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Carlo Collodi - Le avventure di Pinocchio chio a una piccola tavola apparecchiata e gli pose davanti il pane, il cavolfiore condito e il confetto.
Pinocchio non mangiò, ma diluviò. Il suo stomaco pareva un quartiere rimasto vuoto e disabitato da cinque mesi.
Calmati a poco a poco i morsi rabbiosi della fame, allora alzò il capo per ringraziare la sua benefattrice; ma non aveva ancora finito di fissarla in volto, che cacciò un lunghissimo ohhh! ... di maraviglia e rimase là incantato, cogli occhi spalancati, colla forchetta per aria e colla bocca piena di pane e di cavolfiore.
– Che cos’è mai tutta questa maraviglia? – disse ridendo la buona donna.
– Egli è... – rispose balbettando Pinocchio, – egli è...
egli è... che voi somigliate... voi mi rammentate... sì, sì, sì, la stessa voce... gli stessi occhi.. gli stessi capelli... sì, sì, sì... anche voi avete i capelli turchini... come lei!... O
Fatina mia!... O Fatina mia!... ditemi che siete voi, proprio voi!... Non mi fate più piangere! Se sapeste!... Ho pianto tanto, ho patito tanto..
E nel dir così, Pinocchio piangeva dirottamente, e gettandosi ginocchioni per terra, abbracciava i ginocchi di quella donnina misteriosa.
Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Collodi - Le avventure di PinocchioPinocchio promette alla Fata di essere buono e distudiare, perché è stufo di fare il burattino e vuoldiventare un bravo ragazzo.
In sulle prime la buona donnina cominciò col dire che lei non era la piccola Fata dai capelli turchini: ma poi, vedendosi oramai scoperta e non volendo mandare più a lungo la commedia, fini col farsi riconoscere, e disse a Pinocchio:
– Birba d’un burattino! Come mai ti sei accorto che ero io?
– Gli è il gran bene che vi voglio quello che me l’ha detto.
– Ti ricordi? Mi lasciasti bambina e ora mi ritrovi donna; tanto donna, che potrei quasi farti da mamma.
– L’ho caro dimolto, perché così, invece di sorellina, vi chiamerò la mia mamma. Gli è tanto tempo che mi struggo di avere una mamma come tutti gli altri ragazzi!... Ma come avete fatto a crescere cosi presto?
– è un segreto.
– Insegnatemelo: vorrei crescere un poco anch’io.
Non lo vedete? Sono sempre rimasto alto come un soldo di cacio.
– Ma tu non puoi crescere, – replicò la Fata.
– Perché?
– Perché i burattini non crescono mai. Nascono burattini, vivono burattini e muoiono burattini.
– Oh! sono stufo di far sempre il burattino! – gridò Pinocchio, dandosi uno scappellotto. – Sarebbe ora che diventassi anch’io un uomo come tutti gli altri.
– E lo diventerai, se saprai meritartelo...
– Davvero? E che posso fare per meritarmelo?
– Una cosa facilissima: avvezzarti a essere un ragazzino perbene.
– O che forse non sono?
Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Collodi - Le avventure di Pinocchio
– Tutt’altro! I ragazzi perbene sono ubbidienti, e tu invece...
– E io non ubbidisco mai.
– I ragazzi perbene prendono amore allo studio e al lavoro, e tu...
– E io, invece, faccio il bighellone e il vagabondo tutto l’anno.
– I ragazzi perbene dicono sempre la verità...
– E io sempre le bugie.
– I ragazzi perbene vanno volentieri alla scuola...
– E a me la scuola mi fa venire i dolori di corpo. Ma da oggi in poi voglio mutar vita.
– Me lo prometti?
– Lo prometto. Voglio diventare un ragazzino perbene e voglio essere la consolazione del mio babbo...
Dove sarà il mio povero babbo a quest’ora?
– Non lo so.
– Avrò mai la fortuna di poterlo rivedere e abbraccia-re?
– Credo di sì: anzi ne sono sicura.
A questa risposta fu tale e tanta la contentezza di Pinocchio, che prese le mani alla Fata e cominciò a ba-ciargliele con tanta foga, che pareva quasi fuori di sé.
Poi, alzando il viso e guardandola amorosamente, le domandò:
– Dimmi, mammina: dunque non è vero che tu sia morta?
– Par di no, – rispose sorridendo la Fata.
– Se tu sapessi, che dolore e che serratura alla gola che provai, quando lessi qui giace...