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Non ti pare che sia un’idea bellissima?

– È simpatico tuo fratello, Peggotty? – chiesi prudentemente.

– Sì, che è simpatico! – esclamò Peggotty, levando le braccia. – E poi c’è il mare; e le barche e i bastimenti; e i pescatori; e la spiaggia; e Cam che ti farà divertire.

Quel programma di delizie mi accese il viso, e risposi che davvero sarebbe stata una cosa magnifica... ma che avrebbe detto mia madre?

– Ebbene, allora io sarei capace di scommettere una ghinea – disse Peggotty, intenta al mio viso – che ci lascerà andare. Glielo dirò, se tu vuoi, appena ritorna a casa. Va benissimo.

– Ma che farà quando non ci saremo? – dissi poggiando i gomiti sul tavolo per discutere quel punto. –

Non può rimaner sola.

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Peggotty, a un tratto, si mise in traccia d’un buco nel tallone della calza alla quale lavorava; ma doveva essere così microscopico, che non metteva conto di rammen-darlo.

– T’ho detto, Peggotty, ch’essa non può rimaner sola.

– Che Dio ti benedica! – disse Peggotty, finalmente, guardandomi di nuovo. – Non sai! Essa se ne va per una quindicina di giorni a stare con la signora Grayper. La signora Grayper deve avere tanti invitati.

Oh, se era così, io ero pronto a partire. Aspettai, con la massima impazienza, il ritorno di mia madre dalla casa della signora Grayper (era la vicina ch’ella visitava) per ottenere il permesso di mandare ad effetto la nostra grande idea. Senza sorprendersi quanto m’aspettavo, mia madre la valutò con grande rapidità; e quella sera stessa tutto fu accomodato e disposto per il pagamento del mio mantenimento e dell’alloggio durante la visita.

Arrivò presto il giorno della partenza. E fu un giorno così mattiniero, che arrivò presto anche per me, che l’aspettavo febbrilmente, con un vago timore che un terremoto o una montagna di fuoco, o qualche altra convulsione della natura, potesse interporsi e troncare la nostra spedizione. Dovevamo andare su un carro di vetturale, che partiva dopo l’ora di colazione. Avrei dato qualunque somma per avere il permesso di avvolgermi la sera in una coperta e dormire col cappello e le scarpe.

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Mi commuove anche ora ricordare, benché lo faccia scherzosamente, di quanta impazienza ardessi per lasciare la mia casa felice; e pensare quanto fossi lungi dal sospettare ciò che abbandonavo per sempre.

Son contento di ricordare che mentre il carro del vetturale aspettava innanzi al cancello, e mia madre vi s’indugiò per baciarmi, l’affetto riconoscente per lei e per il vecchio luogo al quale non avevo mai voltato le spalle prima, mi fece piangere. Son contento di sapere che anche mia madre piangeva, e che sentivo il cuor suo battere contro il mio.

Son contento di ricordare che quando il carro cominciò a muoversi, mia madre uscì in fretta fuor del cancello, gridando al vetturale di fermare, per potermi baciare ancora una volta. Son contento di indugiarmi sull’ardore e l’amore con cui ella mi levò al suo viso per baciarmi.

Come la lasciammo ritta sulla strada, il signor Murdstone le arrivò da presso, e parve che le facesse delle rimostranze per quella commozione. Guardavo indietro dall’apertura del carro, e mi domandavo che cosa accadesse. Anche Peggotty, che guardava dall’altro lato, non parve per nulla soddisfatta, come dimostrò il viso che riportò indietro nel carro.

Stetti a fissare Peggotty per qualche tempo, fantastican-do su questa ipotesi: se avrei saputo, dato che ella fosse incaricata di perdermi come il bambino del racconto 52

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delle fate, ritrovar la via di casa seguendo i bottoni ch’essa andava disseminando per strada.

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III.

LA CASA SUL MARE

Il cavallo del vetturale era, direi, la bestia più pigra del mondo, e si trascinava innanzi a testa bassa, come se gli piacesse di far attendere le persone alle quali erano diretti gl’involti ed i pacchi. Veramente m’immaginavo ch’esso a volte, divertito da quest’idea, sogghignasse percettibilmente, ma il vetturale lo diceva afflitto dalla tosse.

