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cera, che sembrava non avesse mai dimorato sotto diverso tetto. Cam, che m’aveva dato una prima lezione di giuoco, con un mazzo di carte sudice, tentava di ricordarsi il metodo di indovinar la ventura con le stesse carte, e lasciava l’impronta del pollice su tutte quelle che voltava. Il pescatore Peggotty fumava la pipa.
– Signor Peggotty! – dico io. – Signorino –
dice lui.
– Avete dato a vostro figlio il nome di Cam, perché abitate in una specie d’arca?
Il pescatore parve assorto in un’idea profonda, ma rispose:
– No, signore. Il nome non gliel’ho dato io.
– Chi glielo ha dato, allora? – dissi, facendogli la domanda numero due del catechismo.
– Suo padre, signorino – disse il pescatore Peggotty.
– Credevo che suo padre foste voi!
– Suo padre era mio fratello Giuseppe – disse il pescatore Peggotty.
– Morto, signor Peggotty – accennai dopo una pausa rispettosa.
– Annegato – disse il pescatore Peggotty.
Fui molto meravigliato che il pescatore Peggotty non fosse il padre di Cam, e cominciai a domandarmi se si-62
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milmente non m’ingannassi sulle sue relazioni di parentela con tutti gli altri presenti. Ero tanto curioso di saperlo, che risolsi di farmelo dire.
– E l’Emilietta – dissi, dandole un’occhiata – non è vostra figlia, signor Peggotty?
– No, signore. Suo padre era mio cognato Tommaso.
E non potei fare a meno dall’accennare, dopo un’altra rispettosa pausa:
– Morto, signor Peggotty.
– Annegato – disse il pescatore.
Sentivo la difficoltà di riannodare il soggetto, ma non ancora ne avevo visto il fondo, e volevo, a ogni costo, arrivarci. Così dissi:
– Non avete avuto figli, signor Peggotty?
– No, signorino – rispose, con una breve risata; –
sono scapolo.
– Scapolo! – dissi stupito. – E allora quella chi è, signor Peggotty? – E indicai la donna dal grembiule che lavorava la calza.
– È la signora Gummidge – disse il pescatore.
– Gummidge, signor Peggotty?
Ma a questo punto Peggotty – intendo Peggotty mia 63
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– mi fece tali cenni imperativi di non muovere altre domande, che non potei far altro che rimanere a sedere contemplando la famiglia silenziosa, finché non fu l’o-ra di andare a letto. Allora, nell’intimità della mia minuscola cabina, ella m’informò che Cam ed Emilia erano due nipoti orfanelli che il mio ospite aveva adottato in diverso tempo, quando erano rimasti soli e abbandonati; e che la signora Gummidge era la vedova di un suo socio in una barca, morto in povertà. Anche suo fratello era un povero diavolo, diceva Peggotty, ma buono come l’oro e fedele come l’acciaio – ripeto le sue similitudini. Il solo argomento, ella mi disse, che lo faceva uscir dai gangheri fino a farlo bestemmiare, era quello della sua generosità; e se mai qualcuno di loro vi alludeva, egli assestava con la destra un violento pugno alla tavola (una volta ne aveva spaccata una) e diceva con una tremenda minaccia che se se ne parlava un’altra volta, egli voleva essere... se non piantava tutti in asso e non se ne andava sul serio. Nessuno sapeva a che genere di tormento alludesse quella tremenda sospensione, ma tutti eran d’accordo nel ritenerla un’imprecazione formidabile.
Molto commosso dalla bontà del mio ospite, e in una beata condizione di spirito, fatta più dolce dalla mia sonnolenza, sentii le donne andare a letto in una cabina simile alla mia all’estremità opposta del battello, e lui e Cam sospendere per sé due amache agli uncini da me osservati nel soffitto. Come il sonno gradatamente mi 64
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vinceva, udivo il vento urlare sul mare e correre sulla pianura con tanta violenza, che mi prese un vago sgomento della vasta profondità della notte. Ma mi consolai pensando che, dopo tutto, ero in un battello; e che, per qualunque evento, c’era a bordo una persona come il pescatore Peggotty. Non si diede, però, alcun evento peggiore della mattina, la quale non sì tosto rifulse sulla cornice di conchiglie dello specchio, che mi vide fuori di casa con l’Emilietta a raccogliere sassolini sulla spiaggia.
– Tu sei marinara immagino? – dissi all’Emilia.
Non che io immaginassi nulla di simile, ma mi parve un atto di galanteria dir qualche cosa: una lucida vela accanto a noi si riproduceva, in quell’istante, con così leggiadra miniatura nei di lei occhi, che quella domanda mi venne spontanea.
– No – rispose Emilia – io ho paura del mare.