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– Mandarmici! Ma non ho bisogno d’esserci mandato – rispose il pescatore Peggotty con un onesto sorriso.

– Ci vado tanto volentieri.

– Volentierissimo – disse la signora Gummidge, scotendo la testa e asciugandosi gli occhi. – Sì, sì, volentierissimo. Mi dispiace che per causa mia tu ci vada tanto volentieri.

– Per causa tua! Non è per causa tua – disse il pescatore Peggotty. – Non ti mettere queste idee in testa.

– Sì, sì, proprio così – esclamò la signora Gummidge. – Mi conosco io. So che sono una povera donna sola e abbandonata, e che non solo ogni cosa mi va di traverso, ma che io vado di traverso a tutti. Sì, sì, io lo sento più degli altri, e lo mostro di più. È la mia disgrazia.

Veramente non potevo fare a meno dal pensare, assi-74

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stendo a quella scena, che la disgrazia s’estendeva, oltre che alla signora Gummidge, agli altri componenti della famiglia. Ma il pescatore Peggotty non rispose così, incoraggiò soltanto la signora Gummidge a lasciare da parte le malinconie e a stare allegra.

– Io non so ciò che vorrei essere – disse la signora Gummidge. – Mi conosco io. Le mie pene m’hanno fatto diventare noiosa. Io sento le mie pene, e so che mi fanno noiosa. Vorrei non sentirle, ma non posso. Vorrei abi-tuarmici, ma non posso. In casa io non do che fastidi, lo so bene. Ho infastidito tutto il giorno tua sorella e il signorino Davy.

A questo io mi commossi subito, e gridai: «No, no, signora Gummidge», con grande angoscia per lei.

– Non è giusto da parte mia trattarvi così – disse la signora Gummidge. – Non è il compenso che vi meritate. Farei bene d’andar nell’ospizio a morirvi. Sono una povera donna sola e abbandonata, e farei bene di non rimanere qui a infastidirvi. Se le cose mi infastidiscono, e io mi debbo infastidire, è meglio che me ne vada a infastidire l’ospizio. Daniele, è meglio andare a morire nell’ospizio, e liberarti di me.

Detto questo, la signora Gummidge si ritirò per andare a coricarsi. Quando se ne fu andata, il pescatore Peggotty, che non aveva, nel frattempo, mostrato indizio di altro sentimento che della più profonda simpatia, ci guardò 75

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tutti in giro, e tentennando il capo con una viva espressione di quel sentimento che ancora gli animava il viso, disse con un filo di voce:

– Ha pensato al vecchio.

Non arrivai a comprendere qual fosse il vecchio che probabilmente aveva attratto i pensieri della signora Gummidge, che più tardi, quando Peggotty, accompa-gnandomi a letto, mi spiegò che era il pescatore defunto Gummidge; e che suo fratello, in simili occasioni, accettava la cosa come una verità incontestabile, e n’era sempre commosso. Quella sera stessa, poco dopo ch’egli si fu adagiato nell’amaca, lo udii ripetere: «Poveretta, essa ha pensato al vecchio!». E tutte le volte che la signora Gummidge si mostrava abbattuta nella stessa maniera durante la nostra permanenza colà, egli diceva sempre la stessa cosa come circostanza attenuante, e sempre con la più tenera commiserazione.

Così passò la quindicina, senz’altra variazione che quella della marea, la quale spostava le uscite e le entrate del pescatore Peggotty, e spostava anche le occupazioni di Cam. Quando quest’ultimo non aveva nulla da fare, veniva a passeggio con noi per mostrarci i battelli e i bastimenti, e una o due volte ci portò in barca. Io non so perché una tenue serie d’impressioni si debba associare piuttosto con un luogo che con un altro, benché io sia convinto che questo avvenga a molti, riguardo specialmente alle loro memorie d’infanzia. Io, per esempio, 76

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non odo o non leggo mai il nome di Yarmouth che non mi ricordi di una certa mattina di domenica sulla spiaggia: le campane invitavano in chiesa, l’Emilietta si appoggiava al mio fianco, Cam si divertiva a gettare delle pietre nell’acqua, e il sole, lontano sul mare, rompeva la fitta nebbia e ci mostrava i bastimenti come se fossero stati le loro ombre.

