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– pensando con tristezza al giorno che sarebbe diventato calvo o grigio. Non vedevo la maniera di potermi mai sbarazzare di lui; e, pensando all’avvenire, passavo in rassegna tutti i fastidi che ci avrebbe dato nella vecchiaia.

Ero lungi dallo sperare che quel disgraziato avrebbe pensato egli stesso a trarmi d’impaccio. Rubò l’orologio di Dora, che, come tutto ciò che ci apparteneva, non aveva un posto suo particolarmente designato; e conver-1230

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titolo in denaro sonante, spese il ricavato (povero imbecille) nel farsi scarrozzare su e giù sull’imperiale della diligenza fra Londra e Uxbridge. Fu arrestato e condotto a Bow Street, come ben ricordo, alla fine del quindicesi-mo viaggio, con quattro scellini e sei pence addosso e uno zufolo d’occasione ch’egli non sapeva sonare.

Quella scoperta e tutte le sue conseguenze non mi sarebbero state così penose, se egli non si fosse mostrato pentito. Ma il fatto sta ch’egli era veramente e profondamente pentito, in una maniera sua speciale... non in volume, ma a fascicoli. Per esempio: il giorno appresso a quello in cui fui costretto a deporre contro di lui, egli fece certe rivelazioni sul conto d’una cesta in cantina, che noi credevamo fosse piena di vino, e che non conteneva invece più che bottiglie e turaccioli di sughero.

Pensammo che allora si fosse messo in pace con la coscienza, e non avesse altro di peggio da rivelarci a carico della cuoca; ma un paio di giorni appresso, la coscienza lo assalì con un nuovo rimorso, ed egli ci disse che la cuoca aveva una ragazzina, che tutte le mattine portava il pane di casa nostra; e anche come egli stesso fosse stato subornato a mantenere il lattaio a carbone.

Due o tre giorni dopo, fui informato dall’autorità inqui-rente che era stata da lui condotta alla scoperta di interi filetti di manzo nei rifiuti di cucina, e di parecchie paia di lenzuola nel sacco dei cenci. Poco tempo dopo, egli si buttò in una direzione assolutamente diversa, e confessò di sapere che il garzone del caffè vicino aveva tramato 1231

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una scalata notturna in casa nostra, e il garzone fu immediatamente arrestato. Finii con l’essere così umiliato di quella mia parte di vittima, che gli avrei dato non so quanto per farlo tacere, o avrei tentato di corrompere i carcerieri per farlo fuggire. E il peggio si era, che egli non immaginava neanche lontanamente una cosa simile; ma credeva nella sincerità del suo cuore di fare una nuova ammenda a ogni nuova rivelazione, se non forse di accumulare una gran quantità di diritti alla mia riconoscenza.

Finalmente fuggivo io, tutte le volte che vedevo un emissario della Polizia presentarsi con qualche nuova notizia; e vissi, per così dire, di nascosto, finché egli non fu giudicato e condannato alla deportazione. Ed anche allora non si calmò, perché ci scrisse un completo epistolario. Aveva l’assoluta necessità, prima d’andarsene, di veder Dora; e Dora andò a fargli una visita, e svenne, quando si trovò entro i ferrei cancelli della prigione. In breve, non riacquistai la pace, se non dopo ch’egli fu espatriato, e fatto (come seppi dopo) pastore in qualche parte «laggiù in campagna»; ma dove precisamente, le mie cognizioni geografiche non mi dissero mai.

Tutto questo mi spinse a fare delle serie riflessioni, che mi presentarono i nostri errori sotto una nuova luce: come non potei fare a meno di comunicare a Dora una sera, nonostante la mia tenerezza per lei.

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– Amor mio – dissi – è veramente doloroso, pensare come la nostra mancanza di sistema nell’economia domestica nuoccia non soltanto a noi (oramai noi ci siamo abituati), ma anche agli altri.

– Da molto tempo sei stato zitto, e ora ricominci a brontolare – disse Dora.

– No, mia cara, no. Lascia che ti spieghi ciò che voglio dire.

– Non voglio saper nulla – disse Dora.

– Ma io voglio che tu sappia, amor mio. Metti Jip in terra.

Dora avvicinò il naso di Jip al mio, e fece «Bu»!, cercando di farmi ridere; ma, non riuscendoci, ordinò a Jip di rientrare nella pagoda, e mi si sedette di fronte, con le mani giunte, e un’aria di grande rassegnazione in viso.

– Il fatto sta, mia cara – cominciai – che il nostro male è contagioso. Noi infettiamo chiunque ci avvicina.

