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Gracie tanto, asì no puede ser! Ió voglio estar entre el segnor Paleari e la mia gobernante, caro segnor Terencio!

La semioscurità rossastra permetteva appena di discernere i contorni; cosicché non potei vedere fino a qual punto rispondesse al vero il ritratto che della signorina Pantogada m’aveva abbozzato Papiano; il tratto però, la voce e quella sùbita ribellione s’accordavano perfettamente all’idea che m’ero fatta di lei, dopo quella descrizione.

Certo, rifiutando così sdegnosamente il posto che Papiano le aveva assegnato accanto a me, la signorina Pantogada m’offendeva; ma io non solo non me n’ebbi a male, ma anzi me ne rallegrai.

— Giustissimo! — esclamò Papiano. — E allora, si può far così: accanto al signor Meis segga la signora Candida; poi prenda posto lei, signorina. Mio suocero rimanga dov’è: e noi altri tre pure così, come stiamo. Va bene?

E no! non andava bene neanche così: né per me, né per la signorina Caporale, né per Adriana e né – come si vide poco dopo – per la Pepita, la quale stette molto meglio in una nuova catena disposta proprio dal genialissimo spirito di Max.

Per il momento, io mi vidi accanto quasi un fantasima di donna, con una specie di collinetta in capo (era cappello? era cuffia? parrucca? che diavolo era?). Di sotto quel carico enorme uscivan di tratto in tratto certi sospiri terminati da un breve gemito. Nessuno aveva pensato a presentarmi a quella signora Candida: ora, per far la catena, dovevamo tenerci per mano; e lei sospirava. Non le pareva ben fatto, ecco. Dio, che mano fredda!

Con l’altra mano tenevo la sinistra della signorina Caporale seduta a capo del tavolino, con le spalle contro il lenzuolo appeso all’angolo; Papiano le teneva la destra. Accanto ad Adriana, dall’altra parte, sedeva il pittore; il signor Anselmo stava all’altro capo del tavolino, dirimpetto alla Caporale.

Papiano disse:

— Bisognerebbe spiegare innanzi tutto al signor Meis e alla signorina Pantogada il linguaggio… come si chiama?

— Tiptologico, — suggerì il signor Anselmo.

— Prego, anche a me, — si rinzelò la signora Candida, agitandosi su la seggiola.

— Giustissimo! Anche alla signora Candida, si sa!

— Ecco, — prese a spiegare il signor Anselmo. — Due colpi vogliono dir

— Colpi? — interruppe Pepita. — Che colpi?

— Colpi, — rispose Papiano, — o battuti sul tavolino o su le seggiole o altrove o anche fatti percepire per via di toccamenti.

Ah no-no-no-no-nó!! — esclamò allora quella a precipizio, balzando in piedi. — Ió non ne amo, tocamenti. De chi?

— Ma dello spirito di Max, signorina, — le spiegò Papiano. — Gliel’ho accennato, venendo: non fanno mica male, si rassicuri.

Tittologichi, — aggiunse con aria di commiserazione, da donna superiore, la signora Candida.

— E dunque, — riprese il signor Anselmo, — due colpi, ; tre colpi, no; quattro, bujo; cinque, parlate; sei, luce. Basterà così. E ora concentriamoci, signori miei.

Si fece silenzio. Ci concentrammo.

XIV: Le prodezze di Max

Apprensione? No. Neanche per ombra. Ma una viva curiosità mi teneva e anche un certo timore che Papiano stésse per fare una pessima figura. Avrei dovuto goderne; e, invece, no. Chi non prova pena, o piuttosto, un frigido avvilimento nell’assistere a una commedia mal rappresentata da comici inesperti?

«Tra due sta,» pensavo: «o egli è molto abile, o l’ostinazione di tenersi accanto Adriana non gli fa veder bene dove si mette, lasciando il Bernaldez e Pepita, me e Adriana disillusi e perciò in grado d’accorgerci senza alcun gusto, senz’alcun compenso, della sua frode. Meglio di tutti se n’accorgerà Adriana che gli sta più vicina; ma lei già sospetta la frode e vi è preparata.

Non potendo starmi accanto, forse in questo momento ella domanda a se stessa perché rimanga lì ad assistere a una farsa per lei non solamente insulsa, ma anche indegna e sacrilega. E la stessa domanda certo, dal canto loro, si rivolgono il Bernaldez e Pepita. Come mai Papiano non se ne rende conto, or che s’è visto fallire il colpo d’allogarmi accanto la Pantogada? Si fida dunque tanto della propria abilità? Stiamo a vedere.»

Facendo queste riflessioni, io non pensavo affatto alla signorina Caporale.

A un tratto, questa si mise a parlare, come in un leggero dormiveglia.

— La catena, — disse, — la catena va mutata…

— Abbiamo già Max? — domandò premurosamente quel buon uomo del signor Anselmo.

La risposta della Caporale si fece attendere un bel po’.

— Sì, — poi disse penosamente, quasi con affanno. — Ma siamo in troppi, questa sera…

— È vero sì! — scattò Papiano. — Mi sembra però, che così stiamo benone.

— Zitto! — ammonì il Paleari. — Sentiamo che dice Max.

— La catena, — riprese la Caporale, — non gli par bene equilibrata. Qua, da questo lato ( e sollevò la mia mano), ci sono due donne accanto. Il signor Anselmo farebbe bene a prendere il posto della signorina Pantogada, e viceversa.

— Subito! — esclamò il signor Anselmo, alzandosi. — Ecco, signorina, segga qua!

E Pepita, questa volta, non si ribellò. Era accanto al pittore.

— Poi, — soggiunse la Caporale, — la signora Candida…

Papiano la interruppe:

— Al posto d’Adriana, è vero? Ci avevo pensato. Va benone!

Io strinsi forte, forte, forte, la mano di Adriana fino a farle male, appena ella venne a prender posto accanto a me. Contemporaneamente la signorina Caporale mi stringeva l’altra mano, come per domandarmi: « È contento così? ». « Ma sì, contentone! » le risposi io con un’altra stretta, che significava anche: «E ora fate pure, fate pure quel che vi piace!».

— Silenzio! — intimò a questo punto il signor Anselmo.

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