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compiangerli e di cercar con una viva premura la cagione che avevali ridotti in sì

compassionevole stato. - Questi che voi vedete son mio padre e mia madre, gli disse la giovinetta, sì; gli autori son questi degl’infelici miei giorni (continuò ella gettandosi precipitosamente fra le loro braccia). Fuggivano per evitare il rigore di

una ingiusta sentenza; io compagna della lor fuga, ero abbastanza contenta di divider con essi le loro sciagure, e di pensare che fra’ deserti, ove andavano ad

albergare, queste mie deboli mani avrebbero potuto procurar loro il necessario alimento. Ci siamo fermati qui per pigliare un poco di riposo; ho scoperto l’albero

che vedete, e il suo frutto mi ha tradita. Oh Dio, signore, io sono una creatura in

odio all’universo e a me stessa. S’armi il vostro braccio per vendicar la virtù offesa, per punire un parricidio. Ferite! Questo frutto… Io ne ho presentato a mio

padre e a mia madre, essi ne han mangiato con piacere, ed io mi applaudivo d’aver trovata la maniera di smorzar loro la sete che tormentavali; me infelice! La

morte avevo lor presentata: questo è veleno!

Raccapricciò Candido a questo racconto, se gli rizzarono i capelli sul capo, e un

sudor freddo gli scorse per tutto il corpo. S’ingegnò, per quanto permettevangli le

circostanze, di dare ajuto a quella sfortunata famiglia ; ma il veleno aveva già fatto

troppo progresso, e i più efficaci rimedj non avrebber potuto arrestarne il funestissimo effetto

- Cara figlia, unica nostra speranza, esclamarono i due infelici, perdona te stessa,

come noi ti perdoniamo. Un eccesso in te di tenerezza è quel che ci toglie la vita… Generoso straniero, degnatevi aver cura de’ suoi giorni, ella ha il cuor nobile e formato alla virtù; questo è un deposito, che lasciamo alla vostra mano,

infinitamente per noi più prezioso, che tutta la nostra passata fortuna… Cara Zenoide, ricevi i nostri ultimi baci; mescola le tue colle nostre lacrime. Oh cielo che deliziosi momenti son mai questi per noi! Tu ci hai aperta la porta della prigion tenebrosa in cui da quarant’anni languivamo. Tenera Zenoide, noi ti benediciamo.

Ah non possa tu mai scordarti di quelle lezioni che ti ha dettate la nostra prudenza, e possan queste preservarti da quell’abisso che vediamo aprirtisi sotto i

piedi!

Spirarono nel pronunziar queste ultime voci. Candido durò gran fatica a far ritornare in sè Zenoide. La luna avea illuminato la lacrimevole scena, e compariva

già il giorno senza che Zenoide, immersa in una cupa afflizione, avesse ancor ripreso l’uso de’ sensi. Appena ebb’ella aperto gli occhi, prega Candido di fare in

terra una fossa per riporvi i cadaveri, e vi lavorò anch’ella con un maraviglioso coraggio. Compito questo dovere, lasciò libero il corso al piantò. Il nostro filosofo la trascinò lontano da quel luogo fatale, e camminarono un pezzo senza tenere una strada fissa, finchè scopersero una capannaccia.

Due persone sul declive degli anni abitavano quel deserto; esse s’ingegnarono d’apprestar tutta l’aita, che la lor povertà offrir poteva, allo stato lacrimevole de lor prossimi. Questi due vecchi eran quali ci vengon dipinti Bauci e Filemone; da cinquant’anni gustavano le dolcezze dell’imeneo, senz’averne assaporato mai le amarezze; una sanità robusta, frutto della temperanza e della tranquillità dello spirito, semplici e dolci costumi, un fondo inesausto di schiettezza nel lor carattere; tutte le virtù che l’uomo non riconosce, che da sè stesso, formavano l’appannaggio accordato loro dal cielo. Erano essi la venerazione di tutti í vicini villaggi i cui abitanti immersi in una rusticità felice, avrebbero potuto passar per gente da bene, se fossero stati cattolici. Si facevano essi un dovere di non lasciar

mancar nulla ad Agatone e Suname (tale era il nome de’ due vecchi sposi) e la loro carità si stendeva a nuovi ospiti.- Oh mio caro Pangloss, diceva Candido, che

peccato che voi siate stato bruciato! Avevate ben ragione; ma non è in alcuna parte dell’Europa o dell’Asia che tutte le cose van bene; è solo nell’Eldorado, dove

non è possibile d’andare, e in una capannuccia situata nel luogo più freddo, più arido, più spaventevole della terra. Quanto piacere avrei a sentirvi qui ragionare dell’armonia prestabilita e delle monadi! Oh quanto volentieri passerei io i miei giorni fra questi luterani dabbene, sennonchè mi converrebbe rinunziare al

privilegio d’andare alla messa, e riserbarmi ad esser lacerato nel Giornale cristiano.

