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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli quadro sul cavalletto, a cui avevamo legato delle grosse pietre perché il vento non lo portasse via. Dopo mangiato, cominciò a piovere, e non ci restò che tornare. Il quadro era ormai pressoché finito, lo si caricò sul mulo, avvolto in una coperta, e sotto la pioggia leggera ci met-temmo in cammino.

Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli In paese ci aspettava una straordinaria novità: era arrivata allora, su un carro tirato da un cavallo magro, una compagnia di attori. Si sarebbero fermati qualche giorno, avrebbero recitato, ci sarebbe stato il teatro! Il carro, coperto da un tendone cerato, era là sulla piazza, con le scene e il sipario arrotolati. Gli attori si affaccendava-no lí attorno, e andavano cercando, nelle case dei contadini, ospitalità, per non dover spendere nell’albergo di Prisco. La compagnia era costituita di una famiglia: il padre, capocomico, la madre, prima attrice, due figlie di meno di vent’anni, con i loro mariti, e qualche altro parente. Erano siciliani. Il capocomico entrò subito da Pri-seo, per farsi dare qualcosa di caldo per sua moglie, che aveva la febbre. Non avrebbe potuto recitare quella se-ra; forse neppure l’indomani, ma si sarebbero fermati qualche giorno. Era un uomo di mezza età; già un po’

grasso, con le guance cascanti, e una mimica accentuata, che ricordava l’imitazione di Zacconi. Quando seppe che io ero un pittore, mi disse che sarebbe stata per lui una grande fortuna se io avessi potuto dipingergli qualche scena di cui aveva bisogno. Le sue attrezzature erano ridotte ormai a quasi nulla, a forza di essere portate sul carretto, alle piogge e ai soli. Mi raccontò che egli era stato anche in buone compagnie, e che poi, per campare, si era dato a quella vita randagia, con la moglie e le figlie, tutte ottime attrici. Giravano per le città di Sicilia: qui in Lucania non c’erano ancora mai stati. Si fermavano nei paesi piú grossi e piú ricchi, piú o meno tempo, a seconda degli incassi: ma si guadagnava poco, la vita era difficile, una delle sue figlie era incinta e presto non avrebbe potuto recitare. Gli dissi che avrei dipinto volentieri le scene: ma cercammo poi invano, in paese, la carta o la tela e i colori necessari, e non potei, con molto dispiacere, farne nulla. Mi invitò comunque alla rappresentazione, di lí a due giorni, e mi presentò la sua compagnia. Il padre era il solo della famiglia ad avere l’aria Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli comune del vecchio attore: le donne non erano delle attrici, ma delle dee. La madre e le due figlie si assomigliavano. Parevano uscite dalla terra o discese da una nuvola: i loro enormi occhi neri erano quelli opachi e vuoti delle statue. I loro visi marmorei, tagliati dalle sopracciglia folte e nere e dalle rosse bocche carnose, stavano impassibili sui bianchi colli robusti. La madre era grande e opulenta, con la pigra sensualità di una Giunone arcaica; le figlie, sottili e ondulanti, sembravano ninfe dei boschi, avvolte, per finzione bizzarra, in cenci colorati.

Mi affrettai ad andare dai carabinieri, per avere il permesso di uscire la sera, per assistere alla recita. Il dottor Zagarella, podestà di Grassano, non amava, a differenza di don Luigino, fare il poliziotto, e lasciava che dei confinati si occupassero i carabinieri. Era un medico serio e colto, e, grazie a lui e a un altro dottore, il dottor Garaguso, che aveva fama di particolare competenza, Grassano era l’unico paese della provincia dove si facesse qualcosa per la lotta antimalarica, e con qualche buon risultato. Questi due medici erano un caso eccezionale e fortunato, in questi paesi dove quasi tutti i loro colleghi assomigliavano, piú o meno, ai due medicaciucci di Gagliano. Appunto perciò, mi ero proposto come uno degli scopi principali del mio viaggio, di visitarli per chiedere consigli alla loro specifica esperienza.