Il vetturale aveva un modo di tenere la testa bassa che somigliava stranamente a quello del cavallo, e di cadere addormentato col mento in giù, mentre guidava con le braccia sulle ginocchia. Dico guidava, ma mi persuasi che il carro sarebbe andato benissimo a Yarmouth senza di lui, perché era il cavallo che faceva tutto; e quanto al-l’idea della conversazione, credo che il vetturale la limi-tasse semplicemente al fischio.

Peggotty aveva un paniere di provviste sulle ginocchia, che ci sarebbero durate un bel pezzo, se avessimo dovuto recarci a Londra con lo stesso veicolo. Mangiammo molto e dormimmo molto. Peggotty s’addor-mentava sempre col mento sul manico del paniere; e non avrei mai creduto, se non l’avessi udita con le mie 54

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orecchie, che una debole donna potesse russare tanto.

Facemmo tanti giri e rigiri per tante strade e ci trattenemmo tanto per la consegna d’un letto a un albergo e per visitare altri posti, che mi sentivo assolutamente stanco e fui più che lieto quando arrivammo in vista di Yarmouth. Come volsi l’occhio alla grande e triste pianura che si stendeva oltre il fiume, mi parve che fosse piuttosto umida e spugnosa, e non potei fare a meno di domandarmi se veramente il mondo fosse così rotondo come diceva il mio libro di geografia, giacché ne vedevo tanta parte così piana; ma pensai che Yarmouth poteva essere situata su uno dei poli, e la cosa si spiegava.

Come ci avvicinammo un po’ più, e vidi l’orizzonte tracciare una linea bassa e lunga sotto il cielo, accennai a Peggotty che una collinetta o un poggetto avrebbe certamente contribuito molto ad abbellire il paesaggio. Sarebbe stato anche meglio se la terra fosse stata un po’

più separata dal mare, e la città e la marea non fossero state tanto mischiate, come nella zuppa il pane e l’acqua. Ma Peggotty si espresse con maggior energia del solito, dicendomi che dobbiamo accettare le cose come le troviamo, e che per conto suo era orgogliosa di essere nata a Yarmouth.

Quando arrivammo nella via, che mi presentò uno spettacolo abbastanza nuovo, e sentimmo l’odor del pesce, e della pece, e della stoppa e del catrame, e vedemmo passare i marinai, e i carri tintinnanti che andavano su e giù 55

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sul selciato, capii d’aver giudicato male un paese così industrioso, e lo dissi a Peggotty, che udì le mie espressioni di gioia con gran compiacenza e mi disse che già si sapeva (da quelli, immagino, che avevano avuto la fortuna di nascere a Yarmouth) che dopo tutto Yarmouth era il più bel paese dell’universo.

– Ecco il mio Cam – strillò Peggotty – cresciuto tanto che non si riconosce più!

Egli ci aspettava infatti all’albergo e mi domandò come stavo, come a una vecchia conoscenza. Io non compresi in principio che lo conoscevo perfettamente, come lui conosceva me, perché non era venuto più in casa mia dalla sera della mia nascita, e naturalmente questo era un vantaggio ch’egli aveva su di me. Ma la nostra intimità progredì molto col suo semplice atto di prendermi sulle spalle per portarmi fino in casa sua.

Egli era allora un giovine grande e forte, alto sei piedi, largo in proporzione, e con le gambe rotonde, ma col viso d’un fanciullo ingenuo, e certi riccioli biondi che gli davano l’aria d’un agnellino. Era vestito d’una giacca di tela e un paio di calzoni così stretti, che sarebbero stati benissimo soli senza le gambe di dentro; e non si poteva dire veramente che portasse un cappello, giacché aveva la testa coperta come una vecchia fabbrica, con qualche cosa di incatramato.

Con Cam che portava me a cavalluccio e un nostro pacchetto sotto il braccio, e Peggotty che ne portava un al-56

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