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Ma mi sveglio quando brontola, e tremo pensando a zio Daniele e a Cam, e mi pare di sentirli chiamare aiuto.

Ecco perché mi piacerebbe d’essere una signora. Ma non ne ho paura come intendi tu. Ma che! Guarda qui.

Si staccò dal mio fianco, e corse lungo un’asse frasta-gliata che si sporgeva dal posto ove eravamo e stava a picco da una certa altezza sull’acqua profonda, senza un riparo pur che fosse. La scena m’è così fissa in mente, che se fossi un disegnatore potrei ritrarla esattamente come mi si presentò quel giorno, con l’Emilietta in corsa verso la morte (come mi apparve) con uno sguardo che non ho più dimenticato, fisso sul mare lontano.

La snella, ardita, guizzante personcina si voltò e tornò indietro sana e salva: e io subito risi del mio sgomento e del grido che m’era sfuggito; inutilmente a ogni modo, perché non si vedeva anima viva in quei pressi. Ma, nella mia virilità, molte volte da quel giorno, molte volte 68

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ho pensato: «È possibile, fra le possibilità delle cose oc-culte, che nella improvvisa temerità della fanciulla e nel suo selvaggio sguardo fisso sul mare lontano, vi fosse una pietosa attrazione di lei nel pericolo, forse il desiderio del padre defunto che la vita di lei corresse il rischio di finire quel giorno?» D’allora molte volte mi son domandato: «Se il destino di lei mi fosse stato rivelato a un’occhiata, e rivelato in modo che un bambino avesse potuto comprenderlo, e se la sua salvezza fosse dovuta dipendere dal cenno della mia mano, l’avrei io salvata?»

Vi fu una volta dopo d’allora – durò un istante, ma ci fu

– che mi feci questa domanda: «Sarebbe stato meglio per l’ Emilietta se le acque innanzi a me quella mattina le si fossero chiuse sulla testa?»; e io mi risposi: «Sì, sarebbe stato meglio».

Questo può esser prematuro. Forse l’ho scritto troppo presto; ma non importa.

Camminammo a lungo e ci caricammo di cose che giu-dicavamo curiose, e restituimmo con diligenza all’acqua alcune stelle di mare arenate – a quest’ora ignoro, non sapendo abbastanza della razza delle stelle di mare, se esse avessero ragione di esserci grate o no di quell’attenzione – e poi ci rimettemmo in cammino per la dimora del pescatore Peggotty. Ci fermammo al riparo del vivaio delle aragoste per scambiarci un bacio innocente, e ci presentammo a colazione raggianti di salute e di gioia.

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– Sembrano due fringuelli! – disse il pescatore Peggotty.

Naturalmente io ero innamorato dell’ Emilietta. Son certo che volevo bene a quella bambina con tutta la sincerità, con tutta la tenerezza che si può sentire in un’età più matura; le volevo bene con maggiore purezza e disinteresse d’un amore di giovinezza, per alto e nobile che possa essere. So che la mia fantasia metteva intorno alla testa di quel diminutivo di donna dagli occhi azzurri qualche cosa di tondo che la idealizzava e la faceva un angioletto. Se in qualche meriggio radioso le fosse spuntato un paio di alucce ed ella avesse spiccato il volo innanzi ai miei occhi, non credo che me ne sarei molto meravigliato.

Eravamo soliti per ore ed ore di vagare affettuosamente insieme per quella triste pianura di Yarmouth. I giorni si divertivano con noi, come se lo stesso tempo non fosse cresciuto, ma fosse ancora un fanciullo occupato a tra-stullarsi di continuo. Io dissi ad Emilia che l’adoravo, e che se non avesse confessato anche lei che m’adorava, io mi sarei ridotto nella triste necessità di uccidermi con una spada. Ella disse che lo confessava, e io non ne ebbi il minimo dubbio.

Nell’Emilietta e in me, che non vedevamo l’avvenire, non sorse neanche per un istante il sentimento della disparità delle nostre condizioni, della nostra estrema giovinezza, o d’altre difficoltà sulla nostra via. Non pensa-70

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vamo a diventar più grandi, più di quanto avessimo pensato a diventar ragazzi. E intanto formavamo l’ammirazione della signora Gummidge e di Peggotty, che eran solite di bisbigliarsi la sera, quando ci stringevamo affettuosamente, a fianco l’un dell’altro, sul nostro baule:

«Signore Iddio, non son belli?» Il pescatore Peggotty ci sorrideva di dietro la pipa, e Cam sorrideva con un sogghigno in tutta la serata. Essi provavano alla nostra vista lo stesso piacere che avrebbero avuto a guardare un bel balocco o una riproduzione tascabile del Colosseo.

