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Il giudice lo ascoltò con molta benignità: prese vivissima arte al racconto: s’intenerì, si commosse: e quando il burattino non ebbe più nulla da dire, allungò la mano e suonò il campanello.

A quella scampanellata comparvero subito due can mastini vestiti da giandarmi.

Allora il giudice, accennando Pinocchio ai giandarmi, disse loro:

– Quel povero diavolo è stato derubato di quattro monete d’oro: pigliatelo dunque e mettetelo subito in prigione.

Il burattino, sentendosi dare questa sentenza fra capo e collo, rimase di princisbecco e voleva protestare: ma i giandarmi, a scanso di perditempi inutili, gli tapparono la bocca e lo condussero in gattabuia.

E lì v’ebbe a rimanere quattro mesi: quattro lunghis-simi mesi: e vi sarebbe rimasto anche di più, se non si fosse dato un caso fortunatissimo. Perché bisogna sapere che il giovane Imperatore che regnava nella città di Acchiappa-citrulli, avendo riportato una gran vittoria contro i suoi nemici, ordinò grandi feste pubbliche, lu-minarie, fuochi artificiali, corse di barberi e velocipedi, e in segno di maggiore esultanza, volle che fossero aper-te le carceri e mandati fuori tutti i malandrini.

Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Collodi - Le avventure di Pinocchio

– Se escono di prigione gli altri, voglio uscire anch’io,

– disse Pinocchio al carceriere.

– Voi no, – rispose il carceriere, – perché voi non siete del bel numero...

– Domando scusa, – replicò Pinocchio, – sono un malandrino anch’io.

– In questo caso avete mille ragioni, – disse il carceriere; e levandosi il berretto rispettosamente e salutan-dolo, gli aprì le porte della prigione e lo lasciò scappare.

Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Collodi - Le avventure di PinocchioLiberato dalla prigione, si avvia per tornare a casa dellaFata; ma lungo la strada trova un serpente orribile, e poirimane preso alla tagliuola.

Figuratevi l’allegrezza di Pinocchio, quando si sentì libero. Senza stare a dire che è e che non è, uscì subito fuori della città e riprese la strada che doveva ricondurlo alla Casina della Fata.

A motivo del tempo piovigginoso, la strada era di-ventata tutta un pantano e ci si andava fino a mezza gamba.

Ma il burattino non se ne dava per inteso.

Tormentato dalla passione di rivedere il suo babbo e la sua sorellina dai capelli turchini, correva a salti come un cane levriero, e nel correre le pillacchere gli schizza-vano fin sopra il berretto. Intanto andava dicendo fra sé e sé:

– Quante disgrazie mi sono accadute... E me le merito! perché io sono un burattino testardo e piccoso... e voglio far sempre tutte le cose a modo mio, senza dar retta a quelli che mi voglion bene e che hanno mille volte più giudizio di me!... Ma da questa volta in là, faccio proponimento di cambiar vita e di diventare un ragazzo ammodo e ubbidiente... Tanto ormai ho bell’e visto che i ragazzi, a essere disubbidienti, ci scapitano sempre e non ne infilano mai una per il sù verso. E il mio babbo mi avrà aspettato?... Ce lo troverò a casa della Fata? è tanto tempo, pover’uomo, che non lo vedo più, che mi struggo di fargli mille carezze e di finirlo dai baci! E la Fata mi perdonerà la brutta azione che le ho fatto?... E pensare che ho ricevuto da lei tante attenzio-ni e tante cure amorose... e pensare che se oggi son sempre vivo, lo debbo a lei! Ma si può dare un ragazzo più ingrato e più senza cuore di me?...

Nel tempo che diceva così, si fermò tutt’a un tratto spaventato e fece quattro passi indietro.

Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Collodi - Le avventure di Pinocchio Che cosa aveva veduto?...

Aveva veduto un grosso Serpente, disteso attraverso alla strada, che aveva la pelle verde, gli occhi di fuoco e la coda appuntuta, che gli fumava come una cappa di camino.

Impossibile immaginarsi la paura del burattino: il quale, allontanatosi più di mezzo chilometro, si mise a sedere sopra un monticello di sassi, aspettando che il Serpente se ne andasse una buona volta per i fatti suoi e lasciasse libero il passo della strada.

Aspettò un’ora; due ore; tre ore; ma il Serpente era sempre là, e, anche di lontano, si vedeva il rosseggiare dè suoi occhi di fuoco e la colonna di fumo che gli usciva dalla punta della coda.

Allora Pinocchio, figurandosi di aver coraggio, si avvicinò a pochi passi di distanza, e facendo una vocina dolce, insinuante e sottile, disse al Serpente:

– Scusi, signor Serpente, che mi farebbe il piacere di tirarsi un pochino da una parte, tanto da lasciarmi passare?

Fu lo stesso che dire al muro. Nessuno si mosse.

Allora riprese colla solita vocina:

– Deve sapere, signor Serpente, che io vado a casa, dove c’è il mio babbo che mi aspetta e che è tanto tempo che non lo vedo più!... Si contenta dunque che io seguiti per la mia strada?

Aspettò un segno di risposta a quella dimanda: ma la risposta non venne: anzi il Serpente, che fin allora pareva arzillo e pieno di vita, diventò immobile e quasi irri-gidito. Gli occhi gli si chiusero e la coda gli smesse di fumare.

– Che sia morto davvero?... – disse Pinocchio, dandosi una fregatina di mani dalla gran contentezza: e senza mettere tempo in mezzo, fece l’atto di scavalcarlo, per passare dall’altra parte della strada. Ma non aveva ancora finito di alzare la gamba, che il Serpente si rizzò Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Collodi - Le avventure di Pinocchio all’improvviso, come una molla scattata: e il burattino, nel tirarsi indietro, spaventato, inciampò e cadde per terra.

E per l’appunto cadde così male, che restò col capo conficcato nel fango della strada e con le gambe ritte su in aria.

Alla vista di quel burattino, che sgambettava a capo-fitto con una velocità incredibile il Serpente fu preso da una tal convulsione di risa, che ridi, ridi, ridi, alla fine, dallo sforzo del troppo ridere, gli si strappò una vena sul petto: e quella volta morì davvero.

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