Alla fine arrivò il giorno del mio ritorno a casa. Io m’adattavo al distacco dal pescatore Peggotty e dalla signora Gummidge; ma la mia angoscia al pensiero di dover lasciare l’Emilietta era straziante. Ci recammo a braccetto all’albergo dove aspettava il vetturale, e per la strada le promisi di scriverle. (Mantenni la promessa con una scrittura più vistosa di quella con cui di solito si avvisa il passante che ci sono appartamenti da appigionare). Eravamo gravemente abbattuti al momento della partenza; e se mai nella mia vita sentii un vuoto in cuore, fu proprio quel giorno.

Ora, in tutto il tempo della mia assenza, ero stato di nuovo ingrato verso casa mia, avendoci pensato poco o nulla. Ma non appena sulla via del ritorno, la mia coscienza infantile mi sollecitò con la faccia austera del rimprovero; e, con la convinzione d’esser colpevole, sentì che casa mia era il mio nido, e che mia madre m’e-ra confortatrice ed amica.

Questo sentimento diventava più vivo, a misura che andavo innanzi. Più familiari mi diventavano i luoghi che 77

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incontravo, più acuta si faceva l’ansia di arrivare e di correre nelle sue braccia. Ma Peggotty, invece di partecipare a questi trasporti, tentava di frenarli (benché con molta dolcezza) e si mostrava confusa e impacciata.

A suo dispetto sarebbe apparso, finalmente, il Piano delle Cornacchie, quando al cavallo fosse piaciuto, e apparve. Come lo ricordo bene, in un grigio pomeriggio, sotto un cielo triste e piovoso!

La porta s’aprì, e un po’ ridendo e un po’ piangendo di dolce commozione, cercai mia madre. Invece di lei, c’e-ra una domestica che non conoscevo.

– Ebbene, Peggotty – dissi a precipizio? – non è tornata a casa?

– Sì, sì, Davy – disse Peggotty. – È tornata. Aspetta un po’, Davy; ti debbo... ti debbo dire una cosa.

Per l’agitazione che l’aveva invasa e per la sua poca abilità nel discendere dal carro, Peggotty ebbe un istante l’aspetto d’uno strano festone; ma mi sentivo troppo sconvolto per farglielo rilevare. Quand’ella fu discesa, mi prese per la mano; mi condusse – e io mi domandavo perché – nella cucina, e chiuse la porta.

– Peggotty – dissi atterrito. – Che c’è?

– Nulla, Dio ti benedica, caro Davy! – ripeté Peggotty.

– Sì, perché non è venuta ad aspettarmi al cancello, e perché siamo entrati qui? Oh, Peggotty! – I miei occhi 78

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erano gonfi, e sentivo d’esser sul punto di stramazzare al suolo.

– Dio ti benedica, caro piccino! – esclamò Peggotty, so-stenendomi. – Che hai? Parla, tesoro mio!

– Non è morta! Oh, non è morta, Peggotty? Peggotty gridò «No», con uno stupefacente volume di voce, e poi si sedette e cominciò col respiro mozzo a dire che le avevo fatto venire un colpo.

Io le diedi un abbraccio da farle andar via il colpo, o da darle un altro colpo nella direzione giusta, e poi me le piantai dinanzi, guardandola con un’ansiosa domanda negli occhi.

– Vedi, caro, avrei dovuto dirtelo prima – cominciò Peggotty – ma non ne ho avuto l’occasione. Avrei dovuto farlo, forse, ma non ho saputo decidermi.

– Continua, Peggotty – dissi, più spaventato di prima.

– Caro Davy – disse Peggotty, sciogliendosi il cappello con un gesto energico, e parlando quasi come se le mancasse il respiro. – Che credi mai, tu hai un papà!

Tremai, e diventai bianco. Qualche cosa – non so che, o come – connesso con la tomba del cimitero e il risveglio dei morti, parve colpirmi come una raffica insana.

– Uno nuovo – disse Peggotty.

– Uno nuovo? – ripetei.

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Are sens