Sia l’uno che l’altro me ne dettero di preziosi, e mi mostrarono le loro statistiche. Da qualche anno si prendevano, a Grassano, misure sistematiche di profilassi e anche di bonifica, pur senza avere, praticamente, alcun appoggio dalle autorità provinciali, né speciali sussidi. I casi di perniciosa erano quasi scomparsi; e, in questi ultimi due anni, erano enormemente diminuiti i nuovi malati. La malaria, quaggiú, è un flagello assai peggiore di quello che si possa pensare: colpisce tutti, e, mal curata, dura tutta la vita. Il lavoro ne è impedito, la razza inde-bolita e fiaccata, i poveri risparmi vanno in fumo: ne de-Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli rivano la miseria piú nera, la schiavitú senza speranza.

La malattia nasce dalla miseria delle argille diboscate, dei fiumi abbandonati, di una agricoltura senza risorse, e genera a sua volta la miseria, in un circolo mortale. Per sradicarla occorrerebbero grandi opere; si dovrebbero arginare i quattro grandi fumi di Lucania, il Bradano, il Basento, l’Agri e il Sinni, e i minori torrenti; si dovrebbero ricoprire d’alberi le pendici dei monti; ci dovrebbero essere dappertutto dei medici valenti, degli ospe-dali, dei mezzi di cura e di profilassi. Ma anche le misure piú limitate avrebbero la loro efficacia, come mi dicevano Zagarella e Garaguso. Soltanto, nessuno se ne occupa, e i contadini continuano ad ammalarsi e a morire.

Il tempo si era fatto autunnale. Pioveva, in quei tre giorni prima della recita, e non potevo andare a dipingere in campagna. Passeggiavo per il paese, visitavo i miei conoscenti, e restavo a lavorare nella mia camera. Prisco era stato a caccia, era tornato con tre volpi, di quelle volpi rosse di qui, e un uccello di fiume. Io dipinsi l’uccello, e le volpi, e feci il ritratto del Capitano. Un giorno, mentre dipingevo le volpi, avevo interrotto un momento il lavoro, e guardavo, dalla finestra, nella strada. Era l’ora della siesta; nell’albergo tutti riposavano, e c’era un perfetto silenzio. Sentii un rumore affrettato di piedi nudi scendere di volo la scala, e vidi Prisco, scalzo e in maniche di camicia, uscire con un gran salto nella via, entrare come un fulmine nella porta di faccia, e uscirne, sempre in silenzio, con un coltello in mano. Apersi la finestra, e sentii un grande strepito di voci. Là in faccia c’era una rimessa, dove si fermavano i carrettieri di passaggio. Prisco, che era in camera sua a fare la siesta, ma che usava sempre dormire con un occhio solo, e con l’orecchio te-so, s’era accorto di qualcosa che non andava bene là in faccia, dove i carrettieri giocavano alla passatella. Aveva visto qualcosa luccicare, e, svelto come un gatto, senza infilarsi le scarpe e senza parlare, era arrivato in tempo Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli per strappare il coltello di mano a uno che l’aveva levato per ferire.

La passatella è il gioco piú comune quaggiú: è il gioco dei contadini. Nei giorni di festa, nelle lunghe sere d’inverno, essi si trovano nelle grotte del vino, a giocarla.

