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Se Pangloss, diceva egli, non fosse morto, io combatterei il suo sistema

vittoriosamente. Dio mi guardi di divenir manicheo, la mia amante mi ha insegnato

a rispettare il velo impenetrabile sotto il quale la divinità cela la sua maniera di operare su di noi. L’uomo è quello che da sè stesso si è forse precipitato nell’abbisso delle miserie ove egli geme. I selvaggi che noi vedemmo, non

mangiano che i gesuiti, e non vivono male fra loro, ed i selvaggi che vivono sparsi

ad uno ad uno ne’ boschi, e non campano che di ghiande e d’erbe, son

certamente più felici ancora. Dalla società son nati i più gravi delitti. Vi sono uomini nella società che son costretti, per ragion di stato, a desiderare la morte degli uomini. Il naufragio d’un vascello, l’incendio d’una casa, la perdita d’una battaglia, inducono alla mestizia una parte della società, e spargono la gioja in un’altra. Tutto va molto male, mio caro Cacambo, e non v’è per il saggio altro partito da prendere che di tagliarsi la gola più delicatamente che sia possibile. -

Avete ragione, disse Cacambo; ma io scorgo un’osteria, voi dovete aver molta sete; andiamo, mio antico padrone, beviamo un poco, e continueremo dopo i

nostri trattenimenti filosofici.

Entrarono in quell’osteria; una truppa di contadini e di contadine ballavano in mezzo al cortile, al suono di alcuni cattivi strumenti; spirava il brio da tutti i volti,

ed era uno spettacolo degno del pennello di Vatteau. Tosto che apparve Candido, una ragazza lo prese per mano e lo invitò a ballare. - Mia bella signorina, rispose

Candido, quando si è perduta la sua amante, che si è ritrovata la moglie, e che si

è saputo che il gran Pangloss è morto, non si ha voglia niente affatto di far capriole; dall’altro canto, io devo ammazzarmi domani mattina, e voi vedete che un uomo che ha poche ore da vivere, non deve perderle a ballare.

Allora Cacambo s’appressò a Candido, e gli disse: - La passione della gloria fu sempre quella de’ gran filosofi. Catone in Utica s’ammazzò dopo aver ben

dormito: Socrate ingojò la cicuta dopo essersi famigliarmente trattenuto co’ suoi amici: più inglesi si sono abbruciati il cervello nell’uscir da pranzo; ma nessun grand’uomo, che io sappia, si è tagliata la gola dopo d’aver ben ballato; a voi, mio

caro padrone, questa gloria è riservata; fate a mio modo, danziamo a crepa pancia, e doman mattina ci ammazzeremo. - Non hai tu osservato, rispose

Candido, quella contadinella brunetta quanto è piacevole? - Ella ha un non so che

di seducente disse Cacambo. Mi ha stretto la mano, riprese il nostro filosofo.

Cospetto! s’io non avessi il cuor ripieno di Zenoide.

La brunetta interruppe Candido, e di nuovo lo invitò.

Il nostro eroe lasciossi andare, ed eccolo che balla colla miglior grazia del mondo.

Dopo d’aver ballato, ed abbracciato la bella contadinotta, si ritirò al suo posto, senza invitare a ballare la padrona di casa. Nacque a un tratto un mormorio, e tutti gli attori e spettatori pareano oltraggiati d’un disprezzo così visibile. Candido non conoscea il suo errore, e non era per conseguenza in istato di rimediarlo. Un

contadinaccio gli si accostò e gli diè un pugno sul naso. Cacambo rese a quel contadinaccio una pedata nel ventre, e in un istante si fracassano gli strumenti, donne e ragazze si arruffano i ciuffi; Candido e Cacambo si battono come due eroi, e sono finalmente obbligati a prender la fuga tutti lividi di colpi.

- Tutto per me è veleno, dicea Candido, dando braccio al suo amico Cacambo: io

ho sofferto molte disgrazie, ma non mi aspettavo mai di essere tartassato di busse, per aver ballato con una contadina che mi aveva invitato a ballare.

CAPITOLO XVI (torna all’indice)

Candido e Cacambo si ritirano in un ospedale. Incontro ch’essi fanno.

