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Non posso fare a meno dal crederci, Dora. È un pensiero dal quale non posso liberarmi e che mi tormenta molto.

Ecco, cara, questo è tutto. Su, ora; non far la sciocca.

Per parecchio tempo, Dora non volle permettermi di al-lontanarle il fazzoletto dal viso. Continuò a singhiozzare, mormorando dietro il sottile tessuto, che se mi sentivo tormentato, perché m’ero ammogliato? Perché non avevo detto, anche alla vigilia d’andare in chiesa, che mi sarei sentito tormentato, e che era bene non andarci?

Se non potevo sopportarla, perché non la rimandavo dalle sue zie a Putney, o presso Giulia Mills nelle Indie?

Giulia sarebbe stata lieta di rivederla, e non l’avrebbe 1235

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paragonata a un servitore deportato. Giulia non le aveva mai detto nulla di simile. Insomma, Dora si mostrò così angosciata, e angosciò tanto me in quello stato, che compresi ch’era inutile ripetere quel tentativo, per quanta dolcezza potessi impiegarvi, e che dovevo ricorrere a qualche altro metodo.

A quale altro metodo si poteva ricorrere?

«Formarle lo spirito?» Era una frase che sonava e prometteva bene, e risolsi di formare lo spirito di Dora.

Cominciai immediatamente. Quando vedevo Dora comportarsi da bambina, e avrei avuto una voglia matta di secondarla, tentavo d’esser serio – e finivo con lo scon-certare lei e me. Le parlavo dei soggetti che m’occupa-vano la mente; e le lessi Shakespeare... e la stancai fino all’ultimo grado. Mi avvezzai a darle, così come per caso, frammenti di utili nozioni o di salda dottrina – e non appena avevo finito, ella se n’andava come se le avessi proposto dei rompicapi. Avevo un bel cercare d’aver l’aria più naturale del mondo nell’atto che mi sforzavo di formar lo spirito di mia moglie: non potevo non accorgermi che l’istinto l’avvertiva delle mie intenzioni, e ch’ella si sentiva a disagio. Per esempio, era più che evidente che ella giudicava Shakespeare terribilmente noioso. Lo spirito si formava con grande lentezza.

In questa impresa mi servii anche di Traddles, a sua 1236

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insaputa. Tutte le volte ch’egli veniva a farci una visita, sparavo su lui tutte le mie cartucce, in verità tenendo di mira Dora. La somma di saggezza pratica che io versai su Traddles in quella maniera fu immensa, e della migliore qualità; ma su Dora non aveva altro effetto che di deprimerla, e di farla sempre più nervosa, nel timore che poi quelle specie di paternali sarebbero toccate a lei.

Io facevo la parte d’un maestro di scuola, di una trappo-la, d’un trabocchetto; ero diventato il ragno della mosca di Dora, sempre pronto dal fondo della tela a balzar su di lei, con suo gran turbamento.

Pure, sempre con la speranza di arrivare, con mia piena soddisfazione, a traverso quella fase intermedia, a un tempo di perfetta simpatia fra Dora e me e di completa «formazione del suo spirito», perseverai per mesi e mesi. Ma alla fine m’accorsi che, benché mi fossi mantenuto in tutto quel tempo un vero riccio o un istrice, irto della mia determinazione, non avevo ottenuto un bel nulla, e cominciai a pensare che forse lo spirito di Dora era di già formato.

Riflettendoci meglio, la cosa mi parve così probabile, che abbandonai il mio progetto, che mi era parso più bello in teoria che all’atto pratico; e risolsi d’allora in poi d’esser soddisfatto di mia moglie-bimba, e di non tentar più di trasformarla con nessun metodo. Ero veramente stanco della mia sagacia e della mia prudenza solitarie, e di veder la mia diletta compressa e mortificata.

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Così un giorno comprai un bel paio d’orecchini per lei e un collare per Jip, e mi diressi a casa risoluto a riuscirle gradito.

Dora fu lietissima di quei piccoli doni, e mi baciò teneramente; ma v’era fra noi una nube, benché leggera, e io avevo risoluto che non ci dovesse essere. Se una nube non si fosse potuta evitare, me la sarei tenuta per l’avvenire in me stesso.

Mi sedetti sul canapè accanto a mia moglie, e le misi gli orecchini; e poi le dissi che temevo che da qualche tempo non ci fossimo fatta buona compagnia reciproca, come prima, e che la colpa era mia. Sinceramente lo dicevo, e veramente era così.

– Il fatto sta, cara la mia Dora – dissi – che ho cercato di divenir ragionevole.

– E anche di far ragionevole me – disse Dora, timidamente. – Non è vero, Doady?

Feci un cenno d’assentimento alla leggiadra domanda delle sopracciglia levate, e le baciai le labbra socchiuse.

– Non serve a nulla – disse Dora, scotendo il capo e facendo tinnire gli orecchini. – Tu sai che sono una bambina, e non hai dimenticato come ti dissi di chiamarmi sin dal principio. Se te lo dimentichi, temo che tu non mi vorrai mai bene. Sei sicuro di non pensare a volte, che... sarebbe stato meglio...

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– Meglio che, mia cara? – perché ella s’era arrestata a mezzo.

– Niente – disse Dora.

– Niente? – ripetei.

Ella mi cinse con le mani il collo, e si mise a ridere, e si diede l’epiteto di sciocca, e nascose il viso sulla mia spalla in una tale profusione di riccioli che fu una fatica sgombrarnelo e fissarlo.

– Non sarebbe stato meglio non tentare di formare lo spirito della mia mogliettina? – dissi, ridendo di me. – È

questa la domanda. Sì, davvero, è questa.

– È questo che tu hai tentato? – esclamò Dora. – Oh, che cattivo!

– Ma io non ci proverò più – dissi. – Perché io le voglio bene così com’è.

– Senza scherzo... veramente? – chiese Dora, facendo-misi più da presso.

– Perché dovrei cercar di cambiare – dissi – ciò che m’è stato così prezioso per tanto tempo? Tu non puoi mostrarti migliore di quando sei veramente tu, mia cara Dora; e noi non faremo altri tentativi temerari, ma torne-remo alle nostre antiche abitudini per esser felici.

– Per esser felici! – rispose Dora. – Sì, tutto il giorno! E

tu non ci baderai se a volte le cose andranno un po’

male.

Are sens

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