"Unleash your creativity and unlock your potential with MsgBrains.Com - the innovative platform for nurturing your intellect." » Italian Books » "Il fu Mattia Pascal" di Luigi Pirandello

Add to favorite "Il fu Mattia Pascal" di Luigi Pirandello

Select the language in which you want the text you are reading to be translated, then select the words you don't know with the cursor to get the translation above the selected word!




Go to page:
Text Size:

Aquì, su un lado, una careccia

— Con la mano? — domandò il Paleari. — Delicata, è vero? Fredda, furtiva e delicata… Oh, Max, se vuole, sa esser gentile con le donne!

Vediamo un po’, Max, potresti rifar la carezza alla signorina?

Aquí está! aquí está! — si mise a gridare subito Pepita ridendo.

— Che vuol dire? — domandò il signor Anselmo.

— Rifà, rifà… m’acareccia!

— E un bacio, Max? — propose allora il Paleari.

— No! — strillò Pepita, di nuovo.

Ma un bel bacione sonoro le fu scoccato su la guancia.

Quasi involontariamente io mi recai allora la mano di Adriana alla bocca; poi, non contento, mi chinai a cercar la bocca di lei, e così il primo bacio,

bacio lungo e muto, fu scambiato fra noi.

Che seguì? ci volle un pezzo, prima ch’io smarrito di confusione e di vergogna, potessi riavermi in quell’improvviso disordine. S’erano accorti di quel nostro bacio? Gridavano. Uno, due fiammiferi, accesi; poi anche la candela, quella stessa che stava entro il lanternino dal vetro rosso. E tutti in piedi! Perché? Perché? Un gran colpo, un colpo formidabile, come vibrato da un pugno di gigante invisibile, tonò sul tavolino, così, in piena luce.

Allibimmo tutti e, più di ogni altro, Papiano e la signorina Caporale.

— Scipione! Scipione! — chiamò Terenzio.

L’epilettico era caduto per terra e rantolava stranamente.

— A sedere! — gridò il signor Anselmo. — È caduto in trance anche lui!

Ecco, ecco, il tavolino si muove, si solleva, si solleva… La levitazione!

Bravo, Max! Evviva!

E davvero il tavolino, senza che nessuno lo toccasse, si levò alto più d’un palmo dal suolo e poi ricadde pesantemente.

La Caporale, livida, tremante, atterrita, venne a nascondere la faccia sul mio petto. La signorina Pantogada e la governante scapparono via dalla camera, mentre il Paleari gridava irritatissimo:

— No, qua, perbacco! Non rompete la catena! Ora viene il meglio! Max!

Max!

— Ma che Max! — esclamò Papiano, scrollandosi alla fine dal terrore che lo teneva inchiodato e accorrendo al fratello per scuoterlo e richiamarlo in sé.

Il ricordo del bacio fu per il momento soffocato in me dallo stupore per quella rivelazione veramente strana e inesplicabile, a cui avevo assistito. Se, come sosteneva il Paleari, la forza misteriosa che aveva agito in quel momento, alla luce, sotto gli occhi miei, proveniva da uno spirito invisibile, evidentemente, questo spirito non era quello di Max: bastava guardar Papiano e la signorina Caporale per convincersene. Quel Max, lo avevano

inventato loro. Chi dunque aveva agito? chi aveva avventato sul tavolino quel pugno formidabile?

Tante cose lette nei libri del Paleari mi balzarono in tumulto alla mente; e, con un brivido, pensai a quello sconosciuto che s’era annegato nella gora del molino alla Stìa, a cui io avevo tolto il compianto de’ suoi e degli estranei.

«Se fosse lui!» dissi tra me. «Se fosse venuto a trovarmi, qua, per vendicarsi, svelando ogni cosa…»

Il Paleari intanto, che – solo – non aveva provato né meraviglia né sgomento, non riusciva ancora a capacitarsi come un fenomeno così semplice e comune, quale la levitazione del tavolino, ci avesse tanto impressionato, dopo quel po’ po’ di meraviglie a cui avevamo precedentemente assistito. Per lui contava ben poco che il fenomeno si fosse manifestato alla luce. Piuttosto non sapeva spiegarsi come mai Scipione si trovasse là, in camera mia, mentr’egli lo credeva a letto.