Ma spesso finisce male; se non sempre a coltellate come quel giorno, in litigi e baruffe. La passatella, piú che un gioco, è un torneo di oratoria contadina,,dove si sfoga-no, in interminabili giri di parole, tutti i rancori, gli odi, le rivendicazioni represse. Con una partita breve di carte si determina un vincitore, che è il Re della passatella, e un suo aiutante. Il Re è il padrone della bottiglia, che tutti hanno pagato; e riempie i bicchieri a questo o a quello, secondo il suo arbitrio, lasciando a bocca asciutta chi gli pare. L’aiutante offre i bicchieri, e ha diritto di veto: può cioè impedire a chi si appresta a bere di portare il bicchiere alle labbra. Sia il Re che l’aiutante debbo-no giustificare il loro volere e il loro veto, e lo fanno, in contraddittorio, con lunghi discorsi, dove si alternano l’ironia e le passioni represse. Qualche volta il gioco è innocente e si limita allo scherzo di far bere tutto a uno solo, che sopporta male il vino, o di lasciare a secco proprio quello che si sa amarlo di piú. Ma il piú delle volte, nelle ragioni addotte dal Re e dall’aiutante, si rivelano gli odi e gli interessi, espressi con la lentezza, l’astuzia, la diffidenza e la profonda convinzione dei contadini. Le passatelle e le bottiglie si seguono una all’altra, per delle ore, finché i visi sono accesi per il vino, per il caldo, e per il destarsi delle passioni, aguzzate dall’ironia e appe-santite dall’ubriachezza. Se ancora non scoppia la lite, è in tutti l’amarezza delle cose dette, degli affronti subiti.

Prisco lo conosceva bene, quest’unico divertimento dei contadini, e stava attento.

Quando, dopo l’intervallo del coltello, ebbi finito di dipingere le volpi, uscii per fare due passi. Aveva cessato di piovere, e l’aria del paese era piena dell’odore di car-Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli ne bruciata dei gnemurielli che erano posti su dei bra-cieri, in mezzo alla strada, e che si vendevano a due soldi l’uno. Mi avviai per una scaletta, su verso l’alto, e rag-giunsi la casa dove avevo abitato negli ultimi giorni prima della mia partenza per Gagliano, quando, lasciato l’albergo di Prisco, avevo pensato di sistemarmi definitivamente. La mia casa consisteva di una grande stanza con due finestre, al primo piano, che mi aveva affittato una vedova napoletana. Sotto, al pianterreno, c’era una bottega di falegname. La moglie del falegname, Margherita, mi faceva le faccende, e mi voleva molto bene. Anche ora, quando mi vide arrivare di lontano, mi corse incontro per festeggiarmi. – Sei tornato? Resti qui con noi? – Le dispiacque di sapere che avrei dovuto ripartire. Margherita era una vecchia, con un grande gozzo bi-torzoluto che le deformava il collo, e un viso pieno di bontà. Era considerata una delle donne piú intelligenti e piú colte del paese, perché aveva fatto fino alla quinta elementare, e ricordava perfettamente tutto quello che aveva imparato. Quando veniva nella mia camera, mi ripeteva infatti le poesie di quei suoi vecchi tempi di scuola: la Spedizione di Sapri, la Morte di Ermengarda. Le ripeteva stando in mezzo alla stanza, ritta in piedi, con le braccia rigide e pendenti lungo il corpo, recitandole co-me cantilene. Ogni tanto si interrompeva per spiegarmi il significato di qualche parola difficile. Margherita era affettuosa e gentile. Mi diceva spesso: – Non essere triste se la tua mamma è lontana. Hai perduto una mamma ma ne hai trovata un’altra. Io sarò la mamma tua –. Malgrado il suo gozzo, era veramente materna. Aveva avuto due figli, che ora erano grandi, e avevano già famiglia: uno era in America. Dei figliuoli mi parlava sempre, e volentieri, e mi mostrava le fotografie dei nipotini. Ma quando un giorno le chiesi se non ne avesse avuti altri, si mise a piangere di tenerezza al ricordo del suo terzo bambino, il prediletto, che era morto, e mi raccontò, fra Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli le lagrime, la sua storia. Questo figlio era il piú bello di tutti. Aveva poco piú di un anno e mezzo, e parlava già bene, aveva dei bei riccioli neri e degli occhi vivaci: e ca-piva ogni cosa. Un giorno d’inverno, che c’era la neve sulla terra, Margherita l’aveva affidato a una sua comare e vicina, che l’aveva portato con sé in campagna, mentre andava a far legna. Alla sera la vicina tornò a casa sola, e disperata. Aveva lasciato il bambino, che camminava ben poco, per pochi minuti, mentre raccoglieva, nel sentiero del bosco, delle frasche: ma, tornata, il bambino non c’era piú. Aveva girato là attorno dappertutto, del bambino nessuna traccia. Certo doveva averlo preso un lupo o un’altra bestia del bosco, e non si sarebbe trovato mai piú. Margherita e suo marito, e tutti i contadini, e i carabinieri partirono subito, e per tutta la notte e nei giorni seguenti batterono tutta la campagna, metro per metro; ma il bambino non fu trovato, e la ricerca, dopo tre giorni, fu abbandonata. Il quarto giorno, alla mattina, Margherita, che girava sola e sconsolata per la campagna, incontrò, alla svolta di un sentiero, una donna grande e bella, col viso nero. Era la Madonna di Viggiano. Le disse: – Margherita, non piangere. Il tuo bambino è vivo. È laggiú nel bosco, in una fossa da lupi. Va’ a casa, fatti accompagnare, e lo troverai –. Margherita corse, e, seguita dai contadini e dai carabinieri, giunse nel luogo indicato dalla Madonna. Nella fossa da lupi, in mezzo alla neve, giaceva il suo bambino, tranquillamen-te addormentato, tutto rosa e tiepido in mezzo a quel freddo. La madre lo abbracciò, lo svegliò. Tutti piangevano, anche i carabinieri. Il bambino raccontò che era venuta una donna col viso nero, e che per quattro giorni l’aveva tenuto con sé e gli aveva dato il latte, lí in quella fossa, e l’aveva tenuto caldo. Quando furono tornati a casa, Margherita disse a suo marito: – Questo bambino non è come gli altri. La Madonna di Viggiano gli ha dato il latte, nella fossa da lupi. Chissà che cosa sarà di lui.

