«Non mi sento autorizzato a sollecitare il mio vecchio amico signor Copperfield, o il mio vecchio amico signor Tommaso Traddles dell’Inner Temple, s’egli è ancora in vita e prosperoso, di degnarsi di venirmi incontro, e rinnovare (in quanto sarà possibile) la nostra relazione del buon vecchio tempo. Mi limito a gettare ai venti questa osservazione: che, all’ora e nel luogo indicato, si potran trovare le minute vestigia di ciò che
«Rimane
«Di
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Charles Dickens David Copperfield
«Una
«Torre crollata,
«WILKINS MICAWBER.»
«P.S. - Può essere opportuno aggiungere a quanto sopra l’avvertimento che la signora Micawber non ha avuto la confidenza delle mie intenzioni.»
Lessi parecchie volte la lettera. Facendo le debite concessioni allo stile pomposo del signor Micawber e alla straordinaria soddisfazione con cui si sedeva e scriveva lunghe lettere in tutte le occasioni immaginabili e inim-maginabili, pensai che qualche cosa di grave dovesse esser nascosto in fondo a quella prolissa comunicazione.
Misi sul tavolo la lettera, per riflettere, e poi la ripresi di nuovo, per leggerla ancora una volta; e l’avevo ancora nelle mani quando Traddles mi sorprese nel colmo della mia incertezza.
– Mio caro amico – dissi – non m’ha fatto mai tanto piacere vederti. Tu arrivi a buon punto per darmi il tuo illuminato parere. Ho ricevuto una stranissima lettera, Traddles, dal signor Micawber.
– Veramente? – esclamò Traddles. – Che cosa mi dici! Anch’io ho ricevuto una lettera dalla signora Micawber.
Così dicendo, Traddles, che era accaldato dalla pas-1251
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seggiata, e i cui capelli, sotto il doppio influsso dell’esercizio e della commozione, erano ritti come all’apparizione d’uno spettro burlone, mi presentò la lettera da lui ricevuta, facendo a cambio con la mia. Lo vidi leggere la lettera del signor Micawber, e levar le ciglia dicendo: – «Trattare la folgore o dirigere la fiamma divoratrice e vendicatrice». Santo Cielo, Copperfield! – e poi cominciai la lettura dell’epistola della signora Micawber, che diceva così:
«I miei fervorosi ossequi al signor Tommaso Traddles, il quale, se ancora conserva il ricordo d’una persona che già ebbe la fortuna d’essergli molto conosciuta, può certo concederle alcuni istanti delle sue ore di riposo. Io assicuro il signor T. T. che non abuserei della sua gentilezza, se non fossi sul punto di perdere la ragione. Per quanto mi sia doloroso dirlo, il motivo che mi spinge a rivolgermi al signor Traddles e a sollecitare la sua indulgenza, è la freddezza del signor Micawber, già così tenero con sua moglie e la famiglia. Il signor T. non può formarsi un’idea adeguata del mutamento avvenuto nella condotta del signor Micawber, della sua bizzarria, della sua violenza, che è andata gradatamente aumentando ed ha assunto l’apparenza d’una vera e propria aberrazione. È difficile che passi giorno, assicuro il signor Traddles, che non abbia luogo qualche parossismo di questo genere. Il signor T. non esigerà ch’io gli ri-1252
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tragga il mio sentimento, quando gli dico che odo continuamente il signor Micawber asserire che egli s’è venduto al D. Il mistero e il segreto sono divenuti da qualche tempo le sue caratteristiche principali, e sostituisco-no da lungo tempo la sua sincerità abituale. Alla minima provocazione, anche se gli si chiede che cosa prefe-risca per desinare, scatta col dire che domanderà la separazione. Ieri sera, perché i bambini gli chiesero quattro soldi per comprare delle pasticche di limone, leccornia del luogo, egli fece l’atto di presentare un gran coltellaccio ai gemelli.
«Che il signor Traddles mi perdoni se entro in questi particolari, ma se non lo facessi, sarebbe difficile ch’egli potesse farsi anche la più debole idea della mia orribile condizione.
«Posso ora avventurarmi a confidare al signor T. lo scopo della mia lettera? Permette egli che io m’affidi alla sua amichevole considerazione? Oh, sì, perché m’è ben noto il suo cuore!
