Quando arrivammo nella via, che mi presentò uno spettacolo abbastanza nuovo, e sentimmo l’odor del pesce, e della pece, e della stoppa e del catrame, e vedemmo passare i marinai, e i carri tintinnanti che andavano su e giù 55
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sul selciato, capii d’aver giudicato male un paese così industrioso, e lo dissi a Peggotty, che udì le mie espressioni di gioia con gran compiacenza e mi disse che già si sapeva (da quelli, immagino, che avevano avuto la fortuna di nascere a Yarmouth) che dopo tutto Yarmouth era il più bel paese dell’universo.
– Ecco il mio Cam – strillò Peggotty – cresciuto tanto che non si riconosce più!
Egli ci aspettava infatti all’albergo e mi domandò come stavo, come a una vecchia conoscenza. Io non compresi in principio che lo conoscevo perfettamente, come lui conosceva me, perché non era venuto più in casa mia dalla sera della mia nascita, e naturalmente questo era un vantaggio ch’egli aveva su di me. Ma la nostra intimità progredì molto col suo semplice atto di prendermi sulle spalle per portarmi fino in casa sua.
Egli era allora un giovine grande e forte, alto sei piedi, largo in proporzione, e con le gambe rotonde, ma col viso d’un fanciullo ingenuo, e certi riccioli biondi che gli davano l’aria d’un agnellino. Era vestito d’una giacca di tela e un paio di calzoni così stretti, che sarebbero stati benissimo soli senza le gambe di dentro; e non si poteva dire veramente che portasse un cappello, giacché aveva la testa coperta come una vecchia fabbrica, con qualche cosa di incatramato.
Con Cam che portava me a cavalluccio e un nostro pacchetto sotto il braccio, e Peggotty che ne portava un al-56
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tro, andammo girando per vicoli sparsi di trucioli e piccoli monticelli di sabbia e passammo a traverso officine di gas, viali di corde, cantieri di fabbricanti di barche, cantieri di artieri di bastimenti, cantieri di distruttori di bastimenti, cantieri di calafati, fabbriche d’ attrezzatori, fucine di fabbri, e una gran confusione d’altri stabili-menti simili, finché non arrivammo sulla triste pianura che avevo già veduta in distanza. Allora Cam mi disse:
– Quella è casa nostra, signorino Davy. Guardai in tutte le direzioni, fin dove l’occhio arrivava, nella pianura, e lontano sul mare, e lontano sul fiume; ma senza vedere neppure un’ombra di casa. V’era, non molto lontano, un barcone nero o certa specie di battello vecchio, alto e asciutto sul suolo, con un tubo di ferro che sporgeva a guisa di camino, e fumava graziosissimamente; ma nient’altro era visibile che somigliasse a un’abitazione.
– Non è quella – dissi – quella che sembra un bastimento?
– Quella, signorino Davy – rispose Cam.
Se fosse stato il palazzo di Aladino, con l’uovo del Roc e il resto, non sarei, credo, rimasto così incantato come alla romantica idea di abitare in quella casa. Aveva una graziosa porticina tagliata nel fianco, e dentro aveva il soffitto, e c’eran dei minuscoli finestrini; ma il suo più meraviglioso requisito consisteva nel fatto ch’era un battello vero, il quale, senza dubbio, era stato centinaia 57
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di volte sull’acqua e non era stato mai destinato ad essere abitato in terra ferma. Questa era per me la sua maggiore attrattiva. Se avesse mai avuto lo scopo di essere abitato, avrei potuto giudicarlo piccolo o scomodo, o solitario; ma, non essendo mai stato designato per un simile uso, diventava l’abitazione ideale.
Di dentro era una casa squisitamente pulita, e più che possibile nitida. V’era una tavola, e un orologio olandese, e un canterano; e sul canterano un vassoio da tè dipinto con la figura d’una signora che andava a passeggio col parasole e un bambino vestito da soldato che spingeva il cerchio. Una Bibbia impediva al vassoio di precipitare: se il vassoio fosse precipitato avrebbe fatto a pezzi un gran numero di tazze e di piattini e una teiera schierati intorno al libro. Sulle pareti v’erano alcune ordinarie figure a colori con la cornice e il vetro, rappre-sentanti soggetti della Scrittura; d’allora non ne ho mai vedute di simili, offerte in vendita da mercanti girovaghi, senza vedere di nuovo, a un’occhiata, tutto l’interno della casa del fratello di Peggotty. Abramo in rosso che andava a sacrificare Isacco in turchino; Daniele in giallo gettato in una fossa di leoni verdi dominavano sulle altre. Sulla piccola cappa del camino c’era un dipinto del trabaccolo «Sarah Jane», costrutto a Sunderland, al quale era appiccicato un timone di legno vero: un lavoro artistico che combinava la composizione col mestiere del falegname; e io lo giudicai uno dei più preziosi tesori che vantasse il mondo. Dai travicelli del soffitto pende-58
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vano alcuni uncini, dei quali non potei indovinare l’uso in quel momento; e alcuni bauli e cassette e oggetti di simil natura facevan da sedili e sostituivano le sedie.
