nel suo commercio. S’imbarcarono, ed il vento fu loro sì favorevole, che non impiegarono la metà del tempo che si mette ordinariamente per fare un simil tratto; non ebbero neppur bisogno di comprare del vento dai maghi della
Lapponia, e si contentarono di dar loro de’ rinfreschi, purchè non fosse loro turbata la buona fortuna con gli incantesimi, come accade qualche volta, se si deve credere al Dizionario di Moreri.
Sbarcato che fu, l’armeno fece la sua provvisione di grasso di balena, e incaricò il
nostro fllosofo di andar per il paese a comprargli del pesce secco. Egli adempì alla sua commissione al meglio che gli fu possibile; se ne tornava con molte ceste
cariche di quella mercanzia, e rifletteva profondamente sulla differenza
maravigliosa che passa fra i Lapponi, e gli altri uomini, quando una piccola lappona, che aveva il capo un po’ piu grosso del corpo, gli occhi rossi e pieni di
fuoco, il naso largo, e la bocca della maggior grandezza posslbile, gli diede il buon giorno con mille smorfie. - Mio signorino, gli disse quell’essere alto un piede
e dieci dita, io vi trovo vezzoso, fatemi la grazia d’amarmi un poco.
Così dicendo la lappona gli salta al collo; Candido la respinge con orrore; ella grida, e viene suo marito accompagnato da più lapponi. - Cos’è questo baccano?
dissero eglino. - Egli è, disse il piccolo essere, che questo forastiero…. ah, mi soffoca il dolore nel dirlo! egli mi disprezza. - Che sento? disse il marito lappone: incivile, disonesto, brutale, infame, furfante, tu copri d’obbrobrio la mia casa: tu mi fai l’ingiuria più grave; tu ricusi di dormir, com’è l’usanza del paese, con mia moglie! - Eccone un’altra! dice il nostro eroe; che avreste voi dunque detto se io
avessi dormito con lei? - Io ti avrei desiderato ogni sorta di prosperità, risponde il lappone in collera, ma tu non meriti che la mia indignazione. Così dicendo scaricò
sul dorso di Candido un fracco di bastonate. Le ceste furono sequestrate dai parenti della sposa offesa, e Candido, temendo di peggio, si vide costretto a fuggirsene, e rinunziare per sempre al suo buon padrone, perchè come poteva ardire di presentarsi a lui senza danaro, senza grasso di balena e senza ceste?
CAPITOLO X (torna all’indice)
Candido continua i suoi viaggi. Nuove avventure
Camminò Candido lungo tempo senza saper dove dirigersi; prese finalmente la risoluzione di portarsi in Danimarca; dove avea inteso dire che le cose andavano
molto bene. Si trovava ancora qualche po’ di denaro regalatogli dall’armeno, e con questo modesto peculio lusingavasi di finire il viaggio. La speranza gli rese sopportabile la miseria, ed egli passò qualche momento tranquillo. Capitò un
giorno in un’osteria con tre viaggiatori; che gli parlavano con calore del pieno e della materia sottile. - Benissimo, dicea fra sè Candido; questi son filosofi. -
Signori, diss’egli loro, il pieno è incontrastabile: non v’è vuoto nella natura, e la materia sottile è benissimo immaginata. - Voi siete dunque cartesiano, dicono i viaggiatori. - Senza dubbio, risponde Candido, e, quel ch’è più, seguace di Leibnitz. - Tanto peggio per voi, soggiungono i viaggiatori; Cartesio o Leibnitz non
avevano senso comune. Noi altri siamo neuttoniani, e ce ne gloriamo, e se si disputa, è solamente per affondarci ne’ nostri sentimenti, e siamo tutti d’un istesso parere. Cerchiamo la verità sulle tracce di Newton, perchè siamo persuasi che Newton è un grand’uomo. - Anco Cartesio, anco Leibnitz, anco Pangloss, disse Candido, son grandi uomini, che non cedono a un altro. - Voi siete un
bell’impertinente, amico caro, replicarono i filosofi; conoscete voi tutte le leggi della refrangibilità dell’ attrazione? del moto? Avete voi letto le verità che il dottor Clark dà in risposta a’ sogni del vostro Leibnitz? Sapete voi che cosa sia la forza centrifuga, e la forza centripeta? Sapete voi che i colori dipendono dalle grossezze? Avete voi qualche idea della luce e della gravitazione? Conoscete voi
il periodo di venticinquemila novecentoventi anni, che per disgrazia non s’accorda
colla cronologia? No, senza dubbio. Voi non avete delle cose che un’idea falsa.
