«Se la vostra memoria non s'imboli nel primo mondo da l'umane menti, ma s'ella viva sotto molti soli,
ditemi chi voi siete e di che genti; la vostra sconcia e fastidiosa pena di palesarvi a me non vi spaventi».
«Io fui d'Arezzo, e Albero da Siena», rispuose l'un, «mi fé mettere al foco; ma quel per ch'io mori' qui non mi mena.
Vero è ch'i' dissi lui, parlando a gioco:
"I' mi saprei levar per l'aere a volo"; e quei, ch'avea vaghezza e senno poco, volle ch'i' li mostrassi l'arte; e solo perch' io nol feci Dedalo, mi fece ardere a tal che l'avea per figliuolo.
Ma ne l'ultima bolgia de le diece me per l'alchìmia che nel mondo usai dannò Minòs, a cui fallar non lece».
E io dissi al poeta: «Or fu già mai gente sì vana come la sanese?
Certo non la francesca sì d'assai!».
Onde l'altro lebbroso, che m'intese, rispuose al detto mio: «Tra'mene Stricca che seppe far le temperate spese, e Niccolò che la costuma ricca
del garofano prima discoverse
ne l'orto dove tal seme s'appicca; 133
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e tra'ne la brigata in che disperse Caccia d'Ascian la vigna e la gran fonda, e l'Abbagliato suo senno proferse.
Ma perché sappi chi sì ti seconda contra i Sanesi, aguzza ver' me l'occhio, sì che la faccia mia ben ti risponda: sì vedrai ch'io son l'ombra di Capocchio, che falsai li metalli con l'alchìmia; e te dee ricordar, se ben t'adocchio, com' io fui di natura buona scimia».
CANTO XXX
[Canto XXX, ove tratta di quella medesima materia e gente.]
Nel tempo che Iunone era crucciata per Semelè contra 'l sangue tebano, come mostrò una e altra fïata,
Atamante divenne tanto insano,
che veggendo la moglie con due figli andar carcata da ciascuna mano,
gridò: «Tendiam le reti, sì ch'io pigli la leonessa e ' leoncini al varco»; e poi distese i dispietati artigli, prendendo l'un ch'avea nome Learco, e rotollo e percosselo ad un sasso; e quella s'annegò con l'altro carco.
E quando la fortuna volse in basso l'altezza de' Troian che tutto ardiva, sì che 'nsieme col regno il re fu casso, 134
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Ecuba trista, misera e cattiva,
poscia che vide Polissena morta,
e del suo Polidoro in su la riva
del mar si fu la dolorosa accorta, forsennata latrò sì come cane;
tanto il dolor le fé la mente torta.
Ma né di Tebe furie né troiane
si vider mäi in alcun tanto crude, non punger bestie, nonché membra umane, quant' io vidi in due ombre smorte e nude, che mordendo correvan di quel modo che 'l porco quando del porcil si schiude.
L'una giunse a Capocchio, e in sul nodo del collo l'assannò, sì che, tirando, grattar li fece il ventre al fondo sodo.
E l'Aretin che rimase, tremando
mi disse: «Quel folletto è Gianni Schicchi, e va rabbioso altrui così conciando».
«Oh», diss' io lui, «se l'altro non ti ficchi li denti a dosso, non ti sia fatica a dir chi è, pria che di qui si spicchi».
Ed elli a me: «Quell' è l'anima antica di Mirra scellerata, che divenne
al padre, fuor del dritto amore, amica.
Questa a peccar con esso così venne, falsificando sé in altrui forma,
come l'altro che là sen va, sostenne, per guadagnar la donna de la torma, falsificare in sé Buoso Donati,
testando e dando al testamento norma».
E poi che i due rabbiosi fuor passati sovra cu' io avea l'occhio tenuto, 135
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