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– Morto, signor Peggotty.

– Annegato – disse il pescatore.

Sentivo la difficoltà di riannodare il soggetto, ma non ancora ne avevo visto il fondo, e volevo, a ogni costo, arrivarci. Così dissi:

– Non avete avuto figli, signor Peggotty?

– No, signorino – rispose, con una breve risata; –

sono scapolo.

– Scapolo! – dissi stupito. – E allora quella chi è, signor Peggotty? – E indicai la donna dal grembiule che lavorava la calza.

– È la signora Gummidge – disse il pescatore.

– Gummidge, signor Peggotty?

Ma a questo punto Peggotty – intendo Peggotty mia 63

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– mi fece tali cenni imperativi di non muovere altre domande, che non potei far altro che rimanere a sedere contemplando la famiglia silenziosa, finché non fu l’o-ra di andare a letto. Allora, nell’intimità della mia minuscola cabina, ella m’informò che Cam ed Emilia erano due nipoti orfanelli che il mio ospite aveva adottato in diverso tempo, quando erano rimasti soli e abbandonati; e che la signora Gummidge era la vedova di un suo socio in una barca, morto in povertà. Anche suo fratello era un povero diavolo, diceva Peggotty, ma buono come l’oro e fedele come l’acciaio – ripeto le sue similitudini. Il solo argomento, ella mi disse, che lo faceva uscir dai gangheri fino a farlo bestemmiare, era quello della sua generosità; e se mai qualcuno di loro vi alludeva, egli assestava con la destra un violento pugno alla tavola (una volta ne aveva spaccata una) e diceva con una tremenda minaccia che se se ne parlava un’altra volta, egli voleva essere... se non piantava tutti in asso e non se ne andava sul serio. Nessuno sapeva a che genere di tormento alludesse quella tremenda sospensione, ma tutti eran d’accordo nel ritenerla un’imprecazione formidabile.

Molto commosso dalla bontà del mio ospite, e in una beata condizione di spirito, fatta più dolce dalla mia sonnolenza, sentii le donne andare a letto in una cabina simile alla mia all’estremità opposta del battello, e lui e Cam sospendere per sé due amache agli uncini da me osservati nel soffitto. Come il sonno gradatamente mi 64

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vinceva, udivo il vento urlare sul mare e correre sulla pianura con tanta violenza, che mi prese un vago sgomento della vasta profondità della notte. Ma mi consolai pensando che, dopo tutto, ero in un battello; e che, per qualunque evento, c’era a bordo una persona come il pescatore Peggotty. Non si diede, però, alcun evento peggiore della mattina, la quale non sì tosto rifulse sulla cornice di conchiglie dello specchio, che mi vide fuori di casa con l’Emilietta a raccogliere sassolini sulla spiaggia.

– Tu sei marinara immagino? – dissi all’Emilia.

Non che io immaginassi nulla di simile, ma mi parve un atto di galanteria dir qualche cosa: una lucida vela accanto a noi si riproduceva, in quell’istante, con così leggiadra miniatura nei di lei occhi, che quella domanda mi venne spontanea.

– No – rispose Emilia – io ho paura del mare.

– Paura! – dissi con una certa aria d’audacia, guardando spavaldo il possente oceano. – Io invece non ho paura.

– Ah, il mare è cattivo – disse l’Emilia. – È stato molto crudele con alcuni dei nostri uomini. Io l’ho visto fare a pezzi un battello grosso come casa nostra.

– Spero che non era quello in cui...

– In cui annegò mio padre? – disse Emilia. – Quello non l’ho visto mai.

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– E lui? – io le chiesi. L’Emilietta scosse il capo:

– Io non me lo ricordo.

Quale coincidenza! Le spiegai immediatamente che neppur io avevo visto mai mio padre; e come mia madre e io fossimo vissuti sempre insieme perfettamente felici, e vivessimo così ancora, e sperassimo di continuare sempre allo stesso modo; e come la tomba di mio padre fosse nel cimitero accanto a casa nostra, all’ombra di un albero sotto il quale io andavo molte mattine a passeggio e sentivo cantare gli uccelli. Mi sembrava però che ci fosse qualche differenza tra la mia condizione di orfano e quella dell’Emilia. Essa aveva perduto la madre prima del padre; e nessuno sapeva dove fosse la tomba del padre; si sapeva solo che era in qualche parte nelle profondità del mare.

– E poi – disse Emilia, mentre si chinava in cerca di conchiglie e di sassolini – tuo padre era un signore e tua madre è una signora; e mio padre era un pescatore e mia madre era una figlia di pescatori, e mio zio Daniele è un pescatore.

– Daniele non è il signor Peggotty? – dissi.

– Sì, zio Daniele – rispose Emilia, con un cenno alla casa-battello.

– Sì, dicevo lui. Dev’essere molto buono tuo zio, credo.

– Buono! – disse Emilia. – Se fossi una signora, gli re-66

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galerei un abito azzurro con bottoni di diamanti, un paio di calzoni di cotone, un farsetto di velluto rosso, un tricorno, un grande orologio d’oro, una pipa d’argento, e una cassetta piena di soldi.

Risposi che ero più che persuaso che il signor Peggotty meritasse tutti quei tesori. Debbo aggiungere che m’era difficile figurarmelo a suo agio nel costume immaginato per lui dalla nipote riconoscente, e che dubitavo specialmente dell’opportunità del tricorno; ma tenni celate in me queste mie opinioni.

L’Emilietta si era fermata a guardare il cielo nell’enu-merazione dei suoi doni, come se formassero una visione di gloria. Continuammo a camminare, raccogliendo conchiglie e sassolini.

– Ti piacerebbe d’essere una signora? – dissi.

Emilia mi guardò, e rise, e accennò di sì.

– Mi piacerebbe moltissimo. Noi tutti saremmo signori, allora. Io, e lo zio e Cam e la signora Gummidge. Non ci importerebbe allora se facesse burrasca. Per noi, voglio dire. Ma certamente ci importerebbe per i poveri pescatori, e li aiuteremmo col nostro denaro in caso di disgrazie.

Questo m’apparve un quadro assai soddisfacente, e perciò non del tutto improbabile. Espressi il mio piacere ad Emilia, la quale si senti il coraggio di dire, pur con una certa esitazione:

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– Non credi d’aver paura del mare, ora? Esso era abbastanza calmo per rassicurarmi, ma confesso che se avessi visto corrermi incontro un’onda anche di mediocre volume, me la sarei data subito a gambe, pensando ai parenti annegati dell’Emilia. Pure dissi: «No», e aggiunsi: «Neanche tu n’hai paura, benché tu dica di sì» –

giacché in quell’istante ella camminava sull’orlo d’una vecchia gettata o ponticello di legno sul quale eravamo saliti, ed io temevo di vederla cadere.

– Non ne ho paura come intendi tu – disse l’Emilietta. –

Are sens