di Candido con stupore e continuò il suo cammino.
I viaggiatori non lasciarono di raccorre l’oro, i rubini e gli smeraldi. - Dove siamo noi? grida Candido: bisogna che i figli del re di questo paese sieno bene educati,
perché s’insegna loro a sprezzar l’oro e le gemme.
Cacambo n’era meravigliato al par di Candido. Si avvicinarono in fine alla prima casa del villaggio, la quale era fabbricata come un palazzo europeo; una folla di
popolo si affrettava verso la porta, e più ancora al di dentro; si faceva sentire una musica graziosissima e un odor delizioso di cucina. Cacambo s’appressò alla porta, e sentì che si parlava peruviano; era questo il suo linguaggio materno, poiché ognun sa che Cacambo era nato al Tucuman, in un villaggio ove non si conosceva che questa lingua. - Io vi servirò d’interprete, disse a Candido; entriamo, qui v’è un’osteria.
Immediatamente due giovani e due ragazze dell’osteria, vestite di drappi d’oro e
guarnite i capelli di nastri, li invitano a porsi a tavola. Furon serviti di quattro minestre guarnite ciascuna di due pappagalli, d’un lesso che pesava duecento libbre, di due scimmie arrostite, d’un gusto eccellente, di trecento colibrì in un piatto, e di seicento uccelli mosca in un altro, di ragù squisiti, e di paste deliziose, il tutto in certi piatti d’una specie come di cristallo di rocca, e i giovani e le ragazze versavan loro più liquori estratti da canne da zucchero.
I convitati erano per la maggior parte mercanti e vetturini, tutti d’una somma civiltà; questi fecero alcune domande a Cacambo col più circospetto riguardo, e risposero alle sue con una maniera più che propria a soddisfarlo.
Terminato il pasto, Cacambo e Candido crederono di ben pagare la loro parte col
gettare sulla tavola dell’oste due di que’ grossi pezzi d’oro che avean raccolti; l’oste e l’ostessa diedero in uno scoppio di risa e si tennero per lungo tempo le coste; finalmente rimessosi: - Signori, disse l’oste, vediamo bene che siete forestieri; noi non siamo soliti a vederne; scusateci perciò se ci siamo messi a ridere quando ci avete offerto i ciottoli delle nostre strade; voi, senza dubbio, non avete moneta del paese, ma non è necessario d’averne per desinar qui: tutte le osterie erette per il comodo del commercio son pagate dal governo: avrete avuto
un cattivo trattamento, perchè questo è un povero. villaggio; ma, altrove sarete ricevuti come meritate d’esserlo.
Cacambo spiegò a Candido tutto il discorso dell’oste, e Candido l’ascoltò con la stessa ammirazione, e con lo stesso stupore che ne aveva risentito il suo amico
Cacambo. “Che paese dunque è questo, diceva l’uno all’altro, incognito a tutto il
resto della terra; e dove la natura è sì diversa dalla nostra? Questo,
probabilmente, è il paese dove tutto va bene, giacchè bisogna assolutamente che
uno ve ne sia di questa specie: dica quel che vuole il maestro Pangloss, io mi sono spesso avveduto che tutto andava molto male in Wesfalia.”
CAPITOLO XVIII (torna all’indice)
Ciò che videro nel paese d’Eldorado.
Cacambo testificò al suo oste tutta la sua curiosità; l’oste gli disse: - Io sono molto ignorante, e me ne trovo bene; ma qui abbiamo un vecchio ritiratosi dalla Corte;
che è il più sapiente uomo del regno, e il più comunicativo.
Egli condusse Cacambo dal vecchio; Candido allora che non faceva altra figura che di secondo personaggio, seguiva il suo servo. Entrarono essi in una casa molto semplice, poichè la porta non era che di argento, e le soffitte degli appartamenti non erano che d’oro, ma lavorate con gusto tale, che le più ricche soffitte non le oscuravano; l’anticamera non era invero incrostata che di rubini e di smeraldi, ma l’ordine, nel quale tutt’era disposto, correggeva bene quella somma
semplicità.
Il vecchio ricevè i due forastieri sopra un sofà spiumacciato di penne di colibrì, fece lor presentare de’ liquori in vasi di diamanti, e appagò poi la lor curiosità in questi termini:
- Io sono nell’età di settantadue anni, e ho saputo dal fu mio padre, scudiere del
re, le stupende rivoluzioni del Perù, delle quali egli fu testimone. Il regno ove noi siamo è l’antica patria degli Incas che ne uscirono imprudentemente per andare a
soggiogare una parte del mondo, e che furono finalmente distrutti dagli Spagnuoli.
I principi della lor famiglia che restarono nel lor paese nativo furono più saggi; essi comandarono col consenso della nazione che nessuno abitante non uscisse dal nostro piccolo regno; ed ecco come ci siamo conservati nella nostra innocenza, e
nella nostra felicità. Gli Spagnuoli hanno avuta una conoscenza confusa di questo
paese; essi l’hanno chiamato l’ Eldorado, ed un inglese nominato il cavalier Raleigh ci si avvicinò circa a cent’anni sono; ma siccome noi siamo circondati da
scogliere inaccessibili e da precipizj, perciò siamo sempre stati fino al presente al sicuro dalla rapacità delle nazioni d’Europa; che hanno un’avidità incomprensibile
per i sassi e per il fango della nostra terra, e che per averne, ci ucciderebbero tutti dal primo all’ultimo.
La conversazione fu lunga, o andò a cadere sulla forma di governo, su’ costumi,
sulle femmine, su i pubblici spettacoli e sulle arti. Candido infine, che avea sempre piacere alla metafisica, fece dimandare da Cacambo se nel paese vi era
una religione.
Il vecchio arrossì un poco - Come dunque, diss’egli, potete voi dubitarne? ci prendete forse per ingrati?
Cacambo gli dimandò umilmente qual era la religione d’Eldorado. Il vecchio
arrossì ancora. - Che forse possono esservi due religioni? diss’egli: noi abbiamo
la religione, cred’io, di tutto il mondo: noi adoriamo Iddio dalla sera alla mattina. -
Non adorate voi che un solo Iddio? disse Cacambo, che serviva sempre
d’interprete a’ dubbi di Candido - Apparentemente, disse il vecchio non ve ne sono nè due, nè tre, nè quattro: io vi confesso che mi pare che le genti del vostro