Vidi tutto questo a una sola occhiata nel primo istante, dopo aver varcata la soglia (da bambino osservatore, secondo quello che ho già detto), e poi Peggotty spalancò una porticina e mi mostrò la mia camera da letto. Era la più completa e più bella camera da letto che si fosse mai veduta – nella poppa della nave; con una finestrina attraverso la quale una volta passava il timone; con un piccolo specchio, a un’altezza conveniente per me, in-chiodato sulla parete e incorniciato di conchiglie; un lettino che aveva appena lo spazio necessario per entrarvi; e un mazzolino di alghe in una ciotola azzurra sul tavolino. Le pareti erano bianche come il latte, e il copripie-di di pezze di diverso colore abbagliava la vista con la sua lucentezza. Osservai specialmente una cosa in quella casa deliziosa, l’odore di pesce, che era così penetrante, che quando cavavo di tasca il fazzoletto per soffiarmi il naso, lo sentivo odorare esattamente come se avesse servito ad avvolgere un’aragosta. Avendo in confidenza partecipato questa scoperta a Peggotty, essa mi disse che suo fratello commerciava in aragoste, granchi e gamberi; e dopo vidi che un mucchio di quelle bestie, prodi-giosamente conglomerate insieme, e non mai più separate da ciò che avevano una volta attanagliato, si poteva di solito osservare in un piccolo vivaio di legno attiguo alla casa, dove si riponevano anche molti utensili di cu-59
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cina.
Una donna molto gentile, in grembiule bianco, che avevo visto sulla porta farci un inchino, stando ancora a cavallo di Cam, dalla distanza d’un quarto di miglio, ci diede il benvenuto. Ce lo diede anche una ragazzina bellissima (o almeno così mi parve), con una collana di perline azzurre, la quale non mi volle baciare quando io feci l’atto d’accostarmele, ma corse via a nascondersi.
Dopo, quando si fu desinato sontuosamente con dei pe-sciolini a lesso, burro fuso e patate, e una costoletta cotta specialmente per me, entrò in casa un uomo assai ca-pelluto e con una faccia assai gioviale. Siccome egli disse «Ragazza mia» a Peggotty e le diede un bacio cordiale e sonoro sulla guancia, io non ebbi il minimo dubbio, da quel suo modo di comportarsi, che non si trattasse del fratello; e infatti era proprio lui, perché mi fu presentato come il pescatore Peggotty, padrone di casa.
– Son tanto contento di vedervi – disse il pescatore Peggotty. – Voi ci troverete un po’ rozzi, signorino, ma siamo qui sempre pronti a servirvi.
Lo ringraziai, e gli risposi che ero certo che sarei stato felice in quella casa veramente deliziosa.
– Come sta la vostra mamma, signorino? – disse il pescatore Peggotty. – L’avete lasciata contenta?
Gli risposi che ella non poteva essere più contenta, e che gli mandava i suoi saluti – il che era una cortese suppo-60
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sizione da parte mia.
– Io le sono molto grato – disse il pescatore Peggotty. –
Ebbene, signorino, se volete star qui una quindicina di giorni... con lei... – accennando alla sorella – e con Cam e l’Emilietta, saremo orgogliosi della vostra compagnia.
Fatti gli onori di casa in questa maniera ospitale, il pescatore andò a lavarsi in un calderotto d’acqua calda, osservando che «la fredda non l’avrebbe liberato dal sudiciume». Tornò subito, molto migliorato nell’aspetto; ma così rubicondo, che non potei fare a meno dal pensare che il suo viso aveva la stessa natura delle aragoste, dei granchi e dei gamberi: andava nell’acqua calda molto nero e ne usciva molto rosso.
Dopo il tè, quando fu chiusa la porta e tutto fu più raccolto (le notti in quel periodo erano nebbiose e fredde) mi sembrò di stare nel più soave ritiro che mente umana potesse concepire. A sentire il vento salire dal mare, a saper che fuori la nebbia avvolgeva la pianura desolata, e a guardare il fuoco e pensare che lì d’intorno non c’era una casa oltre quell’una, e che quell’una era un battello, era un incanto. L’Emilietta aveva vinto la sua timidezza, e mi sedeva accanto sul baule più basso e più piccolo, che era abbastanza largo per noi due, ed era stato messo nell’angolo del caminetto. La signora Peggotty, col grembiule bianco, sferruzzava all’angolo opposto del focolare. Peggotty col suo lavoro d’ago si sentiva tanto ad agio col suo San Paolo e il suo moccolo di 61
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