— Mi fa specie, — diceva — perché di solito questo poveretto non si cura di nulla. Ma si vede che queste nostre sedute misteriose gli han destato una certa curiosità: sarà venuto a spiare, sarà entrato furtivamente, e allora…

pàffete, acchiappato! Perché è innegabile, sa, signor Meis, che i fenomeni straordinarii della medianità traggono in gran parte origine dalla nevrosi epilettica, catalettica e isterica. Max prende da tutti, sottrae anche a noi buona parte d’energia nervosa, e se ne vale per la produzione dei fenomeni.

È accertato! Non si sente anche lei, difatti, come se le avessero sottratto qualche cosa?

— Ancora no, per dire la verità.

Quasi fino all’alba mi rivoltai sul letto, fantasticando di quell’infelice, sepolto nel cimitero di Miragno, sotto il mio nome. Chi era? Donde veniva?

Perché si era ucciso? Forse voleva che quella sua triste fine si sapesse: era stata forse riparazione, espiazione… e io me n’ero approfittato! Più d’una volta, al bujo – lo confesso – gelai di paura. Quel pugno, lì, sul tavolino, in camera mia, non lo avevo udito io solo. Lo aveva scagliato lui? E non era egli ancor lì, nel silenzio, presente e invisibile, accanto a me? Stavo in

orecchi, se m’avvenisse di cogliere qualche rumore nella camera. Poi m’addormentai e feci sogni paurosi.

Il giorno appresso aprii le finestre alla luce.

XV: Io e l’ombra mia

Mi è avvenuto più volte, svegliandomi nel cuor della notte (la notte, in questo caso, non dimostra veramente d’aver cuore), mi è avvenuto di provare al bujo, nel silenzio, una strana meraviglia, uno strano impaccio al ricordo di qualche cosa fatta durante il giorno, alla luce, senz’abbadarci; e ho domandato allora a me stesso se, a determinar le nostre azioni, non concorrano anche i colori, la vista delle cose circostanti, il vario frastuono della vita. Ma sì, senza dubbio; e chi sa quant’altre cose! Non viviamo noi, secondo il signor Anselmo, in relazione con l’universo? Ora sta a vedere quante sciocchezze questo maledetto universo ci fa commettere, di cui poi chiamiamo responsabile la misera coscienza nostra, tirata da forze esterne, abbagliata da una luce che è fuor di lei. E, all’incontro, quante deliberazioni prese, quanti disegni architettati, quanti espedienti macchinati durante la notte non appajono poi vani e non crollano e non sfumano alla luce del giorno? Com’altro è il giorno, altro la notte, così forse una cosa siamo noi di giorno, altra di notte: miserabilissima cosa, ahimè, così di notte come di giorno.

So che, aprendo dopo quaranta giorni le finestre della mia camera, io non provai alcuna gioja nel riveder la luce. Il ricordo di ciò che avevo fatto in quei giorni al bujo me la offuscò orribilmente. Tutte le ragioni e le scuse e le persuasioni che in quel bujo avevano avuto il loro peso e il loro valore, non ne ebbero più alcuno, appena spalancate le finestre, o ne ebbero un altro al tutto opposto. E invano quel povero me che per tanto tempo se n’era stato con le finestre chiuse e aveva fatto di tutto per alleviarsi la noja smaniosa della prigionia, ora – timido come un cane bastonato – andava appresso a quell’altro me che aveva aperte le finestre e si destava alla luce del giorno, accigliato, severo, impetuoso; invano cercava di stornarlo dai foschi pensieri, inducendolo a compiacersi piuttosto, dinanzi allo specchio, del buon esito dell’operazione e della barba ricresciuta e anche del pallore che in qualche modo m’ingentiliva l’aspetto.

«Imbecille, che hai fatto? che hai fatto?»

Are sens

Copyright 2023-2059 MsgBrains.Com