«L’acuto occhio dell’affetto non è facilmente benda-to, quando si tratta di noi donne. Mio marito si accinge a venire a Londra. Benché egli, stamattina, prima di colazione, nascondesse cautamente la mano nello scrivere il cartello dell’indirizzo da attaccare alla valigetta bruna del tempo più felice, lo sguardo d’aquila dell’ansia co-niugale scoperse d. r. a. distintamente tracciate. La destinazione della diligenza è Golden Cross. Posso osare 1253
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di implorare fervidamente il signor T. di andare incontro al mio traviato marito, e di condurlo alla ragione?
Posso osar di chiedere al signor T. di frapporsi tra mio marito e la sua famiglia disperata? Oh, no, che questo sarebbe troppo!
«Se il signor Copperfield conserva ancora memoria d’u-na persona ignota alla fama, vuole il signor Traddles fargli pervenire i miei saluti e le mie preghiere? Ad ogni modo, egli avrà la benevolenza di «considerare questa comunicazione come rigorosamente confidenziale, e di non farvi alcuna allusione, neanche lontana, per nessuna ragione, in presenza di mio marito». Se il signor T. dovesse mai rispondere alla presente (ciò che mi sembra molto improbabile), una lettera diretta a M. E., Fermo Posta, Canterbury, avrà conseguenze meno penose che se fosse mandata direttamente a quella, che si sottoscrive, con estrema angoscia,
«di Tommaso Traddles rispettosa e supplichevole amica
«EMMA MICAWBER».
– Che ne pensi di questa lettera? – disse Traddles, levando gli occhi su di me, quando l’ebbi letta di nuovo.
– E tu che ne pensi dell’altra? – dissi, perché egli era ancora occupato a leggerla, con le sopracciglia aggrottate.
– Credo che tutte e due, Copperfield – rispose, Traddles 1254
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– vogliano dir più di quanto il signore e la signora Micawber di solito dicono nella loro corrispondenza... ma veramente non mi riesce d’indovinare. Sono entrambe scritte in buona fede, certo, e senza secondi fini. Poveretta! – egli disse alludendo alla lettera della signora Micawber, mentre l’uno accanto all’altro confrontavamo i due fogli; – sarà un atto di carità scriverle, a ogni modo, e assicurarle che non mancheremo di vedere il signor Micawber.
Acconsentii tanto più volentieri in quanto mi rimproveravo d’aver trattato un po’ troppo leggermente la prima lettera di quella povera donna. Ci avevo pensato molto al tempo che l’avevo ricevuta, come ho già detto a suo luogo: ma le mie occupazioni personali, la mia esperienza della famiglia, e il non averne saputo più nulla, avevano a poco a poco finito col farmi dimenticare la cosa. Avevo spesso pensato ai Micawber, principalmente domandandomi quali «obbligazioni finanziarie» stessero contraendo a Canterbury e perché il signor Micawber, diventato segretario di Uriah Heep, si fosse dimostrato così impacciato con me.
Comunque, scrissi una lettera di conforto alla signora Micawber, in nome mio e in nome di Traddles, e la fir-mammo entrambi. Andando insieme a impostarla in città, io e Traddles, avemmo un lungo colloquio, facendo un gran numero d’ipotesi, inutili a riferirsi. Nel pomeriggio chiamammo anche mia zia a consiglio; e la nostra 1255
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collettiva e unica conclusione fu di trovarci puntualmente all’ora dell’arrivo del signor Micawber.
Benché ci trovassimo nel luogo fissato un’ora prima del tempo, il signor Micawber era già lì in attesa. Se ne stava con le braccia incrociate, appoggiato al muro, guardando i comignoli dell’edificio, con un’espressione sentimentale, come se fossero i rami intrecciati degli alberi che avevano dato conforto d’ombre alla sua giovinezza.
Avvicinatici, le sue maniere ci apparvero alquanto più impacciate e un po’ meno solenni di una volta. Egli aveva, per quella escursione, abbandonato l’abito nero di prammatica, e indossato il soprabito e i calzoni ade-renti di una volta, che non portava con la stessa aria d’un tempo. A poco a poco, conversando con lui, vedemmo riapparire qualche cosa dell’antico signor Micawber; ma lo stesso occhialetto non gli ricadeva sul petto con l’antica eleganza, e lo stesso solino, benché delle stesse formidabili antiche dimensioni, appariva piuttosto gualcito e umiliato.
– Signori – disse il signor Micawber dopo i primi saluti