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli Andiamo a Grottole, dall’indovinante. A Grottole, – diceva Margherita, – c’era allora un indovinante, che in-dovinava forte. Ci andammo, pagammo una lira, e quello disse tutto quel che era successo, come se l’avesse visto. Ma poi si scurí in viso, e disse che il bambino sarebbe morto all’età di sei anni, cadendo da una scala. E

purtroppo cosí fu. A sei anni cadde da una scala, il mio povero bambino, e morí –. Margherita piangeva.

Altri bambini erano stati rapiti per l’aria, e ritrovati per merito della Madonna nera. Uno di pochi mesi scomparve, e si trovò poi, sopra uno dei due alberi che stanno a lato della cappella di sant’Antonio, a una diecina di chilometri dal paese, a mezza strada fra Grassano e Grottole. Era stato un demonio a portarlo lassú, e sant’Antonio ad averne cura. Ma il solo di cui conosces-si anch’io la famiglia, era il bambino di Margherita.

Venne finalmente la serata della recita. Aveva cessato di piovere, le stelle brillavano mentre mi avviavo verso il fondo del paese. Non esistevano sale o saloni che potessero servire di teatro: si era scelto una specie di cantina o di grotta seminterrata, e ci avevano portato delle panche, dalla scuola, sul pavimento di terra battuta. In fondo, avevano costruito un piccolo palco, chiuso da un vecchio sipario. Lo stanzone era pieno zeppo di contadini, che aspettavano con meraviglia l’inizio della rappresentazione. Si recitava La Fiaccola sotto il Moggio, di Ga-briele d’Annunzio. Naturalmente, mi aspettavo una gran noia da questo dramma retorico, recitato da attori inesperti, e aspettavo il piacere della serata soltanto dal suo carattere di distrazione e di novità. Ma le cose andarono diversamente. Quelle donne divine, dai grandi occhi vuoti e dai gesti pieni di una passione fissata e immobile, come le statue, recitavano superbamente; e, su quel palco largo quattro passi, sembravano gigantesche. Tutta la retorica, il linguismo, la vuotaggine tronfia della tragedia svaniva, e rimaneva quello che avrebbe dovuto Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli essere, e non era, l’opera di d’Annunzio, una feroce vicenda di passioni ferme, nel mondo senza tempo della terra. Per la prima volta, un lavoro del poeta abruzzese mi pareva bello, liberato da ogni estetismo. Mi accorsi subito che questa sorta di purificazione era dovuta, piú ancora che alle attrici, al pubblico. I contadini parteci-pavano alla vicenda con interesse vivissimo. I paesi i fiumi i monti di cui si parlava, non erano lontani di qui.

