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– Davide – egli disse, stringendo insieme le labbra e as-sottigliandole – se ho un cavallo o un cane ostinato, che credi che io faccia?

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– Non so.

– Lo batto.

Avevo risposto con un fil di voce, ma sentivo ora, nel mio silenzio, che mi mancava il respiro.

– Lo faccio staffilare e domare. Io mi dico: «Debbo sog-giogarlo». E se dovesse costargli tutto il sangue che ha, lo soggiogherei. Che hai sulla faccia?

– Mi son insudiciato – dissi. Egli sapeva, come lo sapevo io, ch’eran tracce di lagrime. Ma se mi avesse fatto venti volte la stessa domanda, ogni volta accom-pagnandola con venti colpi, credo che il mio cuore infantile sarebbe scoppiato, ma non glielo avrebbe detto.

– Così piccolo come sei, tu hai molta intelligenza –

egli disse con un grave sorriso che era tutto suo particolare; – e m’hai capito benissimo, ne son certo. Lavati la faccia, e vien giù con me.

M’indicò il lavamano, che io avevo paragonato alla signora Gummidge, e col capo mi fece cenno di obbe-dirgli subito. Ne dubitavo poco allora, e ne dubito meno ora, che mi avrebbe picchiato senza la menoma esitazione, se non l’avessi fatto.

– Mia diletta Clara – egli disse, quando ebbi eseguito l’ordine e m’ebbe accompagnato nel salotto, tenendomi sempre la mano sul braccio; – non sarai rattristata mai più, spero. Noi sapremo render migliore questo piccolo 86

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capriccioso.

Dio m’è testimone che sarei diventato migliore per tutta la vita, sarei diventato un altro forse, se allora fosse stata pronunziata una parola gentile. Una parola d’incoraggiamento e di spiegazione, di pietà per la mia ignoranza infantile, di benvenuto a casa, di assicurazione che ero in casa mia, avrebbe potuto rendermi, d’allora, rispettoso verso di lui nell’intimo, invece che ipocritamente al-l’esterno, e avrebbe potuto farmelo onorare, invece di farmelo odiare. Credo che mia madre fosse dolente di vedermi stare in piedi nella stanza così sgomento e strano, e che tosto, come mi vide appressarmi timidamente a una sedia, mi seguisse con sguardi anche più dolenti, come se avesse desiderato maggior scioltezza nei miei passi infantili. Ma la parola non fu detta, e il tempo di dirla trascorse.

Desinammo soli, tutti e tre. Egli pareva innamoratissimo di mia madre – e temo che questa per me fosse una ragione per amarlo di meno – ed ella di lui. Appresi da ciò che dicevano che una sorella maggiore di lui sarebbe venuta a star con loro, e ch’ era attesa per quella sera.

Non son sicuro se apprendessi allora o in seguito, ch’egli senza partecipare attivamente al commercio, aveva delle azioni o ritraeva una rendita annuale da un negozio di vino a Londra in relazioni d’affari con la sua famiglia, fin dal tempo del suo proavo, negozio nel quale la sorella doveva avere un interesse pari al suo; ma io lo 87

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registro qui senz’altro.

Dopo desinare, mentre eravamo seduti accanto al fuoco e stavo meditando di rifugiarmi da Peggotty senza avere il coraggio di svignarmela, per tema di offendere il padron di casa, una carrozza si fermò al cancello, ed egli si mosse per andare a ricevere chi arrivava. Mia madre lo seguì. Io seguivo timidamente lei, quand’ella si voltò sulla soglia, al buio, e prendendomi fra le braccia, secondo era già usa a fare, mi bisbigliò di voler bene al mio nuovo padre, e d’essergli ubbidiente. Parlava in fretta e con gran segretezza, come se commettesse del male, ma con tenerezza; e allungando la mano di dietro vi tenne la mia, finché arrivammo in giardino al punto dov’era lui. Allora lasciò la mia mano, e infilò la sua nel braccio di lui.

