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– È il cognome – disse mia madre con un filo di voce. –

Mio marito la chiamava così, perché si chiama Clara come me.

– Peggotty! – gridò la signora Betsey, spalancando la porta del salotto. – Porta il tè. La tua padrona si sente male. Sbrigati.

Dato quest’ordine con la stessa energia e la stessa autorità di chi in quella casa, fin dalla sua costruzione, avesse supremo e indiscusso comando, e data un’occhiata nel corridoio per vedervi uscire, al suono della voce estranea, Peggotty meravigliata con una candela in mano, la signora Betsey richiuse la porta, e andò a sedersi nello stesso atteggiamento di prima: i piedi sull’alare, l’orlo della veste rimboccato, e le mani congiunte su un ginocchio.

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– Stavi dicendo che dovrebbe essere una bambina – disse la signora Betsey. – Non mi contraddire. Dal momento della nascita di questa bambina, io intendo di esser la sua protettrice. Intendo di tenerla a battesimo, e ti prego di chiamarla Betsey Trotwood Copperfield. Non si debbono commettere errori nella vita di «questa» Betsey Trotwood. I sentimenti di lei, poverina, non debbono esser presi alla leggera. Si deve guidarla bene, e bene avvertirla di non aver scioccamente fiducia di chi non la merita. A questo ci penserò io.

A ciascuna di queste sentenze la signora Betsey aveva scosso il capo, come se i torti da lei sofferti si fossero ri-destati in lei, ed essa si fosse sforzata di non alludervi più chiaramente. Almeno così sospettò mia madre, mentre l’osservava al tenue chiarore del fuoco: troppo paurosamente soggiogata dalla signora Betsey, e troppo sofferente e sconvolta per conto proprio, per osservar qualcosa con chiarezza e saper ciò che dire.

– E Davide era buono con te, piccina mia? – chiese la signora Betsey, dopo essere stata un po’ in silenzio, cessando dallo scuotere il capo. – Stavate bene insieme?

– Eravamo felici – disse mia madre. – Mio marito anzi era troppo buono per me.

– Ti viziava forse? – rispose la signora Betsey.

– Ora che sono di nuovo sola e padrona di me in questo tristo mondo, temo di sì – singhiozzò mia madre.

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– Su! Non piangere! – disse la signora Betsey. – Non eravate bene appaiati, piccina mia... Chi sa poi se due persone possano mai essere bene appaiate... ecco perché t’ho fatto questa domanda. Tu eri orfana, non è vero?

– Sì!

– Facevi la governante?

– Ero governante in una famiglia frequentata dal signor Copperfield. Il signor Copperfield era molto gentile con me, e mi prese molto a cuore, e si mostrò molto sollecito del mio bene, e finalmente domandò la mia mano. E

io dissi di sì. E così ci sposammo – disse mia madre con semplicità.

– Ah, povera piccina! – pensava la signora Betsey, con le sopracciglia aggrottate verso il fuoco. – Sai fare qualche cosa?

– Vi domando scusa, signora – balbettò mia madre.

– Sai come si tiene la casa, per esempio? – disse la signora Betsey.

– Non molto, temo – rispose mia madre. – Non tanto come sarebbe mio desiderio. Ma mio marito mi stava in-segnando...

(– Ne sapeva molto anche lui!) – disse la signora Betsey in parentesi.

– E forse avrei progredito, perché aveva molta pazienza nel guidarmi; ma la gran disgrazia della sua morte... –

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Mia madre scoppiò di nuovo a piangere, e non poté proseguire.

– Su, su! – disse la signora Betsey.

– Io tenevo la nota delle spese regolarmente, e la mettevo in ordine ogni sera con mio marito – pianse mia madre in un altro scoppio di angoscia.

– Su, su! – disse la signora Betsey. – Non piangere più.

– E vi assicuro che tra noi non ci fu mai la minima discussione sui conti, tranne quando mio marito mi diceva che i miei tre e i miei cinque si somigliavano troppo, e che era inutile arricciar le code ai sette e ai nove – ripigliò mia madre in un altro scoppio di pianto, che di nuovo l’interruppe.

– Così ti ammalerai – disse la signora Betsey – e sai che non sarà bene né per te, né per la mia figlioccia. Su, ché non sta bene.

Quest’argomento contribuì a calmare mia madre, ma il suo malessere che aumentava v’ebbe forse una parte maggiore. Vi fu un intervallo di silenzio, rotto soltanto dalle esclamazioni della signora Betsey, che stando coi piedi sull’alare, diceva ogni tanto: «Ah!».

– Davide, col suo denaro – essa disse, dopo un poco –

s’era costituita una rendita vitalizia, a quanto so. Che cosa ti ha lasciato?

– Mio marito – disse mia madre, rispondendo con qual-20

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che difficoltà – ebbe tanta considerazione e fu così buono per me da assicurarmene la successione di una parte.

– Quanto? – chiese la signora Betsey.

– Centocinque sterline all’anno – disse mia madre.

– Avrebbe potuto far peggio – disse mia zia. La parola era appropriata al momento. Mia madre aveva tanto peggiorato che Peggotty, entrando col vassoio del tè e le candele, e vedendo a un’occhiata come stava la padrona

– la signora Betsey se ne sarebbe accorta prima, se ci fosse stata abbastanza luce – la trasportò in gran fretta nella camera del primo piano, e mandò immediatamente Cam Peggotty, suo nipote, che da alcuni giorni era rimasto nascosto in casa, all’insaputa di mia madre, come speciale messaggero in caso di necessità, a chiamare l’infermiera e l’ostetrico.

Queste potenze alleate furono alquanto meravigliate, arrivando a pochi minuti di distanza l’una dall’altra, di trovare seduta, accanto al fuoco una signora sconosciuta, di sinistro aspetto, che aveva il cappellino legato intorno al braccio sinistro, e si tappava le orecchie con dell’ovatta. Stava nel salotto come una specie di mistero, perché Peggotty non sapeva nulla di lei, e mia madre non le aveva detto nulla: e il fatto che ella portava in tasca un magazzino di ovatta, e se la ficcava a quel modo nelle orecchie, non diminuiva la solennità della sua presenza.

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Are sens