De l'empiezza di lei che mutò forma ne l'uccel ch'a cantar più si diletta, ne l'imagine mia apparve l'orma;
e qui fu la mia mente sì ristretta dentro da sé, che di fuor non venìa cosa che fosse allor da lei ricetta.
Poi piovve dentro a l'alta fantasia un crucifisso, dispettoso e fero
ne la sua vista, e cotal si moria; intorno ad esso era il grande Assüero, Estèr sua sposa e 'l giusto Mardoceo, che fu al dire e al far così intero.
E come questa imagine rompeo
sé per sé stessa, a guisa d'una bulla cui manca l'acqua sotto qual si feo, surse in mia visïone una fanciulla piangendo forte, e dicea: «O regina, perché per ira hai voluto esser nulla?
Ancisa t'hai per non perder Lavina; or m'hai perduta! Io son essa che lutto, madre, a la tua pria ch'a l'altrui ruina».
Come si frange il sonno ove di butto nova luce percuote il viso chiuso, che fratto guizza pria che muoia tutto; così l'imaginar mio cadde giuso
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tosto che lume il volto mi percosse, maggior assai che quel ch'è in nostro uso.
I' mi volgea per veder ov' io fosse, quando una voce disse «Qui si monta», che da ogne altro intento mi rimosse; e fece la mia voglia tanto pronta di riguardar chi era che parlava, che mai non posa, se non si raffronta.
Ma come al sol che nostra vista grava e per soverchio sua figura vela,
così la mia virtù quivi mancava.
«Questo è divino spirito, che ne la via da ir sù ne drizza sanza prego, e col suo lume sé medesmo cela.
Sì fa con noi, come l'uom si fa sego; ché quale aspetta prego e l'uopo vede, malignamente già si mette al nego.
Or accordiamo a tanto invito il piede; procacciam di salir pria che s'abbui, ché poi non si poria, se 'l dì non riede».
Così disse il mio duca, e io con lui volgemmo i nostri passi ad una scala; e tosto ch'io al primo grado fui, senti'mi presso quasi un muover d'ala e ventarmi nel viso e dir: 'Beati pacifici, che son sanz' ira mala!'.
Già eran sovra noi tanto levati
li ultimi raggi che la notte segue, che le stelle apparivan da più lati.
'O virtù mia, perché sì ti dilegue?', fra me stesso dicea, ché mi sentiva la possa de le gambe posta in triegue.
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Noi eravam dove più non saliva
la scala sù, ed eravamo affissi,
pur come nave ch'a la piaggia arriva.
E io attesi un poco, s'io udissi
alcuna cosa nel novo girone;
poi mi volsi al maestro mio, e dissi:
«Dolce mio padre, dì, quale offensione si purga qui nel giro dove semo?
Se i piè si stanno, non stea tuo sermone».
Ed elli a me: «L'amor del bene, scemo del suo dover, quiritta si ristora; qui si ribatte il mal tardato remo.
Ma perché più aperto intendi ancora, volgi la mente a me, e prenderai
alcun buon frutto di nostra dimora».
«Né creator né creatura mai»,
cominciò el, «figliuol, fu sanza amore, o naturale o d'animo; e tu 'l sai.
Lo naturale è sempre sanza errore, ma l'altro puote errar per malo obietto o per troppo o per poco di vigore.
Mentre ch'elli è nel primo ben diretto, e ne' secondi sé stesso misura,
esser non può cagion di mal diletto; ma quando al mal si torce, o con più cura o con men che non dee corre nel bene, contra 'l fattore adovra sua fattura.
Quinci comprender puoi ch'esser convene amor sementa in voi d'ogne virtute e d'ogne operazion che merta pene.