Avrei continuato a parlare in questo stile figurato, se il volto di Dora non mi avesse ammonito che ella si aspettava di sentirmi proporle una nuova specie di vac-cinazione, o qualche altro processo chirurgico per guarire del nostro contagio. Perciò mi arrestai a mezzo, e le dissi semplicemente:

– Non soltanto, mia cara, noi perdiamo, con la no-1233

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stra negligenza, denaro e benessere, e a volte anche la pace; ma commettiamo la grave colpa di guastare tutti quelli che prendiamo a nostro servizio o che hanno relazione d’affari con noi. Comincio a credere che tutto il torto non sia da una parte sola, e che tutta questa gente riesca male, perché neppur noi riusciamo bene.

– Oh, che parole! – esclamò Dora, spalancando gli occhi. – Come a dire che tu m’hai vista rubare gli orologi d’oro! Oh!

– Diletta mia – risposi – non dire delle sciocchezze.

Chi si è sognato mai di alludere agli orologi d’oro?

– Tu – rispose Dora – proprio tu, e lo sai. Hai detto che non riesco neppure io bene, e mi hai paragonato a lui.

– A chi? – chiesi.

– Al servitore – singhiozzò Dora. – Come sei cattivo!

Paragonare tua moglie a un servitore condannato! Perché non mi dicesti ciò che pensavi di me prima di sposarmi? Perché non mi dicesti, uomo senza cuore, che eri persuaso che io fossi peggiore d’un servitore condannato? Che bella opinione che hai di me! Oh, santo Cielo!

– Dora, amor mio – risposi, tentando dolcemente d’allontanare il fazzoletto con cui si premeva gli occhi, –

ciò che tu dici non soltanto è ridicolo, ma ti fa gran torto. Prima di tutto, non è vero.

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– Tu mi dicevi sempre che egli diceva delle menzogne –

singhiozzò Dora – e ora dici la stessa cosa di me. Oh, che sarà di me! Che sarà di me!

– Figlia mia – soggiunsi – ti supplico seriamente d’essere ragionevole, e d’ascoltare ciò che ti dicevo, e dico.

Mia cara Dora, se noi non facciamo il nostro dovere verso quelli che impieghiamo, essi non impareranno mai a fare il loro dovere verso di noi. Temo che siamo noi che offriamo agli altri l’occasione di comportarsi male.

Anche se noi fossimo a bella posta negligenti come siamo... il che non è... anche se fosse nostro piacere e nostro gusto d’essere così... il che non è, io son persuaso che non avremmo alcun diritto di continuare nello stesso sistema. La nostra è una vera e propria corruzione di quanti ci avvicinano. Noi siamo costretti a creder così.

Non posso fare a meno dal crederci, Dora. È un pensiero dal quale non posso liberarmi e che mi tormenta molto.

Ecco, cara, questo è tutto. Su, ora; non far la sciocca.

Per parecchio tempo, Dora non volle permettermi di al-lontanarle il fazzoletto dal viso. Continuò a singhiozzare, mormorando dietro il sottile tessuto, che se mi sentivo tormentato, perché m’ero ammogliato? Perché non avevo detto, anche alla vigilia d’andare in chiesa, che mi sarei sentito tormentato, e che era bene non andarci?

Se non potevo sopportarla, perché non la rimandavo dalle sue zie a Putney, o presso Giulia Mills nelle Indie?

Giulia sarebbe stata lieta di rivederla, e non l’avrebbe 1235

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paragonata a un servitore deportato. Giulia non le aveva mai detto nulla di simile. Insomma, Dora si mostrò così angosciata, e angosciò tanto me in quello stato, che compresi ch’era inutile ripetere quel tentativo, per quanta dolcezza potessi impiegarvi, e che dovevo ricorrere a qualche altro metodo.

A quale altro metodo si poteva ricorrere?

«Formarle lo spirito?» Era una frase che sonava e prometteva bene, e risolsi di formare lo spirito di Dora.

Cominciai immediatamente. Quando vedevo Dora comportarsi da bambina, e avrei avuto una voglia matta di secondarla, tentavo d’esser serio – e finivo con lo scon-certare lei e me. Le parlavo dei soggetti che m’occupa-vano la mente; e le lessi Shakespeare... e la stancai fino all’ultimo grado. Mi avvezzai a darle, così come per caso, frammenti di utili nozioni o di salda dottrina – e non appena avevo finito, ella se n’andava come se le avessi proposto dei rompicapi. Avevo un bel cercare d’aver l’aria più naturale del mondo nell’atto che mi sforzavo di formar lo spirito di mia moglie: non potevo non accorgermi che l’istinto l’avvertiva delle mie intenzioni, e ch’ella si sentiva a disagio. Per esempio, era più che evidente che ella giudicava Shakespeare terribilmente noioso. Lo spirito si formava con grande lentezza.

Are sens