina preparata corrisponde alla ricetta, o non sia, nel migliore dei casi, un intruglio di polveri inerti. È meglio dunque ricorrere sempre alle specialità, che sono care; e anche cosí la cosa non va senza inconvenienti. Il figlio della Parroccola era malato. Aveva una Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli pustola maligna: il carbonchio è qui assai frequente, in questo mondo pieno di animali; e ne vidi moltissimi ca-si. Lo visitai verso sera: avevo finito la mia piccola scorta di siero, e in paese non ce n’era. Dissi alla madre di non perdere tempo, di andare, per le scorciatoie, a Sant’Arcangelo, a cercare il siero in farmacia. – Hai denaro? – le chiesi. – Ho trenta lire. Mi hanno pagato ora i carabinieri, per il mio lavoro di lavandaia –. Sapevo che le fiale costavano otto e settantacinque l’una: il denaro dunque bastava. – Prendine tre, cosí saremo tranquilli –. Il carbonchio è una brutta malattia che guarisce soltanto col siero, dato senza economia. Era sera: la Parroccola non osava mettersi per strada la notte. – Ci sono gli spiriti sul sentiero, non mi lasceranno passare –. Ma partí lo stesso, molto prima dell’alba, e seppe correre, con quelle sue gambe tozze, con la fretta di una madre ansiosa.
Dieci chilometri l’andata, dieci chilometri il ritorno: la mattina era a casa. Ma le fiale erano due sole. Me ne stu-pii, ed essa mi raccontò che il farmacista le aveva chiesto quanto denaro aveva. – Trenta lire. – Allora puoi prendere due fiale. Sai leggere? Costano quindici lire l’una.
C’è scritto sopra –. C’era scritto sopra «8,75». Di questi mezzi si serve il diritto feudale della piccola borghesia di questi paesi. Per fortuna, le due fiale bastarono.
La Parroccola era poverissima: non possedeva nulla, altro che il suo gran letto, e le sue misere grazie di zambra. Avrebbe dovuto avere medici e medicine gratuite: avrebbe dovuto essere nell’elenco dei poveri. Questo elenco esisteva, nascosto in qualche scaffale del municipio: ma, in questo paese di generale e completa miseria, era brevissimo: forse quattro o cinque nomi. Con i pretesti piú vari, non si riconosceva a nessuno la qualità di povero: altrimenti, chi avrebbe pagato il debito tributo a medici e farmacisti, autori essi stessi non controllati dell’elenco? Anche questo era uno dei mali antichi, san-zionati dall’uso, inevitabili, legati allo Stato, contro cui Letteratura italiana Einaudi