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Venti belle ragazze della guardia ricevettero Candido e Cacambo al discendere dalla carrozza; li condussero ai bagni, li vestirono di abiti tessuti di piuma di colibrì, e dopo i grand’uffiziali e grand’uffizialesse della corona li introdussero all’appartamento di sua maestà in mezzo a due file ciascuna di mille musici, secondo l’uso ordinario. Quand’essi si avvicinarono alla sala del trono, Cacambo

dimandò a un grand’uffiziale come bisognava contenersi per salutare sua maestà:

se si stava ginocchioni o colla pancia per terra, se si mettevano le mani sulla testa o sul di dietro, se si leccava la polvere della sala, in una parola qual era il cerimoniale. - L’uso, disse il grand’uffiziale, è di abbracciare il re e baciarlo da una

parte e dall’altra.

Candido o Cacambo saltarono al collo di sua maestà, ed egli li ricevè con tutta la

grazia immaginabile, e gl’invitò gentilmente a cena.

Frattanto si fece lor vedere la città, gli edifizj pubblici innalzati fino alle nuvole, i passeggi adornati di mille colonne, le fontane d’acqua pura, quelle d’acqua di rosa, quelle di liquor di canna di zucchero, che gettavano zampilli continuamente

nelle vaste piazze lastricate di una specie di pietre che tramandavano un odore simile a quello del garofano e della cannella. Candido chiese di vedere il palazzo

della giustizia, e il parlamento, o gli si disse che non vi era nulla di questo, nè mai si facean liti. Dimandò se vi erano delle prigioni, e gli si disse che no. Ciò lo stupì d’avvantaggio, e finalmente quel che più gli piacque fu il palazzo delle scienze, nel quale ei vide una galleria di duemila passi, tutta piena di strumenti di fisica.

Dopo di aver trascorsa, tutto il dopo pranzo, press’a poco la millesima parte della

città, furono ricondotti dal re. Candido si mise al tavola fra sua maestà, il suo servo Cacambo e molte dame. Non si poteva far miglior pasto, nè si poteva cenare con maggior gusto, di quel che ne provò il re. Cacambo spiegava le idee

del re a Candido, e benchè tradotte, eran sempre concettose. Di tutto quel che maravigliava Candido questo non era il meno.

Essi passarono un mese alla Corte; Candido diceva sempre a Cacambo: “È vero,

amico, che il paese ov’io son nato non ha nessun grado di comparazione col paese ove siamo, ma finalmente la bella Cunegonda non v’è, e voi ancora avrete

senza dubbio qualche amante in Europa. Se noi restiamo qui non vi faremo

maggior figura degli altri, invece se torniamo nel nostro mondo con dodici montoni

carichi de’ ciottoli d’Eldorado, saremo più ricchi di tutti insieme i re: non avremo più inquisitori da temere, e potremo facilmente riprenderci la bella Cunegonda.

Piacque tal discorso à Cacambo; s’ha tanto gusto a gironzare e farsi valere fra i

suoi, e far mostra di ciò che s’è veduto viaggiando, che i due fortunati si risolverono di più non esserlo, e di prender congedo da sua maestà.

- Voi fate una pazzia, disse loro il re: so bene che il mio paese è piccola cosa, ma

quando si vive passabilmente in qualche luogo, bisogna restarvi; io non ho al certo il diritto di ritenere i forastieri; questa è una tirannia che non è nè secondo i nostri costumi, nè secondo le nostre leggi. Tutti gli uomini sono liberi; partirete quando vorrete, ma sappiate che l’escita è ben difficile. È impossibile di rivalicare il rapido fiume su cui siete qui giunti per miracolo, e che corre sotto a volte di scogliere. Le montagne che chiudono tutto il mio regno, hanno diecimila piedi d’altezza, e son diritte come muraglie; esse occupano in larghezza uno spazio di

dieci leghe per ciascuna, e non si può discenderle che per precipizj. Per altro, giacchè volete assolutamente partire, io darò ordine agli intendenti di macchine di

farne una che comodamente possa trasportarvi; ma quando sarete condotti a

traverso le montagne nessuno vi potrà accompagnare; perchè i miei sudditi han fatto voto di non uscir giammai dal loro recinto, ed essi son troppo saggi per rompere il loro voto; pel resto chiedetemi tutto ciò che vi piacerà. - Noi non

chiediamo a vostra maestà, disse Cacambo, che alcuni montoni carichi di viveri, de’ ciottoli o del terriccio del paese. - Il re rispose: Io non capisco, qual gusto abbiano le vostre genti d’Europa per la nostra mota gialla; ma portatevene quanta

ne vorrete, e buon pro vi faccia.