M’avvidi subito che la signora Gummidge non sempre si sforzava di rendersi gradita in misura adeguata alle circostanze della sua coabitazione col pescatore Peggotty. Di umore piuttosto depresso e deprimente, si lagnava a volte più di quanto potesse essere sopportato dagli altri in una casa così angusta. Me ne dispiace molto per lei, ma pensavo che v’erano momenti in cui sarebbe stato molto più comodo per tutti se la signora Gummidge avesse avuto uno speciale appartamento per sé ove ritirarsi ad attendere che le venisse un po’ di buon umore.

Il pescatore Peggotty si recava a volte in una bettola chiamata «Lo spirito compiacente». Lo seppi perché c’era andato la seconda o la terza sera della nostra visita e perché la signora Gummidge, fra le otto e le nove, si mise a guardare l’orologio olandese, dicendo che lui si tratteneva certo nella bettola, e, peggio ancora, ch’ella fin dalla mattina aveva indovinato che ci sarebbe anda-71

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to.

La signora Gummidge s’era mostrata depressa per tutta la giornata, ed era scoppiata in pianto la mattina, perché il focolare faceva fumo. «Io sono una povera donna sola e abbandonata», eran le parole della signora Gummidge in simili occasioni, «e tutto mi va di traverso».

– Oh, fra qualche momento finirà – disse Peggotty, intendo di nuovo Peggotty mia – e poi, sai, secca anche a noi come a te.

– Io lo sento di più – disse la signora Gummidge.

Era un giorno rigidissimo, con taglienti raffiche di vento. L’angolo occupato dalla signora Gummidge accanto al fuoco mi sembrava il più comodo e il più riparato, come la sua sedia che era certamente la più comoda, ma quel giorno non ne era soddisfatta e si lagnava continuamente del freddo, che le metteva dei brividi nella schiena. Finalmente si mise a piangere, dicendo ch’era una povera donna sola e abbandonata e che tutto le andava di traverso.

– Veramente fa freddo – disse Peggotty. – Tutti lo sentiamo.

– Ma io lo sento più degli altri – disse la signora Gummidge.

E lo stesso a desinare. La signora Gummidge era sempre servita immediatamente dopo di me, che avevo gli onori 72

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dell’ospite privilegiato. Ella osservò che il pesce era piccolo e spinoso, che le patate erano bruciate. Tutti osservammo che veramente era un peccato; ma la signora Gummidge disse che per lei era peggio, e si mise di nuovo a piangere, ripetendo con grande amarezza che lo sentiva più degli altri.

Per conseguenza, quando verso le nove rientrò il pescatore Peggotty, la disgraziata signora Gummidge lavorava alla calza nel suo cantuccio in uno stato di grande infelicità. Peggotty aveva lavorato allegramente; Cam s’e-ra occupato a rammendare un paio di scarponi da acqua; e io, con l’Emilietta al fianco, avevo letto qualche cosa a tutti. La signora Gummidge non aveva nel frattempo emesso che un sospiro di desolazione, e dopo il tè non aveva più levato gli occhi dai ferri.

– Bene, cari – disse il signor Peggotty mettendosi a sedere; – come si va?

Tutti gli rispondemmo qualche cosa o lo guardammo con simpatia per dargli il benvenuto; ma la signora Gummidge si limitò soltanto a scuotere il capo sulle calze.

– Che c’è? – disse il pescatore Peggotty, con uno schiocco delle mani. – Allegra, sposina.

Alla signora Gummidge non parve possibile mostrarsi allegra. Trasse un vecchio fazzoletto di seta nera e si asciugò gli occhi; ma invece di rimetterselo in tasca, 73

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se lo tenne in mano, e se li asciugò di nuovo, e se lo tenne ancora in mano, pronta a servirsene di nuovo.

– Che c’è, mia cara Gummidge? – disse il pescatore Peggotty.

– Niente – rispose la signora Gummidge. – Tu esci dallo «Spirito compiacente», Daniele?

– Ebbene, sì, stasera mi son trattenuto un po’ allo

«Spirito compiacente» – disse il pescatore Peggotty.

– Mi dispiace che sia io a mandartici – disse la signora Gummidge.

Are sens