rispose il signor Murdstone; – ma credo che in generale 45
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non sia favorevole.
Vi furono nuove risate, e il signor Quinion disse di voler sonare il campanello per far portare il vino con cui brindare a Brooks. E sonò, e quando venne il vino, me ne fece dare un po’ con un biscotto, e prima che lo bevessi, m’invitò a levarmi in piedi e a dire: «Abbasso Brooks di Sheffield!» Il brindisi fu salutato da applausi strepitosi e da risate così aperte che dovetti ridere an-ch’io, facendoli ridere più strepitosamente di prima. Insomma, ci fu un’allegria pazza.
Dopo, andammo a passeggiare sullo scoglio, e ci sedemmo sull’erba, e guardammo il paesaggio a traverso un telescopio. Quando toccò a me d’avvicinar l’occhio alla lente, non riuscii a distinguere nulla; ma finsi di vedervi chiaramente. Poi ritornammo all’albergo per la colazione. In tutto il tempo che ci trattenemmo fuori, i due signori fumarono continuamente – cosa, pensai, a giudicare dall’odore delle loro casacche, che essi avevano dovuto fare da quando quelle erano uscite dalla bottega del sarto. Non debbo dimenticare che ci recammo a bordo del battello, dove tutti e tre discesero nella cabina, e si occuparono con delle carte. Li vidi gravemente intenti, quando guardai giù per lo spiraglio aperto. Mi avevano lasciato, nel frattempo, con un brav’uomo, che aveva una grossa testa di capelli rossi, sormontata da un picco-lissimo cappello rosso, lucido, e una maglia o farsetto addosso, che portava scritto «Allodola» in lettere maiu-46
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scole, attraverso il petto. Credetti che fosse quello il suo nome, e che vivendo a bordo e non avendo la porta di casa su cui metterlo, se lo fosse applicato sullo stomaco; ma quando lo chiamai «signor Allodola», mi rispose che quello era il nome della nave.
Osservai tutto il giorno che il signor Murdstone si mostrava più grave e tranquillo degli altri due signori, i quali, allegri e spensierati, scherzavan liberamente l’un con l’altro, ma di rado con lui. Mi sembrava che egli fosse più scaltro e più freddo di loro, e che essi lo guar-dassero con qualche cosa del mio stesso sentimento.
Notai una o due volte, che il signor Quinion, nell’atto di parlare, guardava di sottecchi il signor Murdstone, come per assicurarsi di non dispiacergli; e che una volta che il signor Passnidge (l’altro compagno) parlava con qualche ardore, gli pestò il piede, accennandogli furtivamente con l’occhio di osservare il signor Murdstone, che se ne stava in atto grave e silenzioso. Né ricordo che il signor Murdstone ridesse mai quel giorno, eccetto allo scherzo su Sheffield – che poi era suo.
Tornammo a casa presto la sera. Era una bella sera, e mia madre e lui sì concessero un’altra passeggiata accanto alla siepe di rose canine, dopo che m’ebbero spedito a prendere il tè. Quand’egli se ne fu andato, mia madre mi domandò tante cose sulla mia escursione, e su quello che s’era detto e quello che s’era fatto. Le narrai ciò che era stato detto di lei, ed ella si mise a ridere, as-47
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serendo che erano degli sfrontati che dicevano delle sciocchezze – ma io vedevo che n’era soddisfatta. Lo sapevo perfettamente come lo so ora. Colsi l’occasione per domandarle se per caso conoscesse il signor Brooks di Sheffield, ma rispose di no, e immaginò soltanto che fosse un fabbricante di coltelli e di forchette.
Posso io dir del viso di lei – alterato come ho ragione di ricordarlo, perito come lo conosco – che se ne sia andato, se in questo momento appare ai miei occhi distinto come qualunque altro viso che io scelga di guardare in una via popolosa? Posso dire della sua innocente e infantile bellezza appassita e dileguata, se il suo respiro m’alita sulle guance adesso, come m’alitava quella sera?
Posso io dire che ella si sia mutata, se la mia memoria la richiama in vita, così com’era; e, più fedele all’amor della sua giovinezza di quanto io sia stato, od altri fosse mai, ancora conserva tenace ciò che già predilesse?
Scrivo di lei appunto com’ella m’apparve quando andai a letto dopo quella conversazione, e mi venne a dar la buona notte. Essa s’inginocchiò lietamente accanto al letto, e mettendosi il mento sulle mani, e ridendo, disse:
– Che cosa hanno detto, Davy? Ridimmelo. Non posso crederlo.
– L’affascinante... – io cominciai.
Mia madre mi mise le mani sulla bocca per fermar-48
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mi.
– Non hanno detto affascinante – ella disse, ridendo.
– Non han potuto dire affascinante, Davy. So che non hanno detto così.
– Sì, così. «L’affascinante signora Copperfield» – ripetei con fermezza. – E poi t’hanno chiamata bella.
– No, no, non hanno detto bella. No, bella – interruppe mia madre, mettendomi di nuovo le dita sulle labbra.
– Sì, così. «La bella vedovella».
– Stupidi sfrontati! – esclamò mia madre, ridendo e coprendosi il viso. – Che ridicoli! Non è vero? Caro Davy...
– Bene, mamma...
– Non lo dire a Peggotty: s’adirerebbe con loro.
Sono terribilmente adirata con loro anch’io; ma è meglio che Peggotty non lo sappia.
Promisi, naturalmente, e ci baciammo tante e tante volte, e subito dopo mi addormentai.
A tanta distanza di tempo, mi sembra che fosse il giorno dopo che Peggotty arrischiò la strana e avventu-rosa proposta che m’accingo a ricordare; ma probabilmente fu due mesi dopo.
Sedevamo una sera come prima (e mia madre era 49
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fuori come prima) in compagnia della calza e della fet-tuccina della misura nella casettina col tetto di paglia, e del moccolo di cera, e della scatola con San Paolo sul coperchio, e del libro dei coccodrilli, quando Peggotty, dopo avermi guardato parecchie volte, aprendo la bocca come se stesse per parlare – atto che credevo fosse un principio di sbadiglio, ché diversamente mi sarei impensierito – disse in tono carezzevole:
– Caro Davy, ti piacerebbe di venir con me a Yarmouth a passare una quindicina di giorni a casa di mio fratello?