Chetatevi dunque, monade miserabile, e guardatevi d’insultare i giganti con
paragonarli a pigmei. - Signori, rispose Candido, se Pangloss fosse qui vi direbbe
di gran belle cose, giacchè egli è un gran filosofo. Egli ha un sommo disprezzo pel
vostro Newton e come suo discepolo, non ne ho nemmen io troppo caso.
I filosofi, inveleniti di rabbia, se gli gettarono addosso, e il povero Candido fu battuto veramente alla filosofica.
La loro collera s’ammansì, chiesero perdono a Candido di quella vivacità, e quindi
un di loro prese a parlare, e fece un bellissimo discorso sulla dolcezza e la moderazione.
Nel mentre che stavan parlando, ecco si vede passare un magnifico funerale, che
diede occasione a’ nostri filosofi di ragionare sulla ridicola vanità de’ mortali. - Non sarebb’egli più ragionevole, disse un di loro, che i parenti e gli amici del morto portassero da sè la bara funebre, senza pompa e senza susurro? Questa trista incombenza con rappresentar loro l’idea della morte, non produrrebb’ella in loro il
più salutare effetto, e il più filosofico? Questa riflessione che verrebbe da sé: Il corpo che io porto è quello del mio amico, è quello del mio parente. Egli ha finito d’essere, e così devo far io nè più nè meno, non sarebb’ella capace di risparmiar molti delitti a questo globo sciagurato, e di ricondurre sulla buona strada quegli esseri che credono nell’immortalità dell’anima? Purtroppo gli uomini son portati a
sbandir da sè; il pensiero della morte, perchè sia a temersi di presentarne loro delle immagini troppo vive. Perchè allontanare da questo spettacolo una madre e
una sposa piangente? Le voci lamentevoli della natura, lo acute strida della disperazione, onorerebbero molto più le ceneri di un defunto, che tutti questi individui abbrunati da capo a’ piedi, questa ciurma di ministri, che salmeggiano allegramente delle preci che non intendono.
- Benissimo detto! rispose Candido. Se voi parlaste sempre così, senza che vi venisse il ticchio di picchiar la gente, voi sareste un gran filosofo.
I nostri viaggiatori si separarono profondendosi in attestazioni dl confidenza e d’amicizia. Candido, pigliando la strada di Danimarca, entrò dentro a un bosco, e
rimuginando fra sè tutte le sciagure occorsegli nel miglior de’ mondi possibili, escì di strada e si smarrì. Il giorno cominciava a calare quando s’accorse dello sbaglio:
si perdè di coraggio, ed alzando tristamente gli occhi al cielo appoggiato ad un tronco d’albero il nostro eroe parlò in questi termini: - Io ho scorso mezzo mondo;
ho veduto trionfar la calunnia e la frode; non ho cercato che di far bene al prossimo, e ne sono stato perseguitato: un gran re mi onora del suo favore, e mi
fa dare cinquanta nerbate solenni; arrivo con una gamba di legno in una
bellissima provincia, a vi gusto i piaceri, dopo essermi abbeverato di fiele e d’amarezza; arriva un abate, io me ne fo il protettore; egli s’insinua alla corte, ed eccomi costretto a baciargli i piedi… Incontro il mio povero Pangloss, ma solo per
vederlo bruciare… Mi trovo con de’ filosofi, la più dolce e più sociabile specie animale dell’universo, e mi picchiano senza misericordia. Bisogna che tutto vada
bene, giacchè Pangloss l’ha detto, ma non per questo non son io il più sciagurato
di tutti gli esseri possibili.
Interruppe Candido il suo parlare per porgere l’orecchio a delle altissime strida che sembravano escir da un luogo vicino. S’avanza per curiosità e se gli presenta
allo sguardo una giovine che si strappava i capelli con tutti i segni della più fiera disperazione. - Chiunque voi siete, gli diss’ella, se avete cuore in petto, seguitemi!
S’accompagnano, e avean fatto appena pochi passi che Candido vede stesi
sull’erba un uomo e una donna. Dalla loro fisonomia traspariva la nobiltà del loro
animo e della lor nascita, e le loro sembianze, benchè contraffatte dal dolore che
provavano, avevano tanta nobiltà, che Candido non potè fare a meno di