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abate perigordino. - Son io, risponde l’abate di Perigord.

Candido allora fa tre passi indietro, e dice in tono commovente - Come siete felice, signor abate? - Bella domanda, risponde il perigordino: la piccola

soperchieria che io vi feci non ha poco contribuito a mettermi in credito. La politica m’ha tenuto impiegato per qualche tempo, ed essendomi disgustato con essa, ho

lasciato l’abito ecclesiastico che non m’era più buono a niente. Son passato in Inghilterra, dove le genti del mio mestiere son meglio pagate. Ho detto tutto ciò che io non sapevo del forte e del debole del paese che avevo abbandonato. Ho

assicurato, soprattutto, che il francese è la feccia de’ popoli, e che il buon senso

non risiede che a Londra; finalmente ho fatto un’illustre fortuna, e vengo a concludere un trattato alla corte di Persia, consistente in fare sterminare tutti gli europei, che vengono a cercare il cotone e la seta negli stati del sofì, con pregiudizio degli Inglesi. - L’oggetto della vostra commissione è lodabilissimo, dice il nostro filosofo, ma signor abate, voi siete un furfante; io non stimo punto i furfanti ed ho qualche credito alla corte: tremate, chè la vostra fortuna è giunta al suo termine: troverete la sorte che meritate. - Illustrissimo signor Candido, grida l’abate perigordino, gettandosegli ai piedi, abbiate pietà di me; io mi sono spinto al male con una forza irresistibile, come voi vi sentite portato alla virtù; presi quell’inclinazione fatale dall’istante che feci conoscenza col signor Valsp, e che lavorai ai foglietti. - Cosa sono questi foglietti? dicea Candido. - Sono, risponde il Perigordino, certi quinterni di settantadue pagine di stampa, ne’ quali si diverte il

pubblico sul tuono della calunnia, della satira e della materialità. Un galantuomo che sa leggere e scrivere, non avendo potuto esser gesuita, come ha cercato per

lungo tempo, si è messo a comporre quella bella operetta, per aver di che comperare de’ merletti a sua moglie, e allevare i suoi figli nel timor di Dio; e alcuni galantuomini per alcuni soldi, e alcuni boccali di vino di Brie, ajutano quel galantuomo a sostenere la sua impresa. Questo signor Valsp è di una

combriccola deliziosissima, dove si divertono a far rinnegare Dio alla gente, quando ha alzato un po’ il gomito, ovvero andare a mangiare alle spalle d’un povero diavolo, a fracassargli tutt’i mobili e a sfidarlo a duello da solo a solo; gentilezze che questi signori chiamano mistificazioni, e che meritano l’attenzione

della politica. Finalmente, questo gran galantuomo del signor Vasp, che dice di non essere stato in galera, è immerso in un letargo che lo rende insensibile alle

verità più austere; né si può distrarnelo che con certi mezzi violenti, ch’ei sopporta con una rassegnazione e un coraggio superiore ad ogni lode. Io ho lavorato qualche tempo sotto questa celebre penna, e a poco a poco sono divenuto una penna celebre anch’io. Avevo appena abbandonato il signor Valsp, per

industriarmi da me solo, quando ebbi l’onore di farvi una visita a Parigi. - Vi siete un bel birbante, signor abate, ma la vostra sincerità mi commuove. Andate alla corte, e cercate del reverendo Ed-Ivan-Baal-Denk; io gli scriverò in vostro favore,

a condizione però che mi promettiate di diventare galantuomo, e di non fare strangolare migliaja d’uomini per un po’ di seta e di cotone.

Il Perigordino promise tutto quel che volle Candido, ed ambedue si separarono da

buoni amici.

CAPITOLO VII (torna all’indice)

Disgrazie di Candido. Viaggi e avventure.

Il Perigordino appena arrivato alla corte impiegò tutta la sua disinvoltura per guadagnare il ministro, e per rovinare il suo benefattore. Egli sparse la voce che

Candido era un traditore, e che avea sparlato delle sacre basette del re de’ re.

Tutt’i cortigiani lo condannarono ad esser abbruciato a fuoco lento, ma il sofì più

indulgente, non lo condannò che ad un esilio perpetuo, ed a baciare prima le piante de’ piedi al suo accusatore, secondo l’uso de persiani. Il Perigordino partì

per far eseguire questa sentenza; egli trovò il nostro filosofo in buonissima salute

e disposto a ridiventar fortunato.

- Amico, gli disse l’ambasciator d’Inghilterra, io vengo con mio rincrescimento a farvi sapere che bisogna uscir quanto prima.da questo impero, e baciarmi i piedi,

con vero pentimento de’ vostri enormi delitti… - Baciarvi i piedi, signor abate! Che

diamine dite voi? Io non raccapezzo nulla di questa celia

Entrarono allora alcuni muti che aveano seguito il Perigordino, e lo scalzarono. Fu

fatto intendere a Candido che bisognava accomodarsi a quella umiliazione, o aspettarsi d’essere impalato. Candido, in virtù del suo libero arbitrio, baciò i piedi all’abate. Fu rivestito d’uno straccio di tela, e il boja lo scacciò dalla città gridando:

- Egli è traditore: ha sparlato delle basette del sofì: ha sparlato delle basette imperiali.

Che facea l’oficcioso cenobita mentre si trattava così il suo protetto? Non lo so. È

ben da credere ch’ei si fosse stancato di protegger Candido. Chí può contare sul

favore dei re, e sopratutto dei frati?

Intanto il nostro eroe camminava pieno di tristezza. - Io, diceva egli, non ho parlato giammai delle basette del re di Persia. Io cado in un momento dal colmo

della felicità, in un abisso di disgrazie, perchè un miserabile che ha violato tutte le leggi, m’accusa d’un preteso delitto, che io non ho mai commesso, e questo birbante, questo mostro persecutore della virtù… è felice.

Candido dopo qualche giorno di cammino si trovò sulle frontiere della Turchia. Ei

diresse i suoi passi verso la Propontide, col disegno di stabilirvisi, e di passare il resto de’ suoi giorni a coltivare il suo giardino. Vide, passando di un piccolo villaggio, una quantità di gente affollata tumultuariamente. Egli s’informo della causa e dell’effetto. - Questo è un accidente ben particolare, gli disse il vecchio. È

qualche tempo che il ricco Mehemet chiese in isposa la figlia del giannizzero Tamud; essa non era fanciulla, e secondo un principio ben naturale lo sposo, autorizzato dalle leggi, la rimandò a suo padre dopo d’averla sfregiata. Tamud, oltraggiato da un tale affronto, ne’ primi trasporti d’un furore ben naturale, con un colpo di scimitarra svelse dal busto della figlia quel volto disfigurato. Il suo figlio primogenito, saltò addosso al padre, e inviperito di rabbia gl’immerse

naturalmente un acutissimo pugnale nel petto; dipoi come un leone che s’ infuria a

vedersi grondar dl sangue, l’ arrabbiato Tamud corse da Mehemet, rovesciò alcuni

schiavi che s’opposero a’ suoi passi, e trucidò a pezzi Mehemet, le sue donne e

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