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con una trentina d’altri bojardi, per impicci di corte, profittai di questa avventura e me ne scappai. Traversai tutta la Russia; fui lungo tempo a servire in una osteria

a Riga, indi a Rostock, a Veimar, a Lipsia a Cassel, a Utrecth, a Leida, all’Aja, a

Rotterdam; sono invecchiata nella miseria e nell’obbrobrio, ricordandomi sempre

d’esser figlia di papa. Ho voluto uccidermi cento volte; ma amavo ancora la vita.

Questa debolezza ridicola è forse delle nostre inclinazioni la più funesta. Perchè

vi è nulla di più ridicolo che di voler portar continuamente un fardello, che si vorrebbe ad ogni momento buttar giù? Di aver in aborrimento la propria esistenza,

e di non poter distaccarsene? D’accarezzar finalmente il serpe che ci divora,

finchè non ci abbia mangiato il cuore?

“Ho veduto ne’ paesi che la fortuna m’ha fatto scorrere e nelle osterie dove ho servito, un numero prodigioso di persone, che detestavano la propria esistenza, ma otto soli ne ho veduti che abbian volontariamente posto fine alla lor miseria, tre negri, quattro inglesi e un professore tedesco nominato Robek. Finalmente; sono stata a servire in casa dell’ebreo don Issaccar che mi mise appresso di voi

signorina mia bella; mi vi sono affezionata, e mi son data più pensiero delle vostre

avventure che delle mie. Non vi avrei nemmen parlato mai delle mie disgrazie, se

voi non m’aveste un po’ piccata e se non fosse l’uso sui bastimenti di contar istorielle per divertirsi. Finalmente, signora, io ho dell’esperienza e conosco il mondo. Pigliatevi un gusto; impegnate i passeggeri a contarvi ognun la sua istoria, e se uno solo se ne trova che non abbia sovente maledetto il punto in cui

nacque, e che non abbia sovente detto a sè medesimo d’essere il più infelice che

viva, gettatemi a capo all’ingiù nel mare, ch’io mi contento.”

CAPITOLO XIII (torna all’indice)

Come Candido fu obbligato di separarsi dalla bella Cunegonda e dalla

vecchia

La bella Cunegonda udita che ebbe l’istoria della vecchia le fe’ tutte le cortesie che a persona del di lei merito e del di lei rango si convenivano, ed avendo accettato il consiglio, impegnò tutti i passeggieri a contare, uno dopo l’altro, le loro avventure, ed ebbe, insieme con Candido, a confessare che la vecchia aveva ragione. - Che peccato, diceva Candido, che il saggio Pangloss sia contro il costume stato impiccato in un auto-da-fè! ei ci direbbe delle cose ammirabili sul mal fisico e sul mal morale onde è coperta la terra e il mare, ed io mi sentirei forza bastante di fargli con tutto il rispetto delle obbiezioni.

A misura che ognuno andava contando la propria istoria il bastimento avanzava cammino. Abbordarono a Buenos-Aires, e Cunegonda, il capitan Candido, e la

vecchia andarono a casa del governatore don Fernando d’Ibaraa y Figueora y Mascarenes y Lampourdos y Souza. Questo signore avea tutta la fierezza che convenivasi a un uomo che portava una sì lunga sfilata di nomi, egli parlava alla

gente con un sì nobil disdegno, arricciava talmente il naso, alzava sì

spietatamente la voce, prendeva un tuono da imporre talmente e affettava un portamento sì altiero, che faceva venir voglia di bastonarlo a chiunque gli favellava. Amava furiosamente le donne, e Cunegonda gli parve quanto di più bello avesse mai veduto. La prima cosa ch’ei fece, fu di dimandare s’ella era moglie del capitano, e fece questa domanda in un’aria, che mise Candido in apprensione; non ardì egli dire che era sua sorella perchè non lo era nemmeno,

quantunque questa bugia officiosa fosse di moda fra gli antichi e potesse essere

utile tra i moderni; aveva l’anima troppo pura per avere a tradire la verità. -La signora Cunegonda, diss’egli, deve farmi l’onor di sposarmi, e siamo a supplicar

l’Eccellenza Vostra a degnarsi di fare le nostre nozze.

Don Fernando d’Ibaraa y Figueora y Mascarenes y Lampourdos y Souza,

arricciando le basette, sorrise amaramente, e ordinò al capitano Candido

d’andare a far la visita della sua compagnia. Candido obbedì; e il governatore si

fermò con Cunegonda; le dichiarò la sua passione, le protestò che il giorno appresso l’avrebbe sposata in faccia alla Chiesa, o altrimenti, come più fosse piaciuto alla di lei bellezza; Cunegonda gli domandò un quarto d’ora per

raccogliersi, per consultar la vecchia, e determinarsi.

La vecchia diceva a Cunegonda: - Signorina, voi avete settantadue quarti di nobiltà, e nemmeno un picciolo; non sta che a voi il divenir la moglie del più gran

signore dell’America Occidentale, e che ha una bella basetta: vorrete voi piccarvi

d’una fedeltà a tutta prova?

Voi siete stata oltraggiata da’ Bulgari; un ebreo e un inquisitore si sono succeduti.

Le disgrazie danno de’ privilegi; ed io confesso, che se fossi ne’ vostri piedi non

mi farei il minimo scrupolo di sposare il signor governatore, e di far la fortuna di Candido.

Mentre la vecchia così parlava con tutta la prudenza che viene dall’esperienza e

dagli anni, si vide entrar nel porto un piccolo legno, che portava un alcade, e degli alguazil; ed ecco quel che era successo.

La vecchia aveva molto bene indovinato, che era questi un francescano

conventuale, che avea rubato i danari e le gioje di Cunegonda nella città di Badajoz, quando in tutta fretta se ne fuggiva con Candido. Questo frate avendo voluto vendere alcune di quelle gioje a un giojelliere, furon da lui riconosciute per quelle dell’inquisitore, e il francescano aveva, prima di farsi impiccare, confessato d’averle rubate, indicando le persone e la strada ch’esse avean presa. La fuga di

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