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tutto, ma mi resta il vostro cuore. La vostra presenza o mi renderà la vita, o mi farà morir di piacere.”

Questa graziosa lettera, questa lettera inaspettata trasportò Candido in una gioja

inesprimibile, e la malattia della sua cara Cunegonda lo oppresse di dolore; diviso

così fra un sentimento e l’altro, ei prende il suo oro, e i suoi diamanti, e si fa condurre con Martino all’albergo ove dimorava Cunegonda. Ivi entra tutto

tremante, tutto agitato; gli palpita il cuore, singhiozza, vuole aprire le cortine del letto, vuol far portare il lume. - Avvertite di non farlo, gli dice la servente: il lume l’ammazza, e immantinente ella serra la cortina - Mia cara Cunegonda, dice Candido piangendo, come state? Se voi non potete vedermi, parlatemi almeno. -

Ella non può parlare, dice la servente.

La dama allora leva una mano pienotta, e Candido la bagna di lacrime; l’empie in seguito di diamanti, e lascia sulla sedia un sacco d’oro.

A mezzo i suoi trasporti giunge il bargello seguito dall’abate perigordino e da una

squadra. - Questi son dunque, dic’egli, que’ due forastieri sospetti?

Ei li fa tosto legare, e ordina ai suoi famigli di condurli in prigione. - Non si trattan così i forastieri nell’Eldorado, dice Candido. - Io son manicheo più che mai, dice

Martino. - Ma, signore, dove ci conducete? soggiunse Candido. - In un fondo di segreta, risponde il bargello.

Martino, riprendendo la sua mente fredda, giudicò che la dama che si pretendeva

Cunegonda fosse una furfante; un furfante il signor abate; che si era così presto

servito dell’innocenza di Candido, e un altro furfante il bargello, da cui si potessero facilmente sbrogliare.

Candido, piuttosto che esporsi alle procedure della giustizia, e d’altra parte impaziente di rivedere la vera Cunegonda, si attenne al consiglio di Martino, e offrì al bargello tre piccoli diamanti di circa tremila pezze l’uno. - Ah signore, gli disse l’uomo del baston d’avorio, quando aveste commessi tutti i delitti immaginabili, siete il più galantuomo del mondo: tre diamanti! Signore, io mi farei ammazzar per

voi, non che condurvi in carcere: tutti i forastieri si arrestano; ma lasciate fare a me: ho un fratello a Dieppe in Normandia, voglio condurvici, e se avete qualche diamante da dargli egli avrà cura di voi, come io stesso.

- E perchè si arrestano i forastieri? - Perchè, dice allora l’abate perigordino prendendo la parola, un birbante del paese d’Atrebazia ha sentito fare e tanto e bastato per fargli commettere un parricidio, non come quello del 1610 del mese di

maggio ma come quello del 1513 nel mese di dicembre, e come diversi altri commessi in altri anni, e in altri mesi da altri birbanti, che avevano inteso dello sottigliezze.

Il bargello spiegò allora di che si trattava. - Ah, mostri dell’umanità, gridava Candido; tali orrori fra un popolo che balla e che canta! non potrei io uscire al più presto di questo paese ove le scimmie attizzano le tigri? Io ho veduto degli orsi nel mio paese, e non ho veduto degli uomini che nell’Eldorado. In nome di Dio, signor bargello, menatemi a Venezia, ove devo attendere la mia Cunegonda. - Io

non posso menarvi che nella bassa Normandia, dice il bargello.

Immantinente gli fa levare i ferri, dicendo d’aver preso uno sbaglio; licenzia la sua gente, conduce a Dieppe Candido e Martino, e li lascia nelle mani di suo fratello.

V’era piccolo vascello olandese alla rada; il normanno o coll’ajuto di tre altri diamanti diviene l’uomo più officioso del mondo, e imbarca Candido colla sua gente nel vascello, che facea vela per Portsmouth in Inghilterra. Non era questo il

cammino per Venezia, ma Candido credeva di liberarsi dall’inferno e facea conto

di riprendere la via per Venezia alla prima occasione.

CAPITOLO XXIII (torna all’indice)

Candido e Martino arrivano sulle coste d’Inghilterra e ciò che vi vedono.

- Ah Pangloss! Pangloss! ah Martino! Martino ah mia cara Cunegonda! che

mondo è questo? dice Candido sul vascello olandese. - Qualche cosa di ben pazzo e di ben abominevole, diceva Martino. - Voi conoscerete forse l’Inghilterra;

vi sono là dei pazzi come in Francia? - Là v’è un’altra specie di pazzia, dice Martino: voi sapete che queste due nazioni sono in guerra per alcune staja di terreno nevoso verso il Canada, e ch’essi spendono per questa bella guerra molto

più di quanto vale tutto il Canada; il dirvi precisamente se vi sian più pazzi in un

paese, o nell’altro, la mia debole cognizione non mel permette: solamente so che

in generale le genti che stiamo per vedere sono molto barbare.

Discorrendo così approdarono a Portsmouth; una moltitudine di popolo cuopriva la riva e attentamente osservava un omaccione che stava ginocchioni cogli occhi

bendati sul cassero d’una nave da guerra; quattro soldati impostati dirimpetto a lui

gli tirarono ciascuno una fucilata a tre palle nel cranio con la maggior placidezza

del mondo, e tutta l’assemblea se ne ritornò estremamente soddisfatta. - Che cosa è questa? dice Candido: qual demonio mai esercita per tutto il suo impero?

chi era quell’omaccione che han ammazzato in cerimonia?

E gli si risponde: Questo è un ammiraglio. - E perchè ammazzare

quest’ammiraglio? - Perchè, gli vien detto, non ha fatto ammazzare della gente abbastanza: ei diede una battaglia navale a un ammiraglio francese e si è saputo

che egli non era abbastanza vicino al nemico. - Ma l’ammiraglio francese, dice Candido, era egli egualmente lontano dall’altro? - Senza dubbio, gli si replica, ma

in questo paese è bene ammazzare di tempo in tempo un ammiraglio per

incoraggiare gli altri.

Candido restò sì stordito e sì commosso da ciò che vedeva e da ciò che udiva, che non volle neppure metter piede a terra, ma pattuì col padrone olandese (non

credendolo un ladro come quello di Surinam) per farsi condurre senza dilazione a

Venezia.

Il padrone olandese fu lesto in termine di due giorni; si costeggiò la Francia, si passò alle viste di Lisbona e Candido ivi raccapricciò: s’entrò nello stretto, indi nel Mediterraneo e infine si approdò a Venezia. - Sia lodato Iddio, disse Candido abbracciando Martino, qui rivedrò la bella Cunegonda; io conto su Cacambo

come su me stesso. Tutto è bene, tutto va bene, tutto va alla meglio che sia possibile.

CAPITOLO XXIV (torna all’indice)

Visita al signor Pococurante, nobile veneziano.

Tosto che ei fu a Venezia fece cercar Cacambo in tutte le osterie, in tutti i caffè, e non si trovò; ei mandava tutti i giorni a fare scoperta di tutti i vascelli, di tutte le barche; non si sentiva nulla di Cacambo. - Come, diceva egli a Martino, io ho avuto il tempo di passare da Surinam a Bordeaux, d’andare da Bordeaux a Parigi,

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