Candido aveva un gran desiderio di saper le avventure di Zenoide; ma non le

richiedeva per discretezza, ed ella che se ne accorse soddisfece alla di lui impazienza, parlando in tal guisa.

CAPITOLO XI (torna all’indice)

Istoria di Zenoide. Come qualmente Candido se ne innamorò e quel che ne

seguì.

“Io nasco da una delle più antiche case della Danimarca. Uno de’ miei antenati perì in quel convito in cui il perfido Cristierno apprestò la morte a tanti senatori. Le ricchezze e le dignità accumulate nella mia famiglia non han prodotto finora che

illustri sventurati. Mio padre osò dispiacere a un uomo potente, dicendogli la verità; gli si suscitarono contro degli accusatori che lo infamarono di mille immaginari delitti; i giudici furono ingannati. Ah quali giudici posson mai evitare le trappole, che la calunnia tende all’innocenza? Mio padre fu condannato ad esser

decapitato sopra un patibolo. La fuga sola potendolo liberar dal supplizio, si rifugiò da un amico, che credeva degno di sì bel nome. Stemmo qualche tempo nascosti

in un castello ch’ei possiede sulla, riva del mare, e vi saremmo ancora, se il crudele, abusando dello stato deplorabile in cui eravamo, non avesse voluto vendere i suoi servigi a un prezzo che ce li fece detestare. Aveva l’infame concepita una sregolata passione per mia madre e per me; tentò la nostra virtù coi mezzi più indegni d’un galantuomo, e noi ci vedemmo costretti ad esporci ai più spaventevoli pericoli, per evitar gli effetti della sua brutalità. Prendemmo la fuga una seconda volta, e voi sapete il resto.”

Nel finir questo racconto Zenoide pianse nuovamente. Candido asciugò le sue lacrime, e disse per consolarla - Tutto è per lo meglio, signorina; poiché se il vostro signor padre non moriva avvelenato, ei sarebbe stato infallibilmente

scoperto; e gli avrebbero tagliata la testa: la vostra signora madre ne sarebbe certamente morta di dolore, e noi non saremmo in questa capanna, ove le cose van molto meglio, che ne’ più be’ castelli possibili. - Ah! signore, rispose Zenoide, mio padre non ha detto mai che tutto fosse per lo meglio. Noi apparteniamo tutti a

Dio che ci ama, ma che non ha voluto. allontanar da noi le cure divoratrici, le malattie crudeli, i mali innumerabili che affliggon l’umanità: nasce il veleno in America accanto alla chinachina: il più felice mortale ha’ sparso delle lacrime: dal

mescuglio dei piaceri e delle pene risulta quel che si chiama vita, cioè un tratto di tempo determinato, sempre troppo lungo agli occhi del saggio, che deve

impiegarsi a fare il bene della società, nella quale ei si trova per godere le opere

dell’Onnipotente, senza ricercarne follemente le cagioni: a regolare la sua

condotta sul testimone di sua coscienza, ed a rispettare in ispecie la sua religione.

O felice chi può seguirla! Ecco quel che spesso diceami il mio rispettabile padre.

Venga il malanno, aggiungeva egli, a quegli scrittori temerari che cercano di

penetrare nei secreti dell’Onnipotente. Su questo principio, che Dio vuol essere rispettato dalle migliaia di atomi a’ quali ha dato l’essere, hanno gli uomini unito chimere ridicole a verità rispettabili. Il dervis dai turchi, il bramino in Persia, il bonzo in China, il talapuino nell’Indie, rendon tutti un differente culto alla divinità, ma essi godono la quiete dell’anima nelle tenebre ove sono immersi; e chi volesse dissiparle, renderebbe loro un cattivo uffizio. Non è un voler bene agli uomini, il sottrarli dall’impero del pregiudizio.

- Voi parlate come un filosofo, disse Candido: vorrei sapere, mia bella signorina,

di qual religione siate. - Io sono stata allevata nel luteranismo, rispose Zenoide: questa è la religione del mio paese. - Tutto ciò che avete detto, riprese Candido, è

un tratto dl luce che mi ha colpito: io provo per voi un mondo di stima e di ammirazione… Come può darsi che regni tanto spirito in sì bel corpo? In verità.

signorina, io vi stimo e vi ammiro a un segno…. Candido borbottava ancor

qualche parola, e Zenoide avvedendosi della sua agitazione, lo lasciò. Ella evitò

da quell’istante in poi di trovarsi sola con lui, e Candido cercò di trovarsi solo con lei, o d’esser solo affatto. Egli era immerso in una melanconia, che aveva per lui

Are sens