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e dove quasi nessuno lo trova almen per quanto mi è parso: io vi ho dimorato poco, e vi fui derubato di tutto ciò che avevo al mio arrivo da’ ladri della fiera di San Germano: indi io stesso fui preso per un ladro, e stetti otto giorni in prigione, dopo di che mi feci correttore di stamperia, Per guadagnare tanto da ritornare a piedi in Olanda. Io vi ho conosciuto la canaglia degli scrittori, la canaglia de’

cavillatori e la canaglia de’ convulsionari; si dice che vi è della gente assai civile in quel paese: io voglio crederlo.

- Per me, io non ho niuna curiosità di veder la Francia, dice Candido; voi vi persuaderete facilmente, che quando sl è passato un mese nell’Eldorado non

viene voglia di veder altro sulla terra, che la bella Cunegonda; io vado ad aspettarla a Venezia; noi traverseremo la Francia per passare in Italia, non mi accompagnerete voi? - Volentierissimo, risponde Martino; si dice che Venezia non

è buona che per i nobili veneziani, ma che intanto si son ben ricevuti i forastieri,

quand’essi però hanno molto danaro: io non ne ho punto, voi ne avete, ed io vi seguirò per tutto. - A proposito, dice Candido, pensate voi che la terra sia stata originariamente un mare, come si assicura in quel grosso libro appartenente al capitano del vascello? - Io non credo niente affatto a questo, risponde Martino, e

neppure di tutti i sogni che si spacciano da qualche tempo. - Ma a qual fine questo mondo è stato dunque formato? ripiglia Candido. - Per farci arrabbiare, risponde Martino. - Credete voi, dice Candido, che gli uomini si siano sempre vicendevolmente straziati, come lo fanno al presente? ch’essi siano sempre stati

bugiardi, furbi, perfidi, ingrati, assassini, pieni di debolezze, ladri, vili, invidiosi, ingordi, ubbriaconi, avari, ambiziosi, sanguinari, calunniatori, discoli, fanatici, ipocriti e pazzi? - Credete voi, dice Martino, che gli sparvieri abbian sempre mangiato degli uccelli quando ne han trovati? - Sì, senza dubbio, dice Candido.

Ebbene, soggiunge Martino, se gli sparvieri han sempre avuto il medesimo

carattere, perchè volete voi che gli uomini abbian cambiato il loro? - Oh, dice Candido, vi è ben differenza perchè il libero arbitrio….

Così ragionando arrivarono a Bordeaux.

CAPITOLO XXII (torna all’indice)

Ciò che accadde in Francia a Candido e a Martino.

Candido non si trattenne in Bordeaux che tanto tempo quanto gliene abbisognò a

vendere de’ ciotoli d’Eldorado, e per provvedersi d’una buona carrozza a due posti, non potendo più discostarsi dal suo filosofo Martino. Si separò solamente, e

con rincrescimento dal suo montone, lasciandolo all’Accademia delle scienze di Bordeaux, la quale propose per soggetto del premio di quell’anno di trovare perchè la lana di quel montone era rossa; ed il premio fu assegnato ad un sapiente del nord, che dimostrò per A più B meno C diviso per Z, che il montone

dovea esser rosso o dovea morire.

Intanto tutti que’ viaggiatori che Candido incontrava nell’osteria per la strada che

faceva, gli dicevano: “noi andiamo a Parigi.” Questa festa universale fece

finalmente anche a lui venir la voglia di vedere quella capitale, tanto più che non

molto si discostava dal cammino per Venezia.

Entrò egli per il borgo di San Marcello, e credè di essere nel villaggio più vile della Wesfalia.

Appena Candido giunse al suo albergo fu assalito da una leggiera malattia

causata dalle sue fatiche, e siccome aveva in dito un diamante smisurato, e si era

veduta fra il suo equipaggio una cassetta eccedentemente pesante, egli ebbe immediatamente presso di lui due medici, stati mandati da alcuni intimi amici, che

non l’abbandonavano, e due bacchettone gli facevano scaldare le bevande;

Martino diceva: - Mi ricordo di essere stato ammalato anch’io a Parigi nel mio primo viaggio, e perchè ero molto povero, non ebbi nè amici, nè bacchettone, nè

medici, eppur guarii.

