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due figli, il che è ben naturale nella situazione violenta in cui egli flnalmente si trovava. Egli poi finì per darsi la morte collo stesso pugnale fumante del sangue di

suo padre, e de’ suoi nemici, il che pure è ben naturale. - Oh quali orrori! grida Candido. Che direste voi, maestro Pangloss, se trovaste tali barbarie nella natura? Non confessereste voi che la natura è corrotta, che tutto non è… - No, disse il vecchio, perchè l’armonia prestabilita… - Oh cielo! non m’ingannate? È

Pangloss quel ch’io rivedo? dice Candido. - Son io, rispose il vecchio: vi ho riconosciuto, ma ho voluto penetrare nei vostri sentimenti prima di scoprirmi; qua:

discorriamo un poco sugli effetti contingenti, e vediamo se avete fatto de’

progressi nell’arte della sapienza… - Ah, dice Candido voi scegliete ben male il vostro tempo; fatemi piuttosto sapere quel ch’è avvenuto di Cunegonda e dov’è la

figlia dl papa Urbano. - Non ne so niente, risponde Pangloss; son due anni che ho

abbandonato la nostra abitazione, per venirvi a cercare. Ho scorso quasi tutta la

Turchia: mi son portato alla corte di Persia, ove avevo saputo che stavate in barba

di micio, e non ho abitato in questo borghetto fra questa buona gente, senonchè

per riposarmi, affine di continuare il mio viaggio. - Che vedo mai? dice Candido

molto stupito, vi manca un braccio, caro dottore. - Non è niente, disse il dottor guercio e monco; nulla di sì ordinario nel miglior de mondi, che il veder delle genti le quali non hanno che un occhio e un braccio solo. Quest’accidente mi è accaduto in un viaggio alla Mecca. La nostra carovana fu attaccata da una truppa

d’Arabi; la scorta volle far resistenza, e secondo i diritti della guerra gli Arabi che si trovarono più forti; ci trucidarono tutti spietatamente. Perirono circa cinquecento persone in questa mischia, fra le quali vi era una dozzina di donne incinte; per me, io non ebbi che il cranio offeso e un braccio tagliato; non ne morii, ed ho sempre trovato che tutto andava ottimamente. Ma voi, mio caro Candido, come va

che avete una gamba di legno?

Allora Candido cominciò a parlare, e raccontò le sue avventure. I nostri filosofi ritornarono insieme nella Propontide, e fecero piacevolmente il loro cammino, discorrendo del mal fisico, del mal morale, della libertà e della predestinazione, delle monadi e dell’armonia prestabilita.

CAPITOLO VIII (torna all’indice)

Arrivo dl Candido e di Pangloss alla Propontide; ciò che videro e ciò cheavvenne.

- O Candido, dicea Pangloss, perchè avete lasciato di coltivare il vostro giardino?

Non mangiavamo noi de’ cedrati canditi, e de’ pistacchi? Perchè vi siete annojato

della vostra felicità? Perchè tutto è necessario nel migliore de’ mondi; bisognava

che voi soffriste le nerbate in presenza del re di Persia, che aveste la gamba tagliata, per rendere felice il Chusistan, per provare l’ingratitudine degli uomini, e per attirar sul capo di qualche scellerato i castighi che aveva meritati.

Così discorrendo arrivarono al loro antico soggiorno. Il primo oggetto che si offrì a’

loro occhi fu Martino in abito da schiavo. - Qual metamorfosi è questa? disse Candido, dopo di averlo teneramente abbracciato. - Ah, rispose singhiozzando, voi non avete più casa; un altro si è incaricato di far coltivare il vostro giardino; ei mangia i vostri cedri canditi, i vostri pistacchi, e mi tratta da negro. - Chi è quest’altro? domandò Candido. - Egli è, disse Martino, il general di marina, l’uomo

il meno umano di tutti gli uomini. Il sultano volendo ricompensare i di lui servigi senza che gliene costasse cosa alcuna, ha confiscato tutti i vostri beni, sotto pretesto che voi siete passato fra i suoi nemici e ci ha condannati alla schiavitù.

Fate a mio modo, Candido, soggiunse, continuate il vostro viaggio: io ve l’ho sempre detto, tutto è per il peggio, la somma de’ mali eccede troppo la somma de’

beni: partite, e non dispero che diventiate manicheo, seppur già non lo siete.

Pangloss voleva cominciare un argomento in forma, ma Candido l’interruppe per

dimandargli nuove di Cunegonda, della vecchia e di Cacambo. - Cacambo,

rispose Martino, è qui; egli è occupato attualmente a ripulire una fogna, la vecchia è morta di una pedata che un eunuco le diè nel petto; Cunegonda è ingrassata e

ha ripreso la sua primiera bellezza: ella è nel serraglio del nostro padrone. - Qual

concatenamento di sventure! dice Candido, bisognava che Cunegonda tornasse

bella per farmi becco! - Importa poco, dice Pangloss, che Cunegonda sia bella o

brutta, e ch’ella sia vostra o di un altro; questo non ha che fare col sistema generale; per me, io le desidero una numerosa posterità. I filosofi non

s’imbarazzano di ciò. La popolazione… - Ah, dice Martino i filosofi dovrebbero piuttosto occuparsi a render felice qualche individuo, invece d’impegnarlo a moltiplicare la specie de’ sofferenti

Mentre discorrevano si sente un gran fracasso: era il general del mare che si divertiva a far bastonare una dozzina di schiavi. Pangloss e Candido spaventati si

separarono colle lagrime agli occhi dal loro amico, e presero in fretta il cammino

di Costantinopoli.

Essi vi trovarono tutta la gente in moto; erasi appiccato il fuoco nel sobborgo di Pera, e già cinque o seicento case erano incenerite, ed erano perite fra le fiamme

due o tremila persone. Qual orribil disastro! grida Candido. - Tutto è bene, dice Pangloss; questi piccoli accidenti accadono tutti gli anni, ed è ben naturale che s’appicchi il fuoco alle case di legno, e che quelli che vi si trovano restino abbruciati; del resto, questo procura lavoro a molti galantuomini che languiscono

nella miseria. - Che sento? dice un uffiziale dell’eccelsa Porta. Disgraziato, e puoi tu dire che tutto è bene, quando la metà di Costantinopoli è in fuoco e in fiamma?

Va, cane maledetto dal Profeta, va a ricevere il castigo della tua audacia.

Dicendo queste parole, prese Pangloss per la vita, e lo precipitò nelle flamme.

Candido, mezzo morto, si strascinò come potè in un quartier vicino, ove le cose eran più tranquille; e noi vedremo ciò che accadde nel capitolo seguente.

CAPITOLO IX (torna all’indice)

Candido continua a viaggiare, ed in qual qualità.

- Io non ho altro partito da prendere, diceva il nostro filosofo, che quello di farmi schiavo o turco; la fortuna mi ha abbandonato per sempre. Un turbante

corromperebbe tutt’i miei piaceri: io mi sento incapace di provare la tranquillita dell’anima in una religione piena di imposture, e nella quale non sarei entrato che

per un vile interesse. No, non sarei mai contento se io cessassi d’esser

galantuomo. Facciamoci dunque schiavo.

Presa questa risoluzione, si mise Candido in dovere di eseguirla. Egli scelse un mercante armeno per padrone. Era questi un uomo di buonissimo carattere, e che

passava per virtuoso quanto può esserlo un armeno. Egli diede dugento zecchini a Candido per prezzo della sua libertà. L’armeno era sul punto di partire per la Norvegia, e con sè condusse Candido, sperando che un filosofo gli sarebbe utile

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