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facilitò i mezzi; fece di più; gl’insinuò che potrebbe essere ammesso al numero de’

domestici di Volhall, s’ei non avesse altro modo che il servizio per tirare avanti.

Candido gradì quelle offerte, e tosto che fu giunto, il suo futuro camerata lo presentò come un suo parente, per cui egli stava garante. - Birbante, gli disse Volhall, voglio accordarti l’onore di stare appresso a un pari mio. Non ti scordar mai del profondo rispetto che devi alle mie volontà: previenile, se hai sufficiente istinto per questo: considera che un pari mio si avvilisce parlando ad un uomo come te.

Il nostro filosofo rispose con tutta la sommissione a quel discorso impertinente, e

da quello stesso giorno fu rivestito della livrea del suo padrone.

È da immaginarsi facilmente quanto fu stupita e contenta Zenoide, riconoscendo il

suo amante fra i servitori dello zio; ella fece nascere le occasioni di trovarsi: Candido ne profittò; si giurarono una costanza inviolabile. Avea Zenoide qualche

momento di cattivo umore; ella si rimproverava qualche volta il suo amore per Candido; lo affliggea co’ suoi capricci, ma Candido l’idolatrava; ei sapea che la perfezione non è propria dell’uomo, e molto meno della donna. Zenoide

riprendeva il suo buon umore nelle di lui braccia.

CAPITOLO XIV (torna all’indice)

Come Candido ritrovò la moglie e perdè l’amante.

Non aveva il nostro eroe a soffrire altro che le alterigie del suo padrone, e ciò non era un comprar troppa caro l’affetto della dolce amante. L’amor soddisfatto non si

cela così facilmente, come suol dirsi: i nostri amanti si tradirono da loro stessi: il loro accordo non fu più un mistero, se non agli occhi poco penetranti di Volhall, tutti i domestici lo sapevano; Candido ne ricevea de’ mirallegro che lo facevan tremare; aspettava egli la tempesta vicina a cader sopra di lui; e non si sarebbe

mai pensato che una persona che gli era stata cara, fosse sul punto d’affrettare la

sua disgrazia. Erano alcuni giorni che aveva scorto un volto che si assomigliava a

quello di Cunegonda e l’aveva ritrovato ancora alla corte di Volhall; questa tal persona era malissimo vestita e non vi era apparenza che una favorita d’un gran

maomettano si trovasse nel cortile d’un palazzo a Copenaghen. Intanto

quell’oggetto disaggradevole osservava Candido con moltissima attenzione:

quell’oggetto s’avvicinò tutt’a un tratto, e acciuffando Candido per i capelli gli

diede il più sonoro schiaffo ch’egli avesse mai ricevuto. - Io non m’inganno, grida il nostro filosofo: oh cielo! chi l’avrebbe mai creduto? che cosa venite a far qui dopo d’esservi lasciata sedurre da un settatrio di Maometto? Andate, perfida sposa, io non vi conosco. - Tu conoscerai i miei furori, replicò Cunegonda: io so la

vita che tu meni, il tuo amore per la nipote del tuo padrone, e il tuo disprezzo per

me. Ahimè! son tre mesi che ho lasciato il serraglio, perchè non ero più buona a

niente; comprommi un mercante per ricucir la sua biancheria, e mi condusse con

lui in un viaggio che fece per queste coste. Martino e Cacambo ch’egli avea pur

comprati erano nello stesso viaggio: il dottor Pangloss, per il caso più strano del

mondo, trovossi nello stesso vascello in qualità di passeggiere. Naufragammo qualche miglio lontano di qui; io scampai dal periglio col fedele Cacambo: qui ti rivedo e ti rivedo infedele. Tremane, e temi quanto si può temere una donna irritata!