Cosí li conoscevano, erano delle terre come la loro e davano in esclamazioni di consenso sentendo quei nomi.

Gli spiriti e i demoni che passano nella tragedia, e che si sentono dietro le vicende, erano gli stessi spiriti e demoni che abitano queste grotte e queste argille. Tutto diventava naturale, veniva riportato dal pubblico alla sua vera atmosfera, che è il mondo chiuso, disperato e senza espressione dei contadini. In quella serata, spogliata la tragedia, dagli attori e dal pubblico, di tutto il dannun-zianesimo, restava soltanto un contenuto grezzo ed elementare, che i contadini sentivano proprio. Era un’illu-sione, ma mostrava la verità. D’Annunzio era uno dei loro: ma era un letterato italiano, e non poteva non tra-dirli. Egli era partito di qui, da un mondo senza espressione, e aveva voluto sovrapporgli la veste brillante della poesia contemporanea, che è tutta espressività, sensualità, senso del tempo. Aveva perciò degradato quel mondo a puro strumento retorico, quella poesia a vuoto formalismo linguistico. Il suo tentativo non poteva essere che un tradimento e un fallimento. Da quel connubio ibrido non poteva che nascere un mostro. Le attrici sici-liane e i contadini di Grassano avevano, spontaneamen-te, fatta la strada opposta; avevano eliminata quella veste posticcia, e ritrovato a modo loro il nocciolo paesano; e di questo si commovevano ed entusiasmavano. I due mondi malamente fusi nella vuotezza estetizzante, tornavano a scindersi, poiché ogni loro contatto è impossi-Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli bile, e sotto quell’onda di inutili parole riappariva, per i contadini, la Morte vera e il Destino.

Il giorno dopo, ero invitato a colazione dal signor Orlando, fratello di un noto giornalista che abitava a New York. Era un uomo alto, serio e malinconico. Viveva ritirato in un suo palazzetto, in una parte isolata del paese, e, avversario degli attuali potenti, si teneva lontano il piú possibile dalle questioni locali. Io avevo disegnato la copertina di un libro di suo fratello sull’America: questo era stato il pretesto della nostra conoscenza, ed egli mi aveva usato ogni sorta di cortesie. Aveva ancora gli antichi costumi lucani: sua moglie non mangiò a tavola con noi, e ci lasciò soli. Parlammo dei contadini, della malaria, dell’agricoltura, dei vari aspetti della questione meridionale. Io avevo visto quel giorno un confinato, un piccolo ragioniere torinese, già impiegato ai sindacati, e mandato qui, a quello che egli diceva, come capro espia-torio per degli scandalosi furti di fondi nelle casse sinda-cali ad opera dei gerarchi suoi superiori. Egli aveva trovato da lavorare tenendo i libri di conti di una delle piú grosse proprietà di Grassano, e me li mostrò. In questa grande tenuta non si coltivava che grano, secondo le direttive del governo. Nelle annate buone, malgrado il concime e il lavoro, non si raggiungeva che un raccolto di nove volte il seme; nelle altre annate la messe era di molto inferiore; a volte dava soltanto tre o quattro volte la semenza. Era dunque una follia economica questo insistere sul grano. Queste terre non consentirebbero che la coltura del mandorlo e dell’olivo; e soprattutto, dovrebbero tornare ad essere foreste e pascoli. I contadini erano pagati con salari di fame. Ricordavo, nel giorno del mio arrivo, in piena mietitura, le lunghe file di donne, che salivano dai campi in riva al Basento su per l’interminabile strada, fino in paese, con in testa un sacco di grano, come dei dannati dell’inferno, sotto il sole feroce.

Per ogni sacco portato fino in paese ricevevano una lira.

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