Intanto a forza di medicine e cavature di sangue, la malattia di Candido divenne

seria. Un abitante del quartiere venne con dolcezza a chiedergli un biglietto pagabile al latore per l’altro mondo; Candido non volle farlo; le bacchettone l’assicurarono che questa era un nuova moda; Candido rispose ch’ei non era punto uom alla moda; Martino volea gettar colui fuori della finestra; un chierico giurò che non si sarebbe sotterrato Candido; Martino giurò ch’ei seppellirebbe il chierico se continuava ad importunarlo: la contesa si riscaldò e Martino lo prese

per le spalle, e lo scacciò fieramente. Questo cagionò un grave scandalo, e se ne

fece un processo verbale.

Candido guarì e nella sua convalescenza ebbe una buonissima compagnia a

cenar seco lui. Si giuocava di grosso e Candido si stupiva di veder che non gli venivano mai gli assi; ma non se ne stupiva Martino.

Fra quei che facevano gli onori della città vi era un abatino di Perigord, uno di quei tipi sempre officiosi, sfrontati, adattabili a tutto, che corteggiano i forastieri che raccontan loro l’istoria scandalosa della città e offrono loro i piaceri a ogni prezzo; questo condusse subito Candido e Martino al teatro della Commedia; si recitava una tragedia nuova; Candido si trovò fra alcuni belli spiriti; questo non

gl’impediva di piangere su certe scene perfettamente rappresentate; ma uno de’

ragionatori gli disse in tempo di un intermezzo: - Voi avete torto di piangere: quell’attrice è molto cattiva, l’attore che recita seco è cattivo anch’egli, il contenuto della tragedia è peggiore degli attori, l’autore non sa una parola araba, e intanto la scena è in Arabia; di più egli è un uomo che non crede alle idee innate; io vi farò

vedere domani venti libercoli contro di lui. - Signore, gli dice l’abate di Perigord avete voi osservato quella giovinetta che ha un volto sì attraente, e un personale

sì ben composto? ella non vi costerà che diecimila franchi il mese e cinquantamila

scudi di diamanti.

“- Io non ho tempo di occuparmi di lei, dice Candido perchè son chiamato a Venezia per un affare che mi preme.

La sera, dopo cena, l’insinuante Perigordino raddoppiò le sue convenienze e le sue attenzioni. - Voi avete dunque, signore, una cosa di premura a Venezia. - Sì

signor abbate, dice Candido, bisogna assolutamente che io vada a trovar

madamigella Cunegonda.

E qui impegnato dal piacere di ciò che amava, contò secondo il suo uso una parte

de’ casi suoi con quella illustre wesfaliana.

- Io credo, disse l’abate, che Cunegonda, abbia molto spirito, e che ella scriva delle lettere graziose. - Io non ne ho mai ricevute, disse Candido, perchè figuratevi che, essendo stato scacciato dal castello per amor di lei, io non potei scriverle: che immediatamente dopo, seppi che ella era morta: che in seguito la ritrovai e la perdei, e che le ho inviato un espresso lontan di qui duemila e cinquecento leghe, e ne aspetto la risposta.

L’abate ascoltava attentamente, e pareva un poco pensieroso; ei si licenziò finalmente dai forastieri dopo averli teneramente abbracciati; il giorno appresso riceve Candido, all’alzarsi dal letto, una lettera concepita in questi termini:

“Signore; amante mio carissimo, sono otto, giorni che sono ammalata in questa città; so che voi vi siete; volerei nelle vostre braccia, se io potessi muovermi: ho

saputo il vostro passaggio a Bordeaux; io vi ho lasciato il fedele Cacambo, e la vecchia, che devono ben tosto seguirmi. Il governatore di Buenos-Aires ha preso

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