Era Candido tutto stupefatto da quella affettuosa scena e lasciava andar

Cunegonda, senza pensare a quanto dobbiamo riguardarci da chi conosce il

nostro segreto, quando gli si fece innanzi Cacambo. Si abbracciarono

teneramente; Candido ascoltò quanto egli veniva a dirgli, e molto si afflisse della

perdita del gran Pangloss, che dopo d’essere stato impiccato e abbruciato, s’era

annegato miseramente. Essi parlavano con quella tenerezza di cuore che ispira l’amicizia, quando un bigliettino che Zenoide gettò dalla finestra mise fine alla conversazione. Candido l’aprì e vi trovò queste parole:

“Fuggi, mio caro bene; tutto è scoperto. Una inclinazione innocente che la natura

autorizza, e che non ferisce in niente la società, è un delitto agli occhi degli uomini creduli e crudeli. Volhall esce dalla mia camera ove mi ha trattata con l’estrema inumanità. Egli va ad ottenere un ordine, per farti perire in un carcere. Fuggi, o troppo caro amante! poni in sicurezza quei giorni che non puoi più passare presso

me. Ecco il fine di quei tempi felici, in cui la nostra reciproca tenerezza… Ah misera Zenoide, che hai tu fatto al cielo, per meritare un trattamento sì rigoroso?

Io mi perdo: ricordati sempre della tua cara Zenoide. Caro bene, tu vivrai eternamente nel mio cuore: no, tu non hai compreso mai quanto io t’amassi…

Possa tu ricevere, sulle mie labbra ardenti, il mio ultimo addio, e l’ultimo mio sospiro! Io mi sento vicina a raggiungere il padre infelice: la luce del giorno ora mi è in orrore; essa non illumina che misfatti.”

Cacambo, sempre saggio e prudente, trascinò Candido che era fuor di sè, ed escirono dalla città per la più corta. Candido non apriva bocca, ed erano già lontani da Copenaghen, ch’egli non era ancor uscito da quella specie di letargo in

cui era sepolto. Finalmente volse un guardo al fedele Cacambo, e parlò in questi

termini:

CAPITOLO XV (torna all’indice)

Come Candido volesse ammazzarsi, e non ne facesse niente. Ciò che gliaccadde in un’osteria.

- Caro Cacambo, un tempo mio servo, ora mio uguale, e sempre mio amico, tu hai meco divise alcune delle tue disgrazie, tu mi hai dato consigli giovevoli, tu hai veduto il mio amore per Cunegonda… - Ah, mio antico padrone, disse Cacambo,

fu lei che vi ha fatto il tiro più indegno e lei che dopo aver saputo dai vostri compagni, che voi amavate Zenoide e ch’ella amava voi, ha tutto rivelato al barbaro Volhall. - Se così è, disse Candido, non mi resta che morire.

Trasse il nostro filosofo dalla sua tasca un coltellino, e si mise ad arrotarlo, con una calma degna d’un antico romano o d’un inglese. - Che pretendete di fare?

chiese Cacambo. - Tagliarmi la gola, rispose Candido. - Buonissimo pensiere, replicò Cacambo; ma il saggio non deve decidersi che dopo le più mature

riflessioni: starà sempre a voi l’ammazzarvi, se la voglia non vi passa. Fate a mio

modo, mio caro padrone, rimettete la partita a domani; più differite, e più l’azione

sarà coraggiosa. - Mi piacciono le tue ragioni disse Candido: tanto se io mi tagliavo la gola addirittura, il gazzettiere di Trevoux insulterebbe ora alla mia memoria: basta così, io non mi ammazzerò che fra due o tre giorni.

Così discorrendo arrivarono a Elseneur, città considerevole, poco lontana da Copenaghen. Essi vi dormirono, e Cacambo fu contento del buon effetto che il sonno avea prodotto in Candido. Uscirono allo spuntar del giorno dalla città, e Candido sempre filosofo, perchè i pregiudizi dell’infanzia non si cancellan mai, tratteneva il suo amico Cacambo sul bene e sul mal fisico, su’ discorsi della saggia Zenoide, sulle lucenti verità che aveva ricavate nella sua conversazione. -

Are sens