Era arrivata la signorina Murdstone, ch’era una donna di fosco aspetto; nera, come suo fratello, al quale somigliava molto nel viso e nella voce; e con foltissime sopracciglia che quasi si incontravano sul suo grosso naso, come se non potendo per i torti fatti al suo sesso portare i baffi, ella cercasse così di compensarsene. Aveva con sé due casse nere, dure, formidabili, con le sue iniziali sul coperchio in duri chiodi di ottone. Quando pagò il cocchiere, trasse il denaro da una dura borsa di acciaio; e la teneva in una specie di prigione a sacco, che era portata sospesa al braccio con una pesante catena e si chiudeva come una morsa. Fino allora non avevo mai 88

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veduto una donna più metallica della signorina Murdstone.

Fu condotta nel salotto con molte dimostrazioni di gioia, e colà riconobbe formalmente mia madre come una nuova e cara parente. Allora essa mi guardò, e disse:

– È questo il tuo ragazzo, cognata?

Mia madre disse di sì.

– Generalmente parlando – disse la signorina Murdstone

– a me non piacciono i ragazzi. Piccino, come stai?

Con questa incoraggiante prolusione, risposi che stavo benissimo e che speravo lo stesso di lei; con tono così indifferente, che la signorina Murdstone si sbrigò di me in tre parole:

– Non ha educazione.

Detto questo con grande secchezza, chiese il favore d’essere accompagnata in camera sua. Da quel momento la camera sua diventò per me un luogo di minaccia e di paura, dove le due casse nere non furono mai viste aperte o socchiuse, e dove (giacché io vi feci capolino una o due volte quand’ella era uscita) numerose catenelle e chiodi d’acciaio, con i quali la signorina Murdstone s’abbelliva quando si vestiva in gran pompa, stavano di solito sospesi allo specchio in formidabile assetto.

Come mi fu dato di comprendere, ella era venuta sul serio, e non aveva alcuna intenzione di andarsene mai. La 89

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mattina dopo cominciò ad «aiutare» mia madre, e tutto il giorno non fece che entrare ed uscire dalla guardaroba, mettendo tutto a posto, passando come un uragano sull’antica disposizione degli oggetti. Quasi il primo tratto che mi avvenne di osservare nella signorina Murdstone fu il suo continuo sospetto che le persone di servizio nascondessero un uomo in qualche ripostiglio o in cantina. Sotto l’influsso di questa convinzione, faceva una spedizione improvvisa in carbonaia nelle ore più disparate, e non apriva quasi mai lo sportello di un armadio buio senza chiuderlo di nuovo, con la speranza di aver acchiappato l’invasore.

Benché nella signorina Murdstone non vi fosse nulla di aereo, ella nel levarsi presto la mattina era una allodola perfetta. Si alzava (e, come io credo, a caccia di quell’uomo) prima che nessun altro in casa si movesse. Peggotty era convinta che dormisse con un occhio solo; ma io non potei confermar la sua opinione, perché, dopo averla udita dir così, mi provai a dormire nello stesso modo, e m’avvidi che non era possibile. Fin dalla prima mattina ella si levò e sonò il campanello al canto del gallo. A mia madre, discesa per la collazione, e nell’atto di fare il tè, la signorina Murdstone diede sulla guancia una specie di beccata, che era il suo più felice facsimile d’un bacio, e disse:

– Clara, diletta mia, tu sai che son venuta qui per solle-varti, in quanto mi sarà possibile, da tutti i tuoi fastidi.

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Tu sei troppo graziosa e spensierata – mia madre arrossì, ma rise, e parve accettar contenta questa definizione –

per occuparti di cose delle quali posso incaricarmi io. Se tu sarai così buona da darmi le chiavi, mia cara, per l’avvenire m’incaricherò io di tutto.

Da quel momento, la signorina Murdstone custodì le chiavi nella sua piccola prigione portatile tutto il giorno, e sotto il cuscino tutta la notte, e mia madre non ebbe da far con loro più di quanto avessi da farvi io.

Mia madre non tollerò la cessione della sua autorità senza almeno un’ombra di protesta. Una sera che la signorina Murdstone era stata occupata col fratello a sviluppare certi suoi progetti domestici, che egli pienamente appro-vava, mia madre a un tratto cominciò a piangere, dicendo che ella credeva avrebbe potuto esser consultata.

– Clara! – disse gravemente il signor Murdstone. – Clara, tu mi fai stupire.

– Oh, tu dici bene che ti faccio stupire, Edoardo, –

Are sens