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– Lo so: ed è per questo che ti ho perdonato. La sin-cerità del tuo dolore mi fece conoscere che tu avevi il cuore buono: e dai ragazzi buoni di cuore, anche se sono un po’ monelli e avvezzati male, c’è sempre da sperar qualcosa: ossia, c’è sempre da sperare che rien-Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Collodi - Le avventure di Pinocchio trino sulla vera strada. Ecco perché son venuta a cercarti fin qui. Io sarò la tua mamma...

– Oh! che bella cosa! – gridò Pinocchio saltando dall’allegrezza.

– Tu mi ubbidirai e farai sempre quello che ti dirò io.

– Volentieri, volentieri, volentieri!

– Fino da domani, – soggiunse la Fata, – tu comince-rai coll’andare a scuola.

Pinocchio diventò subito un po’ meno allegro.

– Poi sceglierai a tuo piacere un’arte o un mestiere...

Pinocchio diventò serio.

– Che cosa brontoli fra i denti? – domandò la Fata con accento risentito.

– Dicevo... – mugolò il burattino a mezza voce, – che oramai per andare a scuola mi pare un po’ tardi...

– Nossignore. Tieni a mente che per istruirsi e per imparare non è mai tardi.

– Ma io non voglio fare né arti né mestieri...

– Perché?

– Perché a lavorare mi par fatica.

– Ragazzo mio, – disse la Fata, – quelli che dicono cosi, finiscono quasi sempre o in carcere o all’ospedale.

L’uomo, per tua regola, nasca ricco o povero, è obbliga-to in questo mondo a far qualcosa, a occuparsi, a lavorare. Guai a lasciarsi prendere dall’ozio! L’ozio è una bruttissima malattia, e bisogna guarirla subito, fin da ragazzi: se no, quando siamo grandi, non si guarisce più.

Queste parole toccarono l’animo di Pinocchio, il quale rialzando vivacemente la testa disse alla Fata:

– Io studierò, io lavorerò, io farò tutto quello che mi dirai, perché, insomma, la vita del burattino mi è venuta a noia, e voglio diventare un ragazzo a tutti i costi. Me l’hai promesso, non è vero?

– Te l’ho promesso, e ora dipende da te.

Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Collodi - Le avventure di PinocchioPinocchio va cò suoi compagni di scuola in riva al mare,per vedere il terribile Pescecane.

Il giorno dopo Pinocchio andò alla scuola comunale.

Figuratevi quelle birbe di ragazzi, quando videro entrare nella loro scuola un burattino! Fu una risata, che non finiva più. Chi gli faceva uno scherzo, chi un altro; chi gli levava il berretto di mano; chi gli tirava il giub-bettino di dietro; chi si provava a fargli coll’inchiostro due grandi baffi sotto il naso; e chi si attentava perfino a legargli dei fili ai piedi e alle mani per farlo ballare.

Per un poco Pinocchio usò disinvoltura e tirò via; ma finalmente, sentendosi scappar la pazienza, si rivolse a quelli, che più lo tafanavano e si pigliavano gioco di lui, e disse loro a muso duro:

– Badate, ragazzi: io non son venuto qui per essere il vostro buffone. Io rispetto gli altri e voglio essere ri-spettato.

– Bravo berlicche! Hai parlato come un libro stam-pato! – urlarono quei monelli, buttandosi via dalle matte risate: e uno di loro, più impertinente degli altri allungò la mano coll’idea di prendere il burattino per la punta del naso.

Ma non fece a tempo: perché Pinocchio stese la gamba sotto la tavola e gli consegnò una pedata negli stinchi.

– Ohi! che piedi duri! – urlò il ragazzo stropicciandosi il livido che gli aveva fatto il burattino.

– E che gomiti!... anche più duri dei piedi! – disse un altro che, per i suoi scherzi sguaiati, s’era beccata una gomitata nello stomaco.

Fatto sta che dopo quel calcio e quella gomitata Pinocchio acquistò subito la stima e la simpatia di tutti i ragazzi di scuola: e tutti gli facevano mille carezze e tutti gli volevano un bene dell’anima.

E anche il maestro se ne lodava, perché lo vedeva at-Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Collodi - Le avventure di Pinocchio tento, studioso, intelligente, sempre il primo a entrare nella scuola, sempre l’ultimo a rizzarsi in piedi, a scuola finita.

Il solo difetto che avesse era quello di bazzicare trop-pi compagni: e fra questi, c’erano molti monelli cono-sciutissimi per la loro poca voglia di studiare e di farsi onore.

Il maestro lo avvertiva tutti i giorni, e anche la buona Fata non mancava di dirgli e di ripetergli più volte:

– Bada, Pinocchio! Quei tuoi compagnacci di scuola finiranno prima o poi col farti perdere l’amore allo studio e, forse forse, col tirarti addosso qualche grossa disgrazia.

– Non c’è pericolo! – rispondeva il burattino, facendo una spallucciata e toccandosi coll’indice in mezzo alla fronte, come per dire: «C’è tanto giudizio qui dentro!».

Ora avvenne che un bel giorno, mentre camminava verso scuola, incontrò un branco dei soliti compagni, che andandogli incontro, gli dissero:

– Sai la gran notizia?

– No.

– Qui nel mare vicino è arrivato un Pesce-cane, grosso come una montagna.

– Davvero?... Che sia quel medesimo Pesce-cane di quando affogò il mio povero babbo?

– Noi andiamo alla spiaggia per vederlo. Vieni anche tu?

– Io, no: voglio andare a scuola.

– Che t’importa della scuola? Alla scuola ci andere-mo domani. Con una lezione di più o con una di meno, si rimane sempre gli stessi somari.

– E il maestro che dirà?

– Il maestro si lascia dire. E’ pagato apposta per brontolare tutto il giorno.

Are sens