"Unleash your creativity and unlock your potential with MsgBrains.Com - the innovative platform for nurturing your intellect." » Italian Books » "Il fu Mattia Pascal" di Luigi Pirandello

Add to favorite "Il fu Mattia Pascal" di Luigi Pirandello

Select the language in which you want the text you are reading to be translated, then select the words you don't know with the cursor to get the translation above the selected word!




Go to page:
Text Size:

— Non insistiamo! — si rimise il signor Anselmo. — Tu sei forse ancora un po’ alterato, eh, Max? Lo sento, ti conosco… ti conosco… Vorresti dirci almeno se la catena così disposta ti accontenta?

Non aveva il Paleari finito di far questa domanda, ch’io sentii picchiarmi rapidamente due volte su la fronte, quasi con la punta di un dito.

— Sì! — esclamai subito, denunciando il fenomeno; e strinsi la mano d’Adriana.

Debbo confessare che quel «toccamento» inatteso mi fece pure, lì per lì, una strana impressione. Ero sicuro che, se avessi levato a tempo la mano, avrei ghermito quella di Papiano, e tuttavia… La delicata leggerezza del tocco e la precisione erano state, a ogni modo, meravigliose. Poi, ripeto, non me l’aspettavo. Ma perché intanto Papiano aveva scelto me per manifestar la sua remissione? Aveva voluto con quel segno tranquillarmi, o

era esso all’incontro una sfida e significava: « Adesso vedrai se son contento»?

— Bravo, Max! — esclamò il signor Anselmo.

E io, tra me:

«(Bravo, sì! Che fitta di scapaccioni ti darei!)»

— Ora, se non ti dispiace — riprese il padron di casa, — vorresti darci un segno del tuo buon animo verso di noi?

Cinque colpi sul tavolino intimarono: — Parlate!

— Che significa? — domandò la signora Candida, impaurita.

— Che bisogna parlare, — spiegò Papiano, tranquillamente.

E Pepita:

— A chi?

— Ma a chi vuol lei, signorina! Parli col suo vicino, per esempio.

— Forte?

— Sì, — disse il signor Anselmo. — Questo vuol dire, signor Meis, che Max ci prepara intanto qualche bella manifestazione. Forse una luce… chi sa! Parliamo, parliamo…

E che dire? Io già parlavo da un pezzo con la mano d’Adriana, e non pensavo, ahimè, non pensavo più a nulla! Tenevo a quella manina un lungo discorso intenso, stringente, e pur carezzevole, che essa ascoltava tremante e abbandonata; già! l’avevo costretta a cedermi le dita, a intrecciarle con le mie. Un’ardente ebbrezza mi aveva preso, che godeva dello spasimo che le costava lo sforzo di reprimer la sua foga smaniosa per esprimersi invece con le maniere d’una dolce tenerezza, come voleva il candore di quella timida anima soave.

Ora, in tempo che le nostre mani facevano questo discorso fitto fitto, io cominciai ad avvertire come uno strofinìo alla traversa, tra le due gambe posteriori della seggiola; e mi turbai. Papiano non poteva col piede arrivare fin là; e, quand’anche, la traversa fra le gambe anteriori gliel’avrebbe impedito. Che si fosse alzato dal tavolino e fosse venuto dietro alla mia seggiola? Ma, in questo caso, la signora Candida, se non era proprio scema, avrebbe dovuto avvertirlo. Prima di comunicare a gli altri il fenomeno, avrei voluto in qualche modo spiegarmelo; ma poi pensai che, avendo ottenuto ciò che mi premeva, ora, quasi per obbligo, mi conveniva secondar la frode, senz’altro indugio, per non irritare maggiormente Papiano. E

avviai a dire quel che sentivo.

— Davvero? — esclamò Papiano, dal suo posto, con una meraviglia che mi parve sincera.

Né minor meraviglia dimostrò la signorina Caporale.

Sentii rizzarmi i capelli su la fronte. Dunque, quel fenomeno era vero?

— Strofinìo? — domandò ansiosamente il signor Anselmo. — Come sarebbe? come sarebbe?

