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benissimo fatto; niente v’è di più giusto che il trattar così i propri nemici; in fatti il

diritto naturale c’insegna ad uccidere il nostro prossimo, e questo si costuma ancora in tutta la terra. Se noi non usiamo del diritto di mangiar gli uomini, è perchè abbiamo d’altra parte di che scialare, ma voi non avete il medesim rinfranco di noi; certamente è meglio mangiare i suoi nemici, che abbandonare ai

corvi e alle cornacchie i frutti di sua vittoria; ma, signori, voi non vorreste mangiar il vostro amico, voi credete d’infilare e arrostire un gesuita; ed egli è un vostro difensore, un nemico de’ vostri nemici: per me, io son nato nel vostro paese, e questo signore che vedete è mio padrone; che ben lungi d’essere un gesuita, ne

ha poc’anzi ammazzato uno, e ne porta le spoglie. Ecco l’oggetto del vostro errore. Per verificare quel ch’io vi dico, prendete la sua toga, portatela al primo steccato del regno de los Padres, e informatevi se il mio padrone non ha ammazzato un uffiziale gesuita: poco tempo vi abbisognerà, e potrete sempre mangiarci quando troviate ch’io abbia mentito, ma io vi ho detto la verità: voi conoscete troppo i principj del gius pubblico, i costumi e le leggi per non farci grazia.

Gli Orecchioni trovarono questo discorso molto ragionevole, e deputarono due cittadini de’ più ragguardevoli per andar con diligenza a informarsi della verità. I due deputati eseguirono la lor commissione da gente di spirito, e ritornarono ben

tosto ad apportar buone nuove.

Gli Orecchioni liberarono allora i due prigionieri, fecero loro ogni sorta di civiltà, offrirono loro delle ragazze, diedero loro rinfreschi, e li ricondussero ai confini dei loro Stati, gridando con allegrezza: Non è gesuita, non è gesuita.

Candido non lasciava di ammirare la sua liberazione - Che popolo! diceva egli, che uomini! Che costumi! Se io non avessi avuta la fortuna di dare una stoccata a

traverso il corpo del fratello di Cunegonda, io era mangiato senza remissione; ma

finalmente la pura natura è buona, poichè questa gente in luogo di mangiarmi, mi

ha fatto mille gentilezze, allorchè han saputo che io non era gesuita.

CAPITOLO XVII (torna all’indice)

Arrivo di Candido e del suo servo al Paese d’Eldorado e ciò ch’essi vividero.

Quando furono alle frontiere degli Orecchioni: - Vedete voi, disse Cacambo a Candido, che quell’emisfero non è miglior dell’altro: credete a me, ritorniamocene

in Europa per la più corta. - Come ritornarci? disse Candido, e dove andare? Se

vado nel mio paese, i Bulgari e gli Abari ci scannano; se ritorno in Portogallo, son

bruciato; se restiamo in questo paese, corriamo rischio ogni momento di esser messi sullo spiedo; e poi come risolversi ad abbandonare la parte del mondo ove

abita la bella Cunegonda? - Volgiamoci verso la Cajenna, dice Cacambo, noi vi

troveremo de’ Francesi, i quali vanno per tutto il mondo ed essi potranno ajutarci.

Dio avrà forse pietà di noi.

Non era così facile di andare alla Cajenna. Essi sapevano press’a poco qual cammino bisognava prendere, ma fiumi, precipizj, assassini, selvaggi, eran per tutto terribili ostacoli; i lor cavalli morirono di fatica; le loro provviggioni furono consumate, e si nudrirono un mese intero di frutti selvatici; finalmente si trovarorono presso un fiumicello ornato di alberi di cocco, che sostennero la lor vita o le loro speranze.

Cacambo che sempre dava, al par della vecchia, de’ buoni consigli, disse a Candido: - Noi non ne possiam più, abbiamo camminato assai, vedo un barchetto

vuoto, empiamolo di cocco, e gettiamoci dentro, a discrezione della corrente; un

fiume conduce sempre in qualche parte abitata; se non troveremo delle cose aggradevoli, troveremo almen delle cose nuove. - Andiamo, disse Candido,

raccomandiamoci alla provvidenza.

Essi vogarono per qualche lega fra ripe or fiorite, ora sterili, or piane, ed ora scoscese. Il fiume si faceva sempre più largo; finalmente si perdeva sotto una volta di spaventevoli scogliere che si ergevano fino al cielo. I due viaggiatori ebbero l’ardire d’abbandonarsi al flutto, sotto quella volta. Il fiume, chiuso in quello stretto, portava con una rapidità e un fracasso terribile. In termine di

ventiquattr’ore rividero la luce, ma il lor barchetto si fracassò negli scogli, onde bisognò strascinarsi di rupe in rupe e per una lega intera; finalmente

discuoprirono un orizzonte immenso contornato di montagne inaccessibili. Il

paese era coltivato sì per piacere, come per bisogno, e da per tutto il prodotto era

aggradevole. Le strade eran coperte, o piuttosto adornate di vetture, d’una forma

e d’una materia brillante, portando addentro degli uomini e delle donne d’una bellezza singolare, condotte rapidamente da grossi montoni rossi, che

sorpassavano in corporatura i più bei cavalli d’Andalusia, di Tituano e di Mequinez.

- Ecco a buon conto, disse Candido, un paese che val più della Wesfalia.

Mise i piedi a terra con Cacambo al primo villaggio che gli si presentò. Alcuni ragazzi, coperti di un broccato d’oro tutto stracciato, giuocavano alle piastrelle all’entrata del borgo. I nostri due uomini dell’altro mondo s’occupavano ad osservarli; le loro piastrelle erano tonde, assai larghe, gialle, rosse, verdi, e gettavano uno splendore singolare; venne voglia ai viaggiatori di raccoglierne alcune, e videro ch’erano d’oro, di smeraldi, di rubini, la minor delle quali sarebbe stato il più grand’ornamento del trono del Mogol. - Senza dubbio, disse Candido,

questi ragazzi sono i figli del re del paese, che giocano alle piastrelle.

Apparve in quel momento il maestro del villaggio per ricondurli a scuola: - Ecco,

dice Candido, il precettore della famiglia reale.

Quei baroncelli abbandonaron tosto il giuoco, lasciando in terra le lor piastrelle e

tutto ciò che aveva servito al lor divertimento. Candido le raccolse, corse dal

precettore, e gliele presentò umilmente, facendogli intendere, a forza di cenni, che le loro altezze reali si erano dimenticate del loro oro e delle loro gemme. Il maestro del villaggio, sorridendo, le gettò per terra, guardò un momento la figura

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