Egli died’ordine in quell’istante a’ suoi ingegneri di fare una macchina per levar in alto, e calar fuor del regno i due uomini straordinari. Tremila bravi fisici vi lavorarono; essa fu pronta in termine di quindici giorni, e non costò più di venti milioni di lire sterline, moneta del paese. Furon messi sulla macchina Candido e

Cacambo; vi eran due gran montoni sellati, e brigliati per servir loro di cavalcatura quando avessero scalato lo montagne: venti montoni da basto carichi di viveri, trenta che portavano di regali, consistenti in ciò che il paese aveva di più raro, ed altri cinquanta carichi d’oro, di pietre, e di diamanti. Il re abbracciò teneramente i due forestieri.

Fu un bello spettacolo la lor partenza, e la maniera ingegnosa con cui furono innalzati essi e i lor montoni alla cima delle montagne. I fisici presero da lor congedo. Dopo di averli posti in sicurezza, a Candido non restò altro desiderio che d’andare a presentare i suoi montoni alla sua bella Cunegonda, messa forse

a prezzo. - Camminiamo verso la Cajenna, imbarchiamoci, e vedremo in seguito

qual regno potremo comprare.

CAPITOLO XIX (torna all’indice)

Ciò che accadde loro a Surinam e come Candido fece conoscenza con

Martino.

Il primo giorno de’ nostri viaggiatori fu piacevole. Essi erano incoraggiati dall’idea di vedersi possessori di tesori di gran lunga maggiori di quanti ne avessero potuti

riunire l’Asia, l’Europa e l’Africa. Candido entusiasmato, scrisse il nome di Cunegonda sugli alberi. Il secondo giorno due de’ lor montoni s’affondarono nelle

paludi, e vi subissarono col lor carico; due altri montoni morirono di fatica alcuni giorni appresso; sette o otto perirono in seguito dalla fame in un deserto; altri in termine di alcuni giorni caddero da precipizj; finalmente dopo cento giorni di cammino non restaron loro che due montoni. Candido disse a Cacambo: -

Vedete, amico, come le ricchezze di questo mondo son caduche: nulla vi è di stabile come la virtù, e la fortuna di veder Cunegonda. - Lo confesso anch’io, rispose Cacambo; ma ci restano ancor due montoni con più tesori che non avrà

mai il re di Spagna e vedo da lontano una città, che io suppongo Surinam, appartenente agli Olandesi. Eccoci al termine dello nostre fatiche e al principio della nostra felicità.”

Avvicinandosi alla città s’incontrarono in un negro disteso in terra, che non aveva

che la metà del suo abito, cioè un par di braghe di tela azzurra; mancava a questo povero uomo la gamba sinistra, e la mano dritta. - Mio dio! gli dice Candido, che

fai tu là, amico, in questo stato orribile in cui ti vedo? - Attendo il mio padrone il signor Vanderdendur il famoso negoziante, risponde il negro. - E questo signor Vanderdendur, dice Candido, ti ha conciato così? - Sì, signore, risponde il negro,

quest’è l’uso: ci vien dato un par di brache di tela per vestito due volte l’anno: quando lavoriamo alle zuccheriere, e che la macina ci acchiappa un dito, ci si taglia la mano; quando vogliam fuggire ci si taglia la gamba; a questo prezzo voi

mangiate dello zucchero in Europa. Intanto, allorchè mia madre mi vendè per dieci scudi patacconi sulla costa di Guinea, ella mi diceva: figliuol mio, benedici i nostri feticci, adorali tutti i giorni, essi ti faran vivere fortunato; tu hai l’onore d’essere schiavo de’ nostri signori i bianchi, e tu fai la fortuna di tuo padre e di tua madre. Ah! io non so se ho fatto la lor fortuna, so bene che essi non han fatto la

mia: i cani, le scimmie, i pappagalli son mille volte meno disgraziati di noi. I feticci olandesi che mi han convertito, mi dicon tutte le domeniche che noi siamo tutti figli d’Adamo, bianchi e neri; io non sono genealogista, ma se quei predicatori dicono

il vero noi siam tutti fratelli cugini; or voi converrete che non si possono usare tra parenti trattamenti più orribili.

- O Pangloss! grida Candido, tu non avevi pensato a questa abominevole

circostanza; ed è pur cosa di fatto; bisognerà finalmente che io rinunzii al tuo ottimismo. - Che cos’è quest’ottimismo? dice Cacambo. - Ah, risponde Candido, è

la maniera di sostenere che tutto va bene quando si sta male.

Intanto versava lagrime riguardando il negro, e piangendo entrò in Surinam.

Are sens