Cacambo e il suo antico padrone non ne potean più, e cominciavano a dare in quella specie di malattia dell’anima che n’estingue tutte le facoltà, cadeano nell’inquietudine e nella disperazione, quando videro un ospedale eretto pei viaggiatori. Cacambo propose d’entrarvi, e Candido lo seguì. S’ebbe per loro tutta

la cura che si ha in tali abitazioni, e furono trattati per l’amor di Dio, come si suol dire. In poco tempo furono guariti dalle loro ferite, ma vi guadagnarono la rogna.

Non v’era apparenza che quella malattia fosse affare d’un giorno, e questo pensiero empieva di lacrime gli occhi di Candido, che dicea grattandosi: - Tu non

hai voluto lasciarmi tagliare la gola, mio caro Cacambo; i tuoi cattivi consigli mi immergono di nuovo nell’obbrobrio e nella sciagura; e se io voglio ora tagliarmi la

gola, si dirà nel giornale di Trevoux: questo è un vile che si è ammazzato perchè

aveva la rogna: ecco a quel che tu mi esponi per un malinteso interesse che hai

voluto prendere alla mia sorte

I nostri mali non sono senza rimedio, rispose Cacambo, e se vorrete fare a mio modo, abbiamo a fissarci qui in qualità di fratelli; io so un poco di chirurgia, e vi prometto di mitigare e render sopportabile la nostra miserabile condizione. - Ah!

dice Candido, crepin tutti gli asini, e in specie gli asini cerusici, sì dannosi all’umanità. Io non comporterò mai che tu ti spacci per quel che non sei; questo

sarebbe un tradimento, le cui conseguenze mi spaventano. D’altra parte, se tu sapessi quanto è dura, dopo d’essere stato vicerè d’una bella provincia, dopo essersi veduto in istato di comprare de’ bei regni, dopo d’essere stato l’amante favorito di Zenoide il risolversi a servire in qualità di fratello in un ospedale….

- Lo so, riprese Cacambo, ma so ancora che è assai dura cosa il morir di fame;

riflettete di più, che il partito ch’io vi propongo, è forse l’unico che possiate prendere per isfuggire le ricerche del crudele Volhall, e sottrarvi ai castighi ch’ei vi prepara.

Mentre parlavano così passò un fratello e gli fecero alcune dimande; egli rispose in una maniera soddisfacente, e assicurò loro che i fratelli erano bene nutriti, e godevano d’una onesta libertà. Candido si decise; ei prese con Cacambo l’abito di

fratello che gli si accordò addirittura, e i nostri due miserabili si misero a servire altri miserabili.

- Un giorno che Cacambo distribuiva in giro poche cattive minestre, gli diè nell’occhio un vecchio, il cui viso era livido, le labbra coperte di schiuma, gli occhi mezzo stravolti, e sulle cui gote crespe e inaridite, appariva l’immagine della morte. - Pover’uomo, gli disse Candido, quanto vi compiango! voi dovete

orribilmente soffrire. - Io soffro molto, rispos’egli con una voce da sepoltura; si dice ch’io sono etico, polmoniaco e asmatico: se così è, io son ben malato, ma intanto tutto non va male, e questo e quello che mi consola. - Ah, esclama Candido, non v’è che il dottor Pangloss, che in uno stato così deplorevole, possa

sostenere la dottrina dell’ottimismo, quand’ogni altro non predicherebbe che il pess… - Non pronunziate quella detestabil parola, grida il pover’uomo; io sono quel Pangloss di cui voi parlate, disgraziato; lasciatemi morire in pace, tutto è bene, tutto è per lo meglio.

Lo sforzo ch’ei fece pronunziando queste parole, gli costò l’ultimo dente, ch’ei vomitò con una tremenda quantità di marcia. Spirò pochi momenti dopo.

Candido lo pianse, perchè aveva il cuor buono. Il suo funerale fu una sorgente di

riflessioni per il nostro filosofo; egli si ricordava sovente tutte le sue avventure.

Cunegonda era restata a Copenaghen, ed ei seppe che v’esercitava il mestiere di

lavandaja, colla maggior distinzione possibile. La passione di viaggiare l’abbandonò affatto. Il fedele Cacambo lo sosteneva co’ suoi consigli e colla sua

amicizia. Candido non mormorò contro la Provvidenza. - Io so che la felicità non è

il retaggio dell’uomo, diceva egli qualche volta: la felicità non risiede che nel buon paese d’Eldorado, ma è impossibile d’andarvi.

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