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David Copperfield

con rapido gesto.

Il dottor Chillip dopo questo non poté far altro che sedere e guardarla timidamente, mentre essa sedeva e fissava il fuoco, finché non fu richiamato su. Dopo un quarto d’ora d’assenza, ritornò.

– Bene? – chiese mia zia, togliendosi il cotone dall’orecchio più vicino ai dottore.

– Bene, signora – rispose il signor Chillip; – stiamo...

stiamo progredendo lentamente.

– Ba... a-ah! – disse mia zia, interrompendolo con quell’

espressione di disprezzo. E si tappò come prima.

Veramente... veramente – come disse il signor Chillip a mia madre – egli, parlando soltanto sotto l’aspetto professionale, era quasi indignato. Pur tuttavia continuò a guardarla per quasi due ore seduta a contemplare il fuoco, finché non fu chiamato su di nuovo. Dopo, ritornò.

– Bene? – disse mia zia, cavandosi di nuovo l’ovatta dallo stesso lato.

– Bene, signora – rispose il signor Chillip – stiamo...

stiamo progredendo lentamente, signora. .

– Ah... h... h! – disse mia zia, con un ringhio tale, che il dottore non poté assolutamente sopportarlo. Pareva che ella avesse assolutamente lo scopo di farlo uscir dai gangheri, come narrò dopo. Egli preferì d’andarsene al piano di sopra e sedersi al buio e in una impetuosa 23

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corrente di aria, in attesa d’una nuova chiamata.

Cam Peggotty, che frequentava la scuola nazionale ed era attentissimo alla lezione di catechismo, e perciò testimone degno di fede, narrava il giorno appresso che egli, un’ora dopo, avendo fatto per caso capolino alla porta del salotto, era stato immediatamente scorto dalla signora Betsey, la quale passeggiava su e giù in grande agitazione, e abbrancato da lei rudemente prima di po-tersela svignare. Che giungevan di su di tanto in tanto grida e scalpiccìo di piedi che l’ovatta – egli argomenta-va – non riusciva ad escludere dall’udito della signora, tanto vero che era stato da lei acchiappato come una vittima sulla quale sfogare la sua straordinaria agitazione nel momento in cui le grida s’eran fatte più acute. Che ella, tenendolo stretto per il bavero della giacca, lo aveva fatto marciare innanzi e indietro (come se avesse preso troppo laudano), e a volte scotendolo, scompiglian-dogli i capelli, gualcendogli la camicia, e tappandogli le orecchie, come, se fossero state le proprie, e malmenan-dolo in tutti i modi. Questo in parte venne confermato da sua zia, che lo vide all’una dopo mezzanotte, non appena libero, e osservò che in quel momento egli era più rosso di me.

Il mite dottor Chillip non poteva in una simile occasione serbar rancore per nessuno, se mai ne fosse stato capace.

Entrò di sbieco nel salotto non appena poté, e, nel suo tono più dolce, disse a mia zia:

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– Bene, signora, son felice di farvi le mie congratulazioni.

– Per che cosa? – disse rigidamente mia zia.

Il signor Chillip fu di nuovo sorpreso dall’estrema severità delle maniere di mia zia; così le fece un piccolo inchino e le rivolse un sorriso, per addolcirla.

– Misericordia! Che cosa fa quell’uomo? – esclamò mia zia. – Non può parlare?

– Un po’ di calma, mia cara signora – disse il signor Chillip, col suo accento più dolce – Non v’è più ragione di agitarsi, signora. Calma!

Il fatto che mia zia non scrollasse il dottore fino a cavargli di bocca ciò che aveva da dire, è stato considerato straordinario. Soltanto si mise a scuotere il capo con uno sguardo da farlo impallidire.

– Bene, signora – ripigliò il signor Chillip, tosto che ebbe ripreso coraggio; – son felice di farvi le mie congratulazioni. Tutto è finito, signora, e finito bene.

Nei cinque minuti all’incirca che il signor Chillip dedicò a questo discorso, mia zia lo tenne selvaggiamente di mira.

– E lei come sta? – disse mia zia, piegando le braccia, e tenendo il cappellino ancora sospeso al polso sinistro.

– Bene, signora, tra poco lei starà bene, spero – rispose il signor Chillip. – Sta come non si potrebbe desiderar 25

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meglio per una giovane madre in queste melanconiche circostanze domestiche. Non c’è più alcuna ragione di rimanervene qui, signora. Andate a vederla. Può farle bene.

– E «lei»? Come sta «lei»? – disse mia zia, rigida.

Il signor Chillip sporse la testa un po’ più di lato, e guardò mia zia con l’atto d’un grazioso uccello.

– La bambina – disse mia zia: – come sta la bambina?

– Signora – rispose il signor Chillip – credevo che lo sapeste. È un maschio.

Mia zia non disse una parola, ma prese per i nastri il cappellino, a guisa d’una fionda, ne mirò un colpo alla fronte del signor Chillip, se lo mise ammaccato in testa, uscì dal salotto e non si vide più. Svanì come una fata malcontenta; o come uno di quegli esseri soprannaturali che il vicinato credeva io fossi destinato a vedere: e non apparve mai più. No, non apparve mai più. Io giacevo nella mia culla, e mia madre nel suo letto; ma Betsey Trotwood Copperfield era rimasta per sempre nel paese dei sogni e delle ombre, in quella formidabile regione dove io avevo poco prima viaggiato; e la luce che illuminava la finestra della nostra camera splendeva sulla meta terrestre dei viaggiatori miei pari e sul poggetto che copriva le ceneri di colui senza il quale non sarei mai stato.

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