ne le prime battaglie col ciel dura, poi vince tutto, se ben si notrica.
A maggior forza e a miglior natura liberi soggiacete; e quella cria
la mente in voi, che 'l ciel non ha in sua cura.
Però, se 'l mondo presente disvia, in voi è la cagione, in voi si cheggia; e io te ne sarò or vera spia.
Esce di mano a lui che la vagheggia prima che sia, a guisa di fanciulla che piangendo e ridendo pargoleggia, l'anima semplicetta che sa nulla, salvo che, mossa da lieto fattore, volontier torna a ciò che la trastulla.
Di picciol bene in pria sente sapore; quivi s'inganna, e dietro ad esso corre, se guida o fren non torce suo amore.
Onde convenne legge per fren porre; convenne rege aver, che discernesse de la vera cittade almen la torre.
Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?
Nullo, però che 'l pastor che procede, rugumar può, ma non ha l'unghie fesse; per che la gente, che sua guida vede pur a quel ben fedire ond' ella è ghiotta, di quel si pasce, e più oltre non chiede.
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Ben puoi veder che la mala condotta è la cagion che 'l mondo ha fatto reo, e non natura che 'n voi sia corrotta.
Soleva Roma, che 'l buon mondo feo, due soli aver, che l'una e l'altra strada facean vedere, e del mondo e di Deo.
L'un l'altro ha spento; ed è giunta la spada col pasturale, e l'un con l'altro insieme per viva forza mal convien che vada; però che, giunti, l'un l'altro non teme: se non mi credi, pon mente a la spiga, ch'ogn' erba si conosce per lo seme.
In sul paese ch'Adice e Po riga,
solea valore e cortesia trovarsi, prima che Federigo avesse briga;
or può sicuramente indi passarsi
per qualunque lasciasse, per vergogna, di ragionar coi buoni o d'appressarsi.
Ben v'èn tre vecchi ancora in cui rampogna l'antica età la nova, e par lor tardo che Dio a miglior vita li ripogna: Currado da Palazzo e 'l buon Gherardo e Guido da Castel, che mei si noma, francescamente, il semplice Lombardo.
Dì oggimai che la Chiesa di Roma, per confondere in sé due reggimenti, cade nel fango, e sé brutta e la soma».
«O Marco mio», diss' io, «bene argomenti; e or discerno perché dal retaggio li figli di Levì furono essenti.
Ma qual Gherardo è quel che tu per saggio di' ch'è rimaso de la gente spenta, in rimprovèro del secol selvaggio?».
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«O tuo parlar m'inganna, o el mi tenta», rispuose a me; «ché, parlandomi tosco, par che del buon Gherardo nulla senta.
Per altro sopranome io nol conosco, s'io nol togliessi da sua figlia Gaia.
Dio sia con voi, ché più non vegno vosco.
Vedi l'albor che per lo fummo raia già biancheggiare, e me convien partirmi (l'angelo è ivi) prima ch'io li paia».
Così tornò, e più non volle udirmi.
CANTO XVII
[Canto XVII, dove tratta de la qualità del quarto girone, dove si purga la colpa de la accidia, dove si ristora l'amore de lo imperfetto bene; e qui dichiara una questione che indi nasce.]
Ricorditi, lettor, se mai ne l'alpe ti colse nebbia per la qual vedessi non altrimenti che per pelle talpe, come, quando i vapori umidi e spessi a diradar cominciansi, la spera
del sol debilemente entra per essi; e fia la tua imagine leggera
in giugnere a veder com' io rividi lo sole in pria, che già nel corcar era.
Sì, pareggiando i miei co' passi fidi del mio maestro, usci' fuor di tal nube 234
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ai raggi morti già ne' bassi lidi.
O imaginativa che ne rube
talvolta sì di fuor, ch'om non s'accorge perché dintorno suonin mille tube, chi move te, se 'l senso non ti porge?
Moveti lume che nel ciel s'informa, per sé o per voler che giù lo scorge.