— Ma sì! — confermai, quasi stizzito. — E séguita! Come se ci fosse qua dietro un cagnolino… ecco!

Un alto scoppio di risa accolse questa mia spiegazione.

— Ma è Minerva! è Minerva! — gridò Pepita Pantogada.

— Chi è Minerva? — domandai, mortificato.

— Ma la mia cagnetta! — riprese quella, ridendo ancora. — La viechia mia, segnore, che se grata asì soto tute le sedie. Con permisso! con permisso!

Il Bernaldez accese un altro fiammifero, e Pepita s’alzò per prendere quella cagnetta, che si chiamava Minerva, e accucciarsela in grembo.

— Ora mi spiego, — disse contrariato il signor Anselmo, — ora mi spiego la irritazione di Max. C’è poca serietà, questa sera, ecco!

Per il signor Anselmo, forse, sì: ma – a dir vero – non ce ne fu molta di più per noi nelle sere successive, rispetto allo spiritismo, s’intende.

Chi poté più badare alle prodezze di Max nel buio? Il tavolino scricchiolava, si moveva, parlava con picchi sodi o lievi; altri picchi s’udivano su le cartelle delle nostre seggiole e, or qua or là, su i mobili della camera, e raspamenti, strascichii e altri rumori; strane luci fosforiche, come fuochi fatui, si accendevano nell’aria per un tratto, vagolando, e anche il lenzuolo si rischiarava e si gonfiava come una vela; e un tavolinetto porta-sigari si fece parecchie passeggiatine per la camera e una volta finanche balzò sul tavolino intorno al quale sedevamo in catena; e la chitarra come se avesse messo le ali, volò dal cassettone su cui era posata e venne a strimpellar su noi… Mi parve però che Max manifestasse meglio le sue eminenti facoltà musicali coi sonaglioli d’un collaretto da cane, che a un certo punto fu messo al collo della signorina Caporale; il che parve al signor Anselmo uno scherzo affettuoso e graziosissimo di Max; ma la signorina Caporale non lo gradì molto.

Era entrato evidentemente in iscena, protetto dal bujo, Scipione, il fratello di Papiano, con istruzioni particolarissime. Costui era davvero epilettico, ma non così idiota come il fratello Terenzio e lui stesso volevano dare a intendere. Con la lunga abitudine dell’oscurità, doveva aver fatto l’occhio a vederci al bujo. In verità, non potrei dire fino a che punto egli si dimostrasse destro in quelle frodi congegnate avanti col fratello e con la Caporale; per noi, cioè per me e per Adriana, per Pepita e il Bernaldez, poteva far quello che gli piaceva e tutto andava bene, comunque lo facesse: lì, egli non doveva contentare che il signor Anselmo e la signora Candida; e pareva vi riuscisse a meraviglia. È vero bensì, che né l’uno né l’altra erano di difficile contentatura. Oh, il signor Anselmo gongolava di gioja; pareva in certi momenti un ragazzetto al teatrino delle marionette; e a certe sue esclamazioni puerili io soffrivo, non solo per l’avvilimento che mi cagionava il vedere un uomo, non certamente sciocco, dimostrarsi tale fino all’inverosimile; ma anche perché Adriana mi faceva comprendere che

provava rimorso a godere così, a scapito della serietà del padre, approfittandosi della ridicola dabbenaggine di lui.

Questo solo turbava di tratto in tratto la nostra gioja. Eppure, conoscendo Papiano, avrebbe dovuto nascermi il sospetto che, se egli si rassegnava a lasciarmi accanto Adriana e, contrariamente a’ miei timori, non ci faceva mai disturbare dallo spirito di Max, anzi pareva che ci favorisse e ci proteggesse, doveva aver fatto qualche altra pensata. Ma era tale in quei momenti la gioja che mi procurava la libertà indisturbata nel bujo, che questo sospetto non mi s’affacciò affatto.

— No! — strillò a un certo punto la signorina Pantogada.

E subito il signor Anselmo:

— Dica, dica, signorina! che è stato? che ha sentito?

Anche il Bernaldez la spinse a dire, premurosamente; e allora Pepita:

Are sens

Copyright 